SEFIT: chiede alla presidente Serracchiani di riconsiderare gli effetti di una recente norma friulana che permette i cimiteri privati di urne

La recente emanazione di una norma regionale friulana che legittima i cimiteri privati di urne cinerarie, in violazione dello stesso Codice Civile, ha indotto la Sefit a prendere posizione contaria e a scrivere, a firma del Responsabile Dr. Pietro Barrera, una lettera aperta alla Presidente della Regione, On.le Serracchiani.
Il contenuto della lettera aperta è il seguente:

Gentile presidente,
abbiamo seguito con sincero interesse il percorso che ha portato alla recente approvazione della legge regionale 9 giugno 2017, n.22, sull’ordinamento delle attività funerarie.
Siamo lieti che la Regione abbia dedicato tanta attenzione a temi troppo spesso sottovalutati nell’agenda politica e istituzionale, e che invece toccano valori e interessi profondi di ogni famiglia, ogni persona, ogni comunità locale. Da anni si attende una legge dello Stato che modernizzi il sistema dei servizi funebri e cimiteriali: questa legislatura sembrava quella giusta, anche grazie alle sollecitazioni dell’Autorità anticorruzione per i troppi casi di malcostume diffusi in questo delicatissimo settore. Pare proprio che dovremo attendere ancora. Ben venga dunque l’attenzione e l’iniziativa dei legislatori regionali.
C’è un aspetto, però, nella legge della Sua Regione che ci preoccupa molto, riguardo all’inedita previsione di “cimiteri d’urne” (cinerarie) anche in spazi privati. È evidente che la diffusione crescente della cremazione, come scelta libera da parte di moltissimi cittadini, ha pressoché azzerato le esigenze igienico-sanitarie che avevano condizionato la legislazione cimiteriale in Italia, fondata sulla demanialità e, dunque, sulla esclusività della responsabilità comunale, salvo rarissime e specifiche eccezioni. C’è un’altra ragione però, a nostro avviso, che giustifica oggi più che mai lo status del cimitero come “bene pubblico collettivo”.
Da due secoli i cimiteri comunali sono il luogo della “memoria condivisa” delle comunità locali, dove riposano insieme, nel rispetto reciproco, defunti di diversa religione, diverse convinzioni filosofiche, diversa estrazione sociale o culturale. Cosa accadrebbe se, con la diffusione dei cimiteri privati, ogni gruppo sociale decidesse di separarsi dagli altri? Nella Sua regione potrebbe tornare la separazione per gruppi linguistici; altrove potrebbe emergere la tentazione dei cimiteri confessionali, con i cattolici ben lontani dagli ebrei, o dai mussulmani, o dalle altre fedi cristiane; e magari potremmo cominciare a sperimentare i cimiteri “eleganti”, lasciando il “cimitero pubblico” come spazio residuale per i poveri e gli emarginati …
Temiamo insomma che la privatizzazione dei cimiteri (cosa ben diversa, ovviamente, dal pieno coinvolgimento di imprese ed energie private nella gestione dei cimiteri pubblici) apra la porta a divisioni drammatiche nella comunità: il cimitero dei “miei amici” (dei miei simili) contrapposto ai cimiteri degli “altri”. La storia del resto ci insegna quanto sia facile il passaggio successivo, con il vandalismo e il dileggio verso le tombe, la memoria, la sacralità degli altri.
Non è insomma un problema di tecnica legislativa, ma piuttosto lo spiraglio in cui – certamente non nelle intenzioni del legislatore regionale – può farsi spazio un imbarbarimento della nostra società, che rinuncerebbe al valore della memoria condivisa per ridursi ad un aggregato di tribù. Prospettiva triste e pericolosa, nel momento in cui l’Italia e l’Europa hanno l’urgenza di ritrovare ragioni di unità, di civile convivenza e di integrazione tra diversi.
Non sappiamo se lo Stato intenderà porre la questione di legittima costituzionale della legge regionale. Confidiamo però nella Sua sensibilità perché una questione così delicata possa essere affrontata con la ponderazione che forse è finora mancata (anche per nostra colpa, per non essere stati tempestivi a segnalarne i rischi), e possa essere rapidamente corretta.
Con stima e fiducia

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