Sentenza della Corte Costituzionale su una delle richieste di referendum popolare, precisamente sull'art. 23 bis DL 112/2008

Pubblichiamo di seguito la sentenza della Corte Costituzionale, 26/1/2011 n. 24 Sull’ammissibilità della richiesta di referendum popolare per l’abrogazione dell’art. 23-bis (Servizi pubblici locali di rilevanza economica) del d.l. n. 112/08. Si annota che parimenti sono state emanate le altre seguenti sentenze:

– La sentenza della Corte Costituzionale 26 gennaio 2011, n. 25, sull’inammissibilità della richiesta di referendum popolare per l’abrogazione dell’art. 150 del d.lgs. n. 152/2006, riguardante la scelta della forma di gestione e procedure di affidamento nel servizio idrico integrato.

– La sentenza della Corte Costituzionale 26 gennaio 2011, n. 26, sull’ammissibilità della richiesta di referendum popolare per l’abrogazione dell’art. 154 c.1 (Tariffa del servizio idrico integrato) del d.lgs n.152/06 limitatamente alla seguente parte: “dell’adeguatezza della remunerazione del capitale investito”.

– La sentenza della Corte Costituzionale 26 gennaio 2011, n. 27, sull’inammissibilità della richiesta di referendum popolare per l’abrogazione dell’art. 23-bis, c. 10, lett. d) del d.l. n. 112/2008, e dell’ art. 15, c. 1-ter del d.l. n. 135/2009.

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

ha pronunciato la seguente

 

SENTENZA

nel giudizio di ammissibilità, ai sensi dell’art. 2, primo comma, della legge costituzionale 11 marzo 1953, n. 1, della richiesta di referendum popolare per l’abrogazione dell’art. 23-bis (Servizi pubblici locali di rilevanza economica) del decreto-legge 25 giugno 2008, n. 112 (Disposizioni urgenti per lo sviluppo economico, la semplificazione, la competitività, la stabilizzazione della finanza pubblica e finanza la perequazione tributaria), convertito, con modificazioni, dalla legge 6 agosto 2008, n. 133, come modificato dall’art. 30, comma 26, della legge 23 luglio 2009, n. 99 (Disposizioni per lo sviluppo e l’internazionalizzazione delle imprese, nonché in materia di energia), e dall’art. 15 del decreto-legge 25 settembre 2009, n. 135 (Disposizioni urgenti per l’attuazione di obblighi comunitari e per l’esecuzione di sentenze della corte di giustizia della Comunità europea), convertito, con modificazioni, dalla legge 20 novembre 2009, n. 166, nel testo risultante a séguito della sentenza n. 325 del 2010 della Corte costituzionale, giudizio iscritto al n. 149 del registro referendum.

Vista l’ordinanza pronunciata il 6 dicembre 2010 e depositata il successivo 7 dicembre, con la quale l’Ufficio centrale per il referendum, costituito presso la Corte di cassazione, ha dichiarato conforme a legge la richiesta referendaria;

udito nella camera di consiglio del 12 gennaio 2011 il Giudice relatore Franco Gallo;

uditi gli avvocati Ugo Mattei per il Comitato Referendario Siacquapubblica; Pietro Adami per l’Associazione Nazionale Giuristi Democratici; Federico Sorrentino per l’Associazione Nazionale Fra gli Industriali Degli Acquedotti – ANFIDA; Tommaso Edoardo Frosini e Giovanni Pitruzzella per l’Associazione Comitato contro i referendum per la statalizzazione dell’acqua – AcquaLiberAtutti; Tommaso Edoardo Frosini per l’Associazione «Fare Ambiente»; Massimo Luciani per i presentatori Vincenzo Miliucci, Rosario Lembo e Alberto De Monaco; Antonio Tallarida, avvocato dello Stato, per il Governo.

Ritenuto in fatto

1. – L’Ufficio centrale per il referendum, costituito presso la Corte di cassazione ai sensi dell’art. 12 della legge 25 maggio 1970, n. 352, e successive modificazioni, con ordinanza pronunciata il 6 dicembre 2010 e depositata il successivo 7 dicembre, ha dichiarato legittima la richiesta di referendum popolare (pubblicata nella Gazzetta ufficiale della Repubblica del 1° aprile 2010, serie generale, n. 76), promossa da sedici cittadini italiani, sul seguente quesito, come modificato dallo stesso Ufficio centrale:

«Volete Voi che sia abrogato l’art. 23-bis (Servizi pubblici locali di rilevanza economica) del decreto-legge 25 giugno 2008, n. 112 “Disposizioni urgenti per lo sviluppo economico, la semplificazione, la competitività, la stabilizzazione della finanza pubblica e finanza la perequazione tributaria”, convertito, con modificazioni, in legge 6 agosto 2008, n. 133, come modificato dall’art. 30, comma 26, della legge 23 luglio 2009, n. 99, recante “Disposizioni per lo sviluppo e l’internazionalizzazione delle imprese, nonché in materia di energia”, e dall’art. 15 del decreto-legge 25 settembre 2009, n. 135, recante “Disposizioni urgenti per l’attuazione di obblighi comunitari e per l’esecuzione di sentenze della corte di giustizia della Comunità europea”, convertito, con modificazioni, in legge 20 novembre 2009, n. 166, nel testo risultante a seguito della sentenza n. 325 del 2010 della Corte costituzionale?».

 

2. – L’Ufficio centrale ha attribuito al quesito il n. 1 ed il seguente titolo: «Modalità di affidamento e gestione dei servizi pubblici locali di rilevanza economica. Abrogazione».

 

3. – Il Presidente della Corte costituzionale, ricevuta comunicazione dell’ordinanza dell’Ufficio centrale per il referendum, ha fissato, per la conseguente deliberazione, la camera di consiglio del 12 gennaio 2011, disponendo che ne fosse data comunicazione ai presentatori della richiesta di referendum e al Presidente del Consiglio dei ministri, ai sensi dell’art. 33, secondo comma, della legge 25 maggio 1970, n. 352. La richiesta di referendum è stata iscritta nel relativo registro al n. 149.

 

4. – Con memoria depositata il 23 dicembre 2010, tre dei presentatori della richiesta di referendum abrogativo hanno avanzato istanza affinché, previa audizione in camera di consiglio del proprio difensore, detta richiesta venga dichiarata ammissibile. A sostegno dell’istanza, deducono che il quesito referendario: a) non trova ostacolo nei limiti espressamente previsti dall’art. 75 della Costituzione, perché non ha ad oggetto leggi tributarie o di bilancio o comunque integranti un elemento imprescindibile della manovra finanziaria o della tenuta complessiva del sistema (nel senso chiarito dalla sentenza della Corte costituzionale n. 2 del 1994); b) non trova ostacolo neppure negli ulteriori limiti individuati dalla giurisprudenza costituzionale in via di interpretazione sistematica, perché non ha ad oggetto norme costituzionali o a contenuto costituzionalmente vincolato (come riconosciuto dalla sentenza della Corte costituzionale n. 325 del 2010, secondo cui tali norme costituiscono esercizio di discrezionalità legislativa) od indefettibili per il funzionamento della macchina statale; c) rispetta i requisiti di omogeneità e chiarezza richiesti dalla giurisprudenza costituzionale (in particolare, dalla sentenza n. 16 del 1978, a proposito della «matrice razionalmente unitaria», e dalla sentenza n. 29 del 1987, a proposito della «chiarezza del fine intrinseco»), in quanto persegue l’univoco intento di limitare – nel rispetto dei limiti costituzionali, internazionali e comunitari – gli eccessi delle cosiddette “privatizzazioni” della gestione dei servizi pubblici locali; intento perseguíto, del resto, anche dai quesiti rubricati dall’Ufficio centrale per il referendum ai numeri 2 e 3.

Con la medesima memoria, i suddetti presentatori del quesito osservano, quanto alla cosiddetta normativa di risulta, che l’abrogazione, tramite referendum, del citato art. 23-bis del decreto-legge n. 112 del 2008 comporterebbe: 1) il venir meno, fin dall’origine, del fondamento legislativo del regolamento delegificante di cui al d.P.R. 7 settembre 2010, n. 168 (Regolamento in materia di servizi pubblici locali di rilevanza economica, a norma dell’articolo 23-bis, comma 10, del decreto-legge 25 giugno 2008, n. 112, convertito, con modificazioni, dalla legge 6 agosto 2008, n. 133), adottato in forza proprio del suddetto art. 23-bis, con conseguente perdita di efficacia di tale regolamento, in analogia all’ipotesi – esaminata dalla Corte costituzionale nella sentenza n. 241 del 2003 – di abrogazione di una legge di delegazione; 2) l’applicabilità dell’art. 113 del d.lgs. 18 agosto 2000, n. 267 (Testo unico delle leggi sull’ordinamento degli enti locali), sia con riferimento alle «disposizioni» di tale articolo (commi 5, 5-bis, 6, 7, 9 – escluso il primo periodo –, 14, 15-bis, 15-ter, 15-quater) espressamente abrogate dall’art. 12, comma 1, lettera a), del d.P.R. n. 168 del 2010, divenuto inefficace, sia con riferimento alle «norme» del medesimo artico 113 abrogate per incompatibilità dall’art. 23-bis del decreto-legge n. 112 del 2008; 3) per l’effetto, l’attribuzione agli enti locali del potere di optare per l’affidamento della gestione in house dei servizi pubblici locali, anche in assenza delle condizioni straordinarie oggi richieste dal comma 3 dell’art. 23-bis, tutte le volte in cui tale gestione risulterà corrispondente al pubblico interesse, pur nel rispetto delle esigenze concorrenziali sottolineate dalla Corte costituzionale nella sentenza n. 325 del 2010.

 

5. – Con memoria depositata il 7 gennaio 2011, si è costituito il Governo, in persona del Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, ed ha avanzato istanza affinché – previa audizione in camera di consiglio – venga dichiarato inammissibile il referendum n. 149 (quesito n. 1). A sostegno di tale istanza, il Governo – dopo aver premesso che la Corte costituzionale, secondo la sua giurisprudenza, è chiamata a valutare l’ammissibilità di ciascuna singola richiesta referendaria (sentenza n. 26 del 1981) – deduce che: a) la normativa oggetto del quesito, pur non costituendo una applicazione necessitata della normativa comunitaria (come precisato nella sentenza n. 325 del 2010 della Corte costituzionale), è comunque comunitariamente necessaria, perché – una volta esclusa la possibilità della gestione diretta dei servizi pubblici locali di rilevanza economica da parte dell’ente locale, per effetto degli artt. 35 della legge 28 dicembre 2001, n. 448, e 14 del decreto-legge 30 settembre 2003, n. 269, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 326 del 2003, non oggetto di referendum – è necessario che sussista (anche per il settore del servizio idrico) una disciplina nazionale applicativa degli artt. 14 e 106 del Trattato 25 marzo 1957 (Trattato sul funzionamento dell’Unione), tale da integrare una delle diverse discipline possibili della materia, rispettose dell’art. 117, primo comma, Cost.; b) il referendum è inammissibile (come tutti quelli aventi ad oggetto leggi costituzionalmente necessarie: Corte costituzionale, sentenza n. 26 del 1981), perché l’abrogazione referendaria dell’art. 23-bis del decreto-legge n. 112 del 2008 non comporterebbe (per comune consenso e come riconosciuto dalla Corte costituzionale nella sentenza n. 31 del 2000) la reviviscenza della normativa precedentemente abrogata (nella specie, dell’art. 113 del d.lgs. n. 267 del 2000, «peraltro di dubbia compatibilità comunitaria») e, pertanto, provocherebbe un grave vuoto normativo in un settore delicatissimo, senza che sia assicurato alcun «livello minimo di tutela legislativa» (come richiesto dalla sentenza della Corte costituzionale n. 45 del 2005), cosí da rendere l’Italia inadempiente agli obblighi derivanti dai Trattati europei (Corte costituzionale, sentenza n. 81 del 2000); c) il quesito è disomogeneo perché ha ad oggetto l’affidamento di svariati e complessi servizi, rispetto a ciascuno dei quali «ben diversa potrebbe essere (ed è) la sensibilità popolare (e quindi la sua risposta al referendum)».

 

6. – Hanno depositato memorie, sollecitando la dichiarazione di ammissibilità del referendum, il Comitato Referendario Siacquapubblica e l’Associazione Nazionale Giuristi Democratici.

 

7. – Hanno depositato memorie, sollecitando la dichiarazione di inammissibilità del referendum, i seguenti soggetti: l’Associazione «Fare Ambiente», l’Associazione Comitato contro i referendum per la statalizzazione dell’acqua – AcquaLiberAtutti e l’Associazione Nazionale Fra gli Industriali Degli Acquedotti – ANFIDA.

 

8. – Nella camera di consiglio del 12 gennaio 2011 sono stati ascoltati i difensori: a) del Comitato Referendario Siacquapubblica; b) dell’Associazione Nazionale Giuristi Democratici; c) dell’Associazione Nazionale Fra gli Industriali Degli Acquedotti – ANFIDA; d) dell’Associazione Comitato contro i referendum per la statalizzazione dell’acqua – AcquaLiberAtutti; e) dell’Associazione «Fare Ambiente»; f) dei suddetti tre presentatori che avevano depositato memoria; g) del Governo.

 

Considerato in diritto

1. – La Corte è chiamata a pronunciarsi sull’ammissibilità della richiesta di referendum abrogativo popolare dell’art. 23-bis (Servizi pubblici locali di rilevanza economica) del decreto-legge 25 giugno 2008, n. 112 (Disposizioni urgenti per lo sviluppo economico, la semplificazione, la competitività, la stabilizzazione della finanza pubblica e finanza la perequazione tributaria), convertito, con modificazioni, dalla legge 6 agosto 2008, n. 133, come modificato dall’art. 30, comma 26, della legge 23 luglio 2009, n. 99 (Disposizioni per lo sviluppo e l’internazionalizzazione delle imprese, nonché in materia di energia), e dall’art. 15 del decreto-legge 25 settembre 2009, n. 135 (Disposizioni urgenti per l’attuazione di obblighi comunitari e per l’esecuzione di sentenze della corte di giustizia della Comunità europea), convertito, con modificazioni, dalla legge 20 novembre 2009 (quesito n. 1; referendum n. 149).

 

2. – In via preliminare, va dichiarata la ricevibilità delle memorie depositate da soggetti diversi – e tuttavia interessati alla decisione – rispetto ai presentatori della richiesta referendaria e al Governo. Secondo le piú recenti pronunce di questa Corte, infatti, i suddetti scritti difensivi debbono intendersi come contributi contenenti argomentazioni potenzialmente rilevanti ai fini della decisione (sentenze n. 15, n. 16 e n. 17 del 2008; n. 45, n. 46, n. 47, n. 48 e n. 49 del 2005). Tale ricevibilità, però, non si traduce nel diritto dei medesimi soggetti di partecipare al procedimento e di illustrare in camera di consiglio le proprie deduzioni, ma comporta solo la facoltà per la Corte (ove questa lo ritenga opportuno) di consentire brevi integrazioni orali degli scritti – come è avvenuto nella camera di consiglio del 12 gennaio 2011 – prima che i soggetti di cui all’art. 33 della legge 25 maggio 1970, n. 352 (presentatori della richiesta e Governo) illustrino oralmente le proprie posizioni e, comunque, nel rispetto dei tempi richiesti dalla speditezza del procedimento.

 

3. – Il quesito referendario n. 1 riguarda la disciplina generale delle modalità di affidamento della gestione dei servizi pubblici locali di rilevanza economica, tra i quali rientra il servizio idrico integrato. La disciplina delle modalità di affidamento della gestione del servizio idrico costituisce, invece, lo specifico oggetto dei quesiti n. 2, n. 3 (proposti dagli stessi promotori del quesito n. 1) e n. 4.

In proposito, deve essere tuttavia precisato che questa Corte, in sede di giudizio di ammissibilità, deve valutare separatamente ciascun quesito referendario dichiarato legittimo dall’Ufficio centrale per il referendum, anche nel caso in cui (come nella specie) sia stata dichiarata legittima una pluralità di quesiti attinenti alla stessa materia (servizi pubblici locali di rilevanza economica). Il potere attribuito dalla legge all’Ufficio centrale (e non alla Corte costituzionale) di «concentrare» le richieste referendarie «che rivelano uniformità od analogia di materia» e di stabilire la denominazione di ciascuna richiesta (eventualmente già oggetto di “concentrazione”), nonché la possibilità che le varie richieste presentate perseguano obiettivi diversi (anche opposti) evidenziano che la Corte costituzionale deve valutare ciascun quesito indipendentemente dagli altri e, in particolare, dagli effetti che l’esito degli altri referendum potrebbe avere sulla cosiddetta normativa di risulta. In altri termini, esula dall’esame della Corte ogni valutazione circa la complessiva coerenza dei diversi quesiti incidenti sulla stessa materia e, quindi, non ha alcun rilievo neppure l’eventualità che essi siano stati proposti (in tutto o in parte) dai medesimi promotori. Ne consegue che ciascun quesito deve essere esaminato separatamente dagli altri.

 

Il quesito n. 1 è ammissibile.

 

4. – In primo luogo, va rilevato che il quesito in esame non ha ad oggetto le leggi che l’art. 75, secondo comma, Cost. sottrae a referendum.

 

4.1. – In particolare, esso non ha ad oggetto leggi tributarie o di bilancio, di amnistia o di indulto, costituzionali o a forza passiva rinforzata.

Oggetto dell’abrogazione referendaria di cui al suddetto quesito n. 1 è, infatti, l’intero art. 23-bis del decreto-legge n. 112 del 2008, il quale, certamente, non è riconducibile ad alcuna delle suddette tipologie di leggi, perché risponde soltanto alla ratio di favorire la gestione dei servizi pubblici locali di rilevanza economica da parte di soggetti scelti a séguito di gara ad evidenza pubblica e, a tal fine, limita i casi di affidamento diretto della gestione, consentendo la gestione in house (cioè una peculiare forma di gestione diretta del servizio da parte dell’ente pubblico, affidata senza gara pubblica) solo ove ricorrano situazioni del tutto eccezionali, che «non permettono un efficace ed utile ricorso al mercato». Più in dettaglio, esso: a) si applica, in forza del comma 1, «a tutti i servizi pubblici locali», prevalendo sulle «discipline di settore […] incompatibili», salvo quelle relative ai quattro cosiddetti “settori esclusi” (distribuzione di gas naturale; distribuzione di energia elettrica; gestione delle farmacie comunali; trasporto ferroviario regionale); b) dispone che l’affidamento della gestione del servizio pubblico locale avvenga, «in via ordinaria», mediante procedure competitive ad evidenza pubblica, a favore non solo delle società di capitali, ma, piú in generale, degli «imprenditori o […] società in qualunque forma costituite»; c) specifica che il già previsto (dalla legislazione anteriore, secondo la consolidata interpretazione giurisprudenziale) affidamento diretto (cioè senza gara ad evidenza pubblica) della gestione del servizio pubblico locale a società a capitale misto pubblico e privato (nel caso di scelta del socio privato mediante procedure competitive ad evidenza pubblica) costituisce anch’esso un caso di conferimento della gestione «in via ordinaria»; d) introduce le seguenti ulteriori condizioni per detto affidamento diretto a società miste: 1) che la procedura di gara sia a doppio oggetto (cioè riguardi la qualità di socio e l’attribuzione di specifici compiti operativi connessi alla gestione del servizio); 2) che al socio privato – da scegliersi mediante procedura ad evidenza pubblica – sia attribuita una partecipazione non inferiore al 40% (comma 2); e) disciplina nuovamente gli altri casi in cui è possibile l’affidamento diretto (senza gara ad evidenza pubblica), «in deroga» ai conferimenti effettuati in via ordinaria, stabilendo la necessità sia di una previa pubblicità adeguata, sia di una motivazione dell’ente in base ad un’analisi di mercato, con trasmissione di una relazione da parte dell’ente all’AGCM (Autorità garante della concorrenza e del mercato), per un parere obbligatorio (ma non vincolante), da rendere entro 60 giorni dalla ricezione (decorso il termine di 60 giorni dalla ricezione della relazione, «il parere, se non reso, si intende espresso in senso favorevole»); f) precisa che tale ultima modalità di affidamento diretto è consentita, secondo la gestione «cosiddetta in house», alle condizioni che già la legittimavano (capitale interamente pubblico; controllo analogo; prevalenza dell’attività in favore dell’ente o degli enti pubblici controllanti), ma solo ove sussista l’ulteriore condizione della ricorrenza di «situazioni eccezionali che, a causa di peculiari caratteristiche economiche, sociali, ambientali e geomorfologiche del contesto territoriale di riferimento, non permettono un efficace ed utile ricorso al mercato» (commi 3 e 4); g) prevede (al comma 7) che i bacini di gara per i diversi servizi vengano definiti (nel rispetto delle normative settoriali) dalle Regioni e dagli enti locali (nell’àmbito delle rispettive competenze) d’intesa con la Conferenza unificata di cui all’art. 8 del d.lgs. 28 agosto 1997, n. 281 (Definizione ed ampliamento delle attribuzioni della Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento e Bolzano ed unificazione, per le materie ed i compiti di interesse comune delle regioni, delle province e dei comuni, con la Conferenza Stato-città ed autonomie locali), e successive modificazioni, secondo specifiche finalità (economie di scala e di scopo, efficienza ed efficacia; integrazione dei servizi a domanda debole nel quadro dei servizi piú redditizi; dimensione minima efficiente a livello di impianto per piú soggetti gestori; copertura degli obblighi di servizio universale); h) modifica, nei limiti dell’incompatibilità con la nuova disciplina, l’art. 113 del d.lgs. 18 agosto 2000, n. 267, recante il «Testo unico delle leggi sull’ordinamento degli enti locali» (comma 11); i) attribuisce al Governo il potere di emettere regolamenti di delegificazione sia nelle materie elencate nel comma 10 dello stesso art. 23-bis, sia per la determinazione delle soglie minime oltre le quali gli affidamenti assumono rilevanza ai fini dell’espressione del parere dell’AGCM, sia «per individuare espressamente le norme abrogate ai sensi» del medesimo art. 23-bis; l) introduce una nuova normativa transitoria per gli affidamenti già in essere al momento dell’entrata in vigore della nuova disciplina.

 

4.2. – Il quesito non víola i limiti di cui all’art. 75 Cost. nemmeno con riferimento al diritto comunitario, perché: a) non ha ad oggetto una legge a contenuto comunitariamente vincolato (e, quindi, costituzionalmente vincolato, in applicazione degli artt. 11 e 117, primo comma, Cost.); b) in particolare, l’eventuale abrogazione referendaria non comporterebbe alcun inadempimento degli obblighi comunitari.

 

4.2.1. – Quanto al profilo sub a), va rilevato che questa Corte, con la sentenza n. 325 del 2010, ha espressamente escluso che l’art. 23-bis costituisca applicazione necessitata del diritto dell’Unione europea ed ha affermato che esso integra solo «una delle diverse discipline possibili della materia che il legislatore avrebbe potuto legittimamente adottare senza violare» il «primo comma dell’art. 117 Cost.». La stessa sentenza ha precisato che l’introduzione, attraverso il suddetto art. 23-bis, di regole concorrenziali (come sono quelle in tema di gara ad evidenza pubblica per l’affidamento della gestione di servizi pubblici) piú rigorose di quelle minime richieste dal diritto dell’Unione europea non è imposta dall’ordinamento comunitario «e, dunque, non è costituzionalmente obbligata, ai sensi del primo comma dell’art. 117 Cost. […], ma neppure si pone in contrasto […] con la […] normativa comunitaria, che, in quanto diretta a favorire l’assetto concorrenziale del mercato, costituisce solo un minimo inderogabile per gli Stati membri».

 

4.2.2. – Quanto al profilo sub b), va osservato che dall’abrogazione referendaria non deriva, in tema di regole concorrenziali relative ai servizi pubblici locali di rilevanza economica, né una lacuna normativa incompatibile con gli obblighi comunitari né l’applicazione di una normativa contrastante con il suddetto assetto concorrenziale minimo inderogabilmente richiesto dall’ordinamento comunitario.

Al riguardo, va premesso che al giudizio di ammissibilità dei referendum popolari abrogativi è estranea qualunque valutazione di merito (in particolare di legittimità costituzionale) in ordine sia alla normativa oggetto di referendum sia alla normativa risultante dall’eventuale abrogazione referendaria. In particolare, quanto a detta abrogazione, «non rileva che […] darebbe luogo ad effetti incostituzionali: sia nel senso di determinare vuoti, suscettibili di ripercuotersi sull’operatività di qualche parte della Costituzione; sia nel senso di privare della necessaria garanzia situazioni costituzionalmente protette» (ex plurimis, sentenza n. 26 del 1981; nello stesso senso, sostanzialmente, sentenze n. 16 e n. 15 del 2008; n. 48, n. 47, n. 46 e n. 45 del 2005). Ciò non significa, però, che alla Corte sia inibita l’individuazione della cosiddetta normativa di risulta conseguente all’abrogazione referendaria. Al contrario, l’individuazione di tale normativa è necessaria per valutare se essa comporti un significativo inadempimento di specifici ed inderogabili obblighi internazionali, comunitari o, comunque, direttamente imposti dalla Costituzione (sentenze n. 35, n. 20 e n. 19 del 1997, n. 35 e n. 17 del 1993, n. 27 del 1987). In tali ipotesi, sempre nell’àmbito del giudizio di ammissibilità del referendum, la normativa di risulta va sottoposta da questa Corte non già ad un pieno ed approfondito scrutinio di legittimità costituzionale, ma ad una mera «valutazione liminare ed inevitabilmente limitata del rapporto tra oggetto del quesito e norme costituzionali, al fine di verificare se […] il venir meno di una determinata disciplina non comporti ex se un pregiudizio totale all’applicazione di un precetto costituzionale» (sentenza n. 45 del 2005, confermata dalla sentenza n. 15 del 2008) o di una norma comunitaria direttamente applicabile.

Nel caso in esame, all’abrogazione dell’art. 23-bis, da un lato, non conseguirebbe alcuna reviviscenza delle norme abrogate da tale articolo (reviviscenza, del resto, costantemente esclusa in simili ipotesi sia dalla giurisprudenza di questa Corte – sentenze n. 31 del 2000 e n. 40 del 1997 –, sia da quella della Corte di cassazione e del Consiglio di Stato); dall’altro, conseguirebbe l’applicazione immediata nell’ordinamento italiano della normativa comunitaria (come si è visto, meno restrittiva rispetto a quella oggetto di referendum) relativa alle regole concorrenziali minime in tema di gara ad evidenza pubblica per l’affidamento della gestione di servizi pubblici di rilevanza economica. Ne deriva l’ammissibilità del quesito per l’insussistenza di impedimenti di natura comunitaria.

 

5. – In secondo luogo, il quesito n. 1 è ammissibile anche sotto il profilo della sua formulazione, in quanto esso rispetta tutti i requisiti richiesti dalla giurisprudenza di questa Corte (omogeneità; chiarezza e semplicità; univocità; completezza; coerenza; rispetto della natura essenzialmente ablativa dell’operazione referendaria).

 

5.1. – In particolare, il quesito rispetta il requisito dell’omogeneità.

Come si è già osservato, l’abrogazione richiesta riguarda una normativa generale, prevalente su quelle di settore (salvo che per i sopra ricordati quattro settori esclusi), che è diretta sostanzialmente a restringere, rispetto alle regole concorrenziali minime comunitarie, le ipotesi di affidamento diretto e, in particolare, di gestione in house dei servizi pubblici locali di rilevanza economica. L’evidente unitarietà della disciplina di cui si richiede l’abrogazione comporta l’omogeneità del quesito. Esso, infatti, proprio perché diretto ad escludere l’applicazione di tale regolamentazione generale, è sorretto da una matrice razionalmente unitaria.

L’astratta riconducibilità alla previsione dell’art. 23-bis di un’indefinita pluralità di servizi pubblici locali di rilevanza economica non è di ostacolo a tale conclusione, perché non esclude la sottolineata unitarietà di disciplina e, quindi, la complessiva coerenza della richiesta referendaria. Del resto, non sarebbe stato possibile formulare un quesito diretto ad abrogare la normativa dell’art. 23-bis solo per alcuni settori di servizi pubblici e non per altri. Infatti, avendo l’istituto referendario di cui all’art. 75 Cost. un’efficacia meramente ablativa (e non propositiva o additiva), il quesito non avrebbe mai potuto avere l’obiettivo di abrogare il suddetto articolo solo “nella parte in cui” si applica ad uno o ad alcuni determinati settori di servizi pubblici locali.

 

5.2. – Il quesito rispetta altresí il requisito della congruità tra intento referendario e formulazione.

In proposito, occorre preliminarmente ricordare che la richiesta referendaria è atto privo di motivazione e, pertanto, l’obiettivo dei sottoscrittori del referendum va desunto non dalle dichiarazioni eventualmente rese dai promotori (dichiarazioni, oltretutto, aventi spesso un contenuto diverso in sede di campagna per la raccolta delle sottoscrizioni, rispetto a quello delle difese scritte od orali espresse in sede di giudizio di ammissibilità), ma esclusivamente dalla finalità «incorporata nel quesito», cioè dalla finalità obiettivamente ricavabile in base alla sua formulazione ed all’incidenza del referendum sul quadro normativo di riferimento. Sono dunque irrilevanti, o comunque non decisive, le eventuali dichiarazioni rese dai promotori (ex plurimis, sentenze n. 16 e n. 15 del 2008, n. 37 del 2000, n. 17 del 1997).

Ciò premesso, appare evidente che l’obiettiva ratio del quesito n. 1 va ravvisata, come sopra rilevato, nell’intento di escludere l’applicazione delle norme, contenute nell’art. 23-bis, che limitano, rispetto al diritto comunitario, le ipotesi di affidamento diretto e, in particolare, quelle di gestione in house di pressoché tutti i servizi pubblici locali di rilevanza economica (ivi compreso il servizio idrico). Non sussiste, pertanto, alcuna contraddizione o incongruità tra tale intento intrinseco e la formulazione – del tutto chiara, semplice ed univoca – della richiesta referendaria di abrogare l’intero art. 23-bis.

 

per questi motivi

LA CORTE COSTITUZIONALE

dichiara ammissibile la richiesta di referendum popolare – dichiarata legittima, con ordinanza pronunciata il 6 dicembre 2010 e depositata il successivo 7 dicembre, dall’Ufficio centrale per il referendum costituito presso la Corte di cassazione e rubricata con il n. 1 – per l’abrogazione dell’art. 23-bis (Servizi pubblici locali di rilevanza economica) del decreto-legge 25 giugno 2008, n. 112 (Disposizioni urgenti per lo sviluppo economico, la semplificazione, la competitività, la stabilizzazione della finanza pubblica e finanza la perequazione tributaria), convertito, con modificazioni, dalla legge 6 agosto 2008, n. 133, come modificato dall’art. 30, comma 26, della legge 23 luglio 2009, n. 99 (Disposizioni per lo sviluppo e l’internazionalizzazione delle imprese, nonché in materia di energia), e dall’art. 15 del decreto-legge 25 settembre 2009, n. 135 (Disposizioni urgenti per l’attuazione di obblighi comunitari e per l’esecuzione di sentenze della corte di giustizia della Comunità europea), convertito, con modificazioni, dalla legge 20 novembre 2009, n. 166, nel testo risultante a séguito della sentenza n. 325 del 2010 della Corte costituzionale.

Cosí deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 12 gennaio 2011.

F.to:

Ugo DE SIERVO, Presidente

Franco GALLO, Redattore

Maria Rosaria FRUSCELLA, Cancelliere

 

Depositata in Cancelleria

il 26 gennaio 2011.

Il Cancelliere

F.to: FRUSCELLA

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