Il Comune di XYZ sito in Regione Emilia Romagna, riferisce di un contratto, datato 30 settembre 1965 e relativo alla concessione cimiteriale per la costruzione di una tomba di famiglia, privo dell’indicazione della scadenza della concessione medesima, mentre la deliberazione del consiglio comunale, previamente adottata al riguardo (in data 30 agosto 1965), accogliendo l’istanza avanzata dal privato, ha disposto “di concedere in perpetuo l’area cimiteriale” di cui trattasi.
Innanzi tutto bisogna ricordare come il Regio Decreto n.1880/1942 subordinasse il rilascio della concessione amministrativa per impiantare un sepolcro privato a due condizioni: nulla osta prefettizio e conseguente deliberazione del consiglio comunale. Quest’ultima è particolarmente importante qualora si dovesse risalire al titolo di legittimità di una concessione “sine titulo”, perché l’originale atto di concessione è andato smarrito o distrutto vuoi per eventi bellici, catastrofi, separazione degli archivi…
Stante la rilevata lacuna nel testo del contratto, il Comune chiede se sia possibile redigere una presa d’atto, con cui fissare a 99 anni la durata della concessione in essere, anche se antecedente al 10 febbraio 1976.
Per il principio generale di irretroattività della norma giuridica si propende per una risposta tassativamente negativa, il comune, infatti, non può, in modo unilaterale, modificare una rapporto giuridico di concessione che ha liberamente posto in essere, in quanto in tutti i regolamenti di polizia mortuaria postunitari il comune ha sempre e solo facoltà e mai obbligo di far sorgere in capo ad un privato lo Jus Sepulchri in una tomba data in concessione, in quanto ex Art. 337 Regio Decreto n.1265/1934, nei confronti della popolazione e del proprio territorio, il comune deve solamente disporre di un cimitero a sistema di inumazione in campo di terra.
Occorre, anzitutto, rilevare alcuni fatti sostanziali:
1) è ben vero che il contratto[1] stipulato tra le parti risulta privo di una specifica clausola di durata della concessione (omissione, questa, che non sembra potersi imputare al privato).
2) è altrettanto assodato come l’amministrazione comunale abbia palesato espressamente la sua volontà, adottando un atto deliberativo nel quale si è disposto – con riferimento alla specifica istanza a tal fine avanzata – “di concedere in perpetuo l’area cimiteriale”.
L’atto di concessione deve, quindi, essere interpretato, quanto a durata, nel senso puntualmente chiarito in sede deliberativa, qualora la disciplina normativa allora vigente – di cui si darà conto tra breve – non si opponesse ad una tale conclusione. Siamo, infatti, dinnanzi ad una caso di ultrattività del Regio Decreto n.1880/1942 secondo il brocardo latino del Tempus Regit Actum
Occorre anche evidenziare e ribadire questo aspetto: com’è noto, il rapporto giuridico formalizzato dall’atto di concessione e dal relativo contratto dovrebbe rimanere insensibile, stante i principi del tempus regit actum e dell’irretroattività della legge, alle successive modifiche normative[2], tranne ove, in sede legislativa, si disponessero innovazioni dichiaratamente applicabili anche ai rapporti sorti in precedenza.
Il contratto de quo è stato stipulato all’epoca in cui era vigente il regolamento nazionale di polizia mortuaria[3] adottato con Regio Decreto 21 dicembre 1942, n. 1880[4] il quale, all’art. 70, primo comma, disponeva quanto segue: [omissis] le concessioni cimiteriali “si distinguono in temporanee, ossia per un tempo determinato, e perpetue. Queste ultime si estinguono con la soppressione del cimitero, salvo quanto è disposto nel seguente articolo 76[5]”.
Solo con i successivi regolamenti nazionali di polizia mortuaria la previsione di perpetuità delle concessioni di aree cimiteriali è venuta meno[6] ed è stata contemplata la facoltà, per i comuni, di revocare le concessioni ‘a tempo determinato’, di durata eventualmente eccedente i 99 anni[7], rilasciate anteriormente alla data di entrata in vigore del decreto del Presidente della Repubblica 21 ottobre 1975, n. 803.
o di rinnovarne (di solito una volta sola) la durata per un lasso temporale non eccedente i 99anni.
Va, al riguardo, chiarito come la perpetuità costituisca elemento di ‘durata indefinita’, “sine die” e sub specie aeternitatis per nulla assimilabile (anzi, contrapposta) alla durata ‘a tempo determinato’, cui fa espresso riferimento la disciplina della revoca delle concessioni ultranovantanovennali, cosicché – come viene sostenuto dalla giurisprudenza prevalente[8] – l’istituto non sarebbe applicabile alle concessioni perpetue, le quali, così rimarrebbero tali.
Infatti, il Giudice amministrativo, ha rilevato che:
“nella vigenza del d.P.R. 803/1975[9], una concessione cimiteriale perpetua non può essere revocata e la sua cessazione può darsi unicamente nell’eventualità di estinzione per effetto della soppressione del cimitero[10]”;
” le concessioni perpetue non sono soggette alla trasformazione a tempo determinato, imposta dalla disciplina sopravvenuta e rimangono assoggettate al regime giuridico vigente al momento del loro rilascio[11];
> le concessioni perpetue non ricadono nell’ambito della disciplina di cui all’art. 92, comma 2, primo periodo, del d.P.R. 285/1990, il quale riguarda esclusivamente le concessioni cimiteriali a tempo determinato, di durata eventualmente eccedente i 99 anni. Pertanto, si deve ritenere che “le concessioni perpetue rilasciate in data anteriore a quella di entrata in vigore del D.P.R. 21 ottobre 1975, n. 803, si configurino quale situazione di diritti acquisiti e non siano soggette a revoca, se tale istituto non è contemplato con criteri più elastici ed “intrusivi” dal regolamento comunale di polizia mortuaria, di cui, come sempre si richiama la centralità, nella complessa gestione della “macchina cimiteriale”.
Dette concessioni, pertanto, mantengono il carattere di perpetuità”[12].
Alle medesime conclusioni perviene anche un autorevole Autore, secondo il quale la differenza tra le concessioni a tempo determinato e quelle a perpetuità è sostanziale ed implica che “i sepolcri privati sorti nel passato e regolati, per quanto riguarda la durata, in modo difforme da quelli che sono i limiti attuali (tempo determinato e termine temporale massimo), continuino ad essere assoggettati al regime temporale originario”[13].
Le considerazioni fin qui esposte inducono a ritenere che il Comune non possa comprimere – se non in virtù di un accordo pattizio con il privato[14] – il diritto, acquisito dal concessionario in via perpetua, all’epoca in cui ciò era consentito dalle previsioni normative vigenti ed è stato espressamente statuito da una formale manifestazione di volontà dell’Ente.
Si mediti, a tal proposito su questo pronunciamento del giudice amministrativo:
Consiglio Stato, sez. V, 11 ottobre 2002, n. 5505
La normativa comunale che impone, a pena di decadenza, il rinnovo della concessione cimiteriale perpetua al trascorrere di ogni trentennio è in contrasto con la disposizione dell’art. 93 d.P.R. 21 ottobre 1975 n. 803, il cui contenuto è stato poi ripetuto nell’art. 92 d.P.R. 10 settembre 1990 n. 285.
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[1] Attualmente, all’atto di concessione si accompagna una ‘convenzione’, nella quale le parti definiscono dettagliatamente le condizioni disciplinanti il rapporto giuridico. [2] Al riguardo, si ricorda che la giurisprudenza amministrativa:– ha rilevato l’illegittimità del provvedimento con il quale il comune sottopone una concessione di terreno pubblico, nel cimitero comunale, per l’uso perpetuo di privato sepolcro, rilasciata nel 1933, alle più restrittive prescrizioni in materia di tumulazione dei feretri introdotte da un regolamento di polizia mortuaria entrato in vigore nel 1990 (v. TAR Emilia-Romagna, Sez. II, 25 novembre 1993, n. 616);
– ha sancito che i principi giuridici del tempus regit actum e della generale irretroattività delle norme ammettono deroghe, da parte dell’amministrazione, solo nel caso in cui la norma subentrante sia diretta a migliorare la posizione giuridica dei suoi destinatari (v. TAR Sicilia – Catania, Sez. III, 24 dicembre 1997, n. 2675). [3] Fonte di riferimento, dalla quale il regolamento comunale non può discostarsi. [4] Rimasto in vigore fino al 9 febbraio 1976. [5] L’art. 76, primo comma, del r.d. 1880/1942 stabiliva che “Gli enti o le persone fisiche concessionari di posti per sepolture private, con i quali i comuni siano legati da regolare atto di concessione, hanno soltanto diritto, salvo patti speciali stabiliti prima della pubblicazione del regolamento di polizia mortuaria approvato con regio decreto 25 luglio 1892, n. 448, ad ottenere, a titolo gratuito, nel nuovo cimitero, per il tempo che loro ancora spetta o a perpetuità, un posto corrispondente in superficie a quello precedentemente loro concesso nel cimitero soppresso ed al gratuito trasporto delle spoglie mortali dal soppresso al nuovo cimitero”. [6] V. l’art. 93, primo comma, del decreto del Presidente della Repubblica 21 ottobre 1975, n. 803 e l’art. 92, comma 1, del decreto del Presidente della Repubblica 10 settembre 1990, n. 285, ai sensi dei quali le concessioni “sono a tempo determinato e di durata non superiore a 99 anni, salvo rinnovo”. [7] A condizione che siano trascorsi 50 anni dalla tumulazione dell’ultima salma, ove si verifichi una grave situazione di insufficienza del cimitero, rispetto al fabbisogno del comune, e non sia possibile provvedere tempestivamente all’ampliamento o alla costruzione di nuovo cimitero (v. art. 93, secondo comma, del d.P.R. 803/1975 ed art. 92, comma 2, del d.P.R. 285/1990). [8] Corre, tuttavia, l’obbligo di segnalare, in senso difforme, la posizione assunta da Consiglio di Stato – Sez. V, 28 maggio 2001, n. 2884, secondo il quale, atteso che i cimiteri ricadono nell’ambito dei beni demaniali, i cui atti dispositivi non sono legittimamente configurabili senza limiti di tempo, la concessione, da parte di un comune, di aree o porzioni di un cimitero pubblico è soggetta a tali regole demaniali, indipendentemente dall’eventuale perpetuità del diritto di sepolcro, onde legittima è la revoca dell’atto concessorio rilasciato ‘sine die’.
Tale sentenza ha ritenuto legittima la revoca, operata dal comune ai sensi del d.P.R. 803/1975, di alcune concessioni perpetue, rilasciate negli anni 1940-1941, nella vigenza del regio decreto 25 luglio 1892, n. 448 (il cui art. 100 prevedeva le concessioni cimiteriali a tempo determinato e ‘a perpetuità’) e del codice civile del 1865, che non annoverava espressamente i cimiteri tra i beni demaniali. [9] Ma, come si vedrà, anche del d.P.R. 285/1990. [10] V. Consiglio di Stato -Sez. V, 8 ottobre 2002, n. 5316. [11] V. TAR Sardegna – Cagliari, Sez. II, 30 gennaio 2006, n. 95, secondo cui l’art. 92 del d.P.R. 285/1990 “si riferisce esclusivamente alle concessioni cimiteriali esistenti a tempo determinato e non alle concessioni cimiteriali perpetue […]. Pertanto, queste ultime rimangono assoggettate al regime giuridico vigente al momento del loro rilascio, potendo essere modificate solo da espressa disposizione di legge, da novazioni consensuali o dal concretarsi dei casi di estinzione quali ad es. soppressione del cimitero”. [12] V. TAR Lazio – Roma, Sez. II, 14 gennaio 2009, n. 138. [13] S. Scolaro “La polizia mortuaria. Guida pratica alla gestione funeraria e cimiteriale”, Maggioli, 2007, pag. 291 e segg.. [14] Ossia, come puntualmente afferma la giurisprudenza citata in nota n. 11, da novazione consensuale.
X Lucio, Da quanto mi par di capire, nella fattispecie
rappresentata, non c’è stato un semplice subentro (= cambio di
titolarità della concessione in seguito a morte del precedente
concessionario) ma una vera e propria novazione della concessione
con estinzione consensuale del vecchio rapporto giuridico così da
costituirne uno completamente diverso avente, tuttavia, come
oggetto lo stesso monumento funerario. Se, infatti, si tratta di
concessioni perpetue esse sono “intangibili” per giurisprudenza
costante in materia, siccome per i principi generalissimi del
nostro ordinamento giuridico quali quello di affidamento
(cosiddetta buona fede) e quello del tempus regit actum lo jus
sepulchri a tempo indeterminato anche se sorto sotto l’imperio di
una preesistente legislazione oggi abrogata, è in sè diritto
perfetto ed acquisito e continua a produrre pienamente i propri
effetti… da qui all’eternità! Il rapporto giuridico già in
essere, pertanto, non può essere modificato unilateralmente men che
meno dal Comune (parte di diritto pubblico del rapporto di
concessione). Sarebbe un abuso, sanzionato con la nullità del
provvedimento. Al più, si potrebbe verificare se vi siano le
condizioni previste dal regolamento comunale di polizia mortuaria
non solo quello attualmente in vigore, ma anche quello vigente al
momento del sorgere della concessione ed eventuali intermedi per
una qualche dichiarazione di decadenza, nel qual caso, però, Lei
perderebbe il suo jus sepulchri per estinzione dello stesso in base
a cuasa “patologica” (ovviamente in senso amministrativo!) Per
altro, al di fuori di queste considerazioni di ordine generale, una
concessione a durata perpetuta può essere sì portata a tempo
determinato, ma consensualmente dalle parti oppure essa può esser
retrocessa al comune da chi ne abbia titolo, affinchè quest’ultimo
possa riassegnarla, magari anche al concessionario di prima, ma con
un rapporto giuridico del tutto nuovo, in altre parole oggetto
della concessione sarebbe pur sempre la stessa tomba, ma con regole
diverse, fors’anche più elastiche e permissive nella gestione
ottimale dei posti feretro, così da massimizzare la capacità
ricettiva del sepolcro. Spesso nella stesura dei regolamenti
comunali di polizia mortuaria si studiano le modalità perchè
concessionari rinuncino, con proprio vantaggio, alla concessione
medesima, aspetti che spesso potrebbero richiedere una novella al
Regolamento stesso. In altre parole il regime di perpetuità perdura
nel corso degli anni e dei secoli e non è intaccabile nè
“aggredibile” da parte del comune, se non per decadenza, revoca per
interesse pubblico prevalente o soppressione del cimitero, esso,
però, comporta sovente delle rigidità nell’esercizio dello jus
sepulchri (es. inestumulabilità dei feretri al fine di ricavarvi
nuove sepolture, riserva dei posti feretro predeterminata, non
ulteriormente ampliabile e “cristallizzata” nello stesso atto di
concessione), così per superarre queste criticità si ricorre
all’istituto della novazione. A titolo di esempio, l’art. 86, comma
1 D.P.R. 10 settembre 1990, n. 285, non consentirebbe
l’estumulazione dalle concessioni perpetue, per cui potrebbe essere
possibile ipotizzare che in cambio di una rinuncia alla perpetuità,
e previa novazione dell’atto di concessione, si conceda la
possibilità di estumulazione, con raccolta delle ossa in apposita
cassettina e ricollocamento di queste nel medesimo sepolcro,
consentendosi così di utilizzare il loculo per la tumulazione di un
nuovo feretro.
buona sera, ho da alcuni anni avuto un cambio intestazione di una edicola funeraria con originaria concessione perpetua, trasformata in seguito al cambio intestazione in 99 anni.
leggendo quanto sopra sto apprendendo, sempre che non abbia capito male, che il comune non può trasformare una concessione da perpetua a teporanea…..ho compreso bene? se si, potete dare indicazioni su cosa fare con il comune per trasformare tale concessione?grazie lucio.
Gentile Novella,
innanzi tutto buon giorno ed Auguri sinceri di Buon Natale!
Per enucleare bene il problema non possimo non porci una questione su cui tutti i giuristi s’arrovellano sin dai tempi più remoti: come risolvere le antinomie dovute alla successione, nel tempo, di norme tra loro incompatibili?
Attenzione: l’atto di concessione potrebbe contenere una clausola la quale, delineando un rapporto dinamico ed “in divenire”, preveda l’aggiornamento del rapporto concessorio in base alle nuove norme stabilite, IN FUTURO; dai diversi regolamenti comunali di polizia mortuaria che, eventualmente dovessero susseguirsi nel tempo. Sarebbe, allora, il caso dello JUS SUPERVENIENS.
L’atto di concessione (per il caso specifico) ed il regolamento comunale di polizia mortuaria (come parametro generale) hanno entrambi valore normativo, ovviamente il regolamento comunale è funzionalmente sovraordinato, in quanto si colloca a monte, come premessa necessaria, in tutti i procedimenti di polizia mortuaria.
Sarebbe allora assai opportuno definire la la relazione gerarchica tra atto di concessione e regolamento comunale di polizia mortuaria, in base ad un criterio cronologico. Eventuali riforme o novelle del regolamento municipale di polizia mortuaria si applicano ex nunc (cioè da adesso in poi) solo ai nuovi rapporti di concessione, al momento del loro perfezionarsi (tempus regit actum) oppure hanno valore ex tunc (già da allora) con riflessi, al passato, sulle concessioni già poste in essere (jus superveniens) quando vigeva una diversa disciplina?
“Lex posterior derogat priori”, dicevano i giuristi romani, tale brocardo è stato, poi, codificato nel nostro ordinamento moderno dall’art. 15 delle “Disposizioni sulla legge in generale” del Codice Civile, siccome “la Legge non dispone se non per l’avvenire”, anche se l’assoluta irretroattività della norma è tassativamente sancita solo per la Legge Penale (Art. 25 comma 2 Cost.).
Alla concessioni cimiteriali si applica lo jus superveniens solo se
quest’ipotesi sia contemplata dall’atto di concessione in primis, ed, in
seconda istanza, dal regolamento comunale di polizia mortuaria.
In difetto di disposizioni a tal proposito continueranno a valere le norme, ancorchè abrogate, in vigore, però, all’atto della stipula della concessione.
Secondo alcuni “tecnici” del diritto funerario se l’atto di concessione non precisa la retroattività sui suoi effetti giuridici dello Jus Superveniens, ossia delle successive modifiche del regolamento comunali di polizia mortuaria, di cui si ribadisce la centralità per dirimere liti di questo tipo, dovrebbero, dovrebbero valere ancora le vecchie norme, salvo una diversa, esplicita statuizione del nuovo regolamento municipale di polizia mortuaria, ecco perchè sia così importante inserire nel testo in esame presso il Consiglio Comunale una disposizione ad hoc!
Grazie di nuovo e anche per la precisazione riguardo agli eredi (concetto differente dai discendenti, infatti l’ho usato impropriamente, nel contratto ci riferiamo ai discendenti e non agli eredi)
E’ una scelta degli Amministratori decidere tra le varie ipotesi prospettate….
io sono solo il tramite ovviamente 🙂
Solo un’ulteriore precisazione, quando mi dice che “In quest’evenienza nell’individuazione della riserva, con effetto di ultrattività (riflessi sul tempo presente di una norma ormai abrogata) continuerebbero ad applicarsi le norme del vecchio regolamento cui per esempio è rimessa di volta in volta la definzione di famiglia del concessionario”, vuol dire che l’applicazione del vecchio regolamento si ha solo in caso di “intestatario fisso”, mentre nel caso di intestatario “mobile” si appilcano le nuove norme regolamentari??
Io avevo capito che inserendo nel regolamento norme del tipo che si diceva prima (cioè che le disposizioni in esso contenute si applicano anche alle concessioni ed ai rapporti costituiti anteriormente e che chiunque ritenga di poter vantare la titolarità di diritti d’uso su sepolture private in base a norme del Regolamento precedente, può presentare al Comune gli atti entro un certo termine, trascorso il quale non lo può più fare) si poteva applicare la nuova disciplina sulla “riserva” anche in caso di intestatario “fisso”. Ma forse ho capito male???
Grazie di nuovo anticipatamente – inoltre complimenti, le risposte sono sempre molto esaurienti!!!
Gentile Novella,
Il Regolamento Regionale Lombardo 9 novembre 2004 n. 6 così come modificato dal Reg. Reg n.1/2007 con il suo Art. 25 nulla dispone a tal proposito, nè potrebbe essendo norma secondaria di rango regionale, rinviando, di fatto al DPR n.285/1990 il quale, per altro demanda in toto la risoluzione del problema allo strumento strategico e principe per il buon governo del cimitero: il regolamento municipale di polizia mortuaria, quindi, ai sensi dell’Art. 117 comma 6 III Periodo Cost, così come riformato dalla Legge di Revisione Costituzionale n.3/2001 possiamo asserire questo principio: per le concessioni cimiteriali, all’interno delle norme quadro fissate dal CAPO XVIII DPR n.285/1990, replicate, poi, in buona sostanza anche dal regolamento regionale lombardo, sussiste una riserva di regolamentazione comunale di cui, ovviamente l’ente locale ha piena potestà.
La soluzione da Lei prospettata, del tutto coerente e legittima, è quella che in dottrina si definisce rapporto concessorio “a concessionario fisso” e si oppone alla figura del “concessionario scorrevole” vale a dire il subentro, se previsto come mi pare di capire, è solo nominale, e serve soprattutto per l’imputazione degli oneri manutentivi ex Art. 63 DPR n. 285/1990, ma non modifica affatto il concetto di “riserva” enucleato alla luce del commbinato disposto tra il regolamento comunale vigente alla stipula del regolare atto di concessione, titolo formale necessario ex Art. 98 DPR n. 285/1990 per poter vantare lo jus sepulchri in ambito cimiteriale, e l’atto stesso di concessione da cui sorge il rapporto concessorio a prestazioni sinallagmatiche tra il privato cittadino ed il comune quale ente concedente. Con quest’impostazione, per così dire rigida il novero delle persone portatrici dello jus sepulchri attivo e passivo è definito una ed una sola volta nel contratto di concessione (in realtà si tratterebbe di un rapporto paracontrattuale, perchè asimmetrico, non gestibile in pena autonomia per acta inter vivos, e sbilanciato a favore del comune per chiare ragioni di interesse pubblico).
In quest’evenienza nell’individuazione della riserva, con effetto di ultrattività (riflessi sul tempo presente di una norma ormai abrogata) continuerebbero ad applicarsi le norme del vecchio regolamento cui per esempio è rimessa di volta in volta la definzione di famiglia del concessionario (allargata anche agli affini? mononucleare?, di tipo patriarcale?) in difetto di questa regolamentazione varranno pur sempre gli Artt. 74, 75, 76, e 77 del Cod. Civile, così come novellati dalla disciplina sul nuovo diritto di famiglia (Legge 19 maggio 1975, n. 151).
Ribadisco il concetto: si tratta, dopo tutto, di una scelta politica (in senso nobile, s’intende!) la fattispecie del “concessionario mobile” si presta ad un’interpretazione più fluida dello jus sepulchri, consentendo un ottimale sfruttamento degli spazi cimiteriali, perchè dilata nel tempo la cosiddetta riserva (sempre entro i limiti dell’Art. 93 comma 2 DPR n. 285/1990), ma espone anche l’amministrazione comunale a defatiganti e perniciosi conflitti tra parenti tutti potenzialmente titolare del diritto di sepolcro.
MI sia consentita una nota: a subentrare non sono tanto gli eredi (jure hereditatis secondo quanto specificato dal diritto civile) quanto i discendenti jure sanguinis o jure coniugii dell’originario fondatore del sepolcro, poichè lo jus sepulchri è un diritto personale o, fors’anche personalissimo, correlato ai legami di sangue tra i diversi soggetti titolari di quest’ultimo, dove la componente patrimoniale (la proprietà sul bene sepolcrale ed il diritto reale di natura possessoria su quest’ultimo) rappresentano solo un fine intermedio e strumentale rispetto allo scopo ultimo di natura affettiva e di pietas conistente nel dare o ricever sepoltura.
Grazie per la risposta (e per le altre contenute negli altri post)
E’ già previsto l’inserimento nel nuovo Regolamento delle disposizioni che lei menziona in coda alla risposta (=applicazione delle nuove norme a vecchie situazioni, salvo notifica al comune di diritti “ULTERIORI” da esecitarsi nel termine di un anno)
Nello specifico poi della tematica del “fondatore originario” nel nuovo Regolamento avremmo una posizione oserei dire “intermedia” tra le due da Lei prospettate perchè da un lato si ammette il subentro degli eredi come concessionari (questo più che altro perchè secondo chi poi deve approvare il regolamento, sarebbe meglio che il rapporto di concessione avesse un titolare…vivo), dall’altro abbiamo inserito una norma (chiamiamolo articolo X) che dice che ” il diritto d’uso delle sepolture private è riservato alla persona del concessionario *fondatore* e a quelle della sua famiglia” e inoltre anche quando si parla del subentro dei “nuovi concessionari” viene precisato che questi assumo la qualifica di concessionari ma “In caso di aggiornamento dell’intestazione della concessione, non si ha variazione nell’individuazione delle persone aventi diritto alla sepoltura, in conformità a quanto stabilito dall’art. X che prevede l’individuazione degli aventi diritto in relazione alla parentela intrattenuta col solo concessionario fondatore.”
Viene perciò chiarito esplicitamente che attribuendo “il nome” di concessionario non si vuole ampliare il diritto di tumulazione.
Questa “costruzione” potrebbe funzionare?
La Regione dove lavoro è la Lombardia (ma forse l’ha letto in uno degli altri post)
X Novella,
non so da quale comune Lei mi scriva, potrebbe infatti, nel frattempo esser intervenuta apposita riforma su base locale della polizia mortuaria nella Sua Regione, ma poco importa perchè per il regime delle concessioni cimiteriali, in tutt’Italia, continua a valere il dettato del DPR 10 settembre 1990 n. 285, implementato, poi, nelle norme di dettaglio, dal regolamento municipale sui servizi cimiteriali, in quanto quest’ultime afferiscono pur sempre ad un bene (area cimiteriale, edificio cimiteriale o porzione dello stesso) per sua intima natura soggetto alla sola legge statale ai termini dell’Art. 117 lettera L) Cost.
Ogni municipalità deve dotarsi di un proprio regolamento di polizia mortuaria a far data dal Regio Decreto n. 2322/1865. In effetti in materia di polizia cimiteriale, poichè il cimitero per Legge, cioè ex Art. 824 comma 2 Cod. Civile, appartiene al demanio comunale, il comune ha potestà regolamentare sancita non tanto dall’Art. 7 D.LGS n. 267/2000 o dall’Art. 344 Testo Unico Leggi Sanitarie approvato con Regio Decreto n. 1265/1934 (che, pure la menziona esplicitamente) quanto, per previsione costituzionale, dall’Art. 117 comma 6 III Periodo Cost, ovviamente condizione d’efficacia per il regolamento comunale, dopo la delibera consigliare, è l’avvenuta omologazione da parte del Ministero della Salute ex Art. 345 Testo Unico Leggi Sanitarie da effettuarsi attraverso modi, forme e tempi dettati dal D.M. 18 novembre 1998, n.514, recante norme di attuazione degli articoli 2 e 4 della legge 7 agosto 1990, n.241.
Se si fosse in presenza di regolamento comunale che delinea l?’una o l?’altra circostanza, cioè possibilità o meno di subentro nell’intestazione del rapporto concessorio (ambedue possibili) si segue quanto specificato nel regolamento comunale di polizia mortuaria vigente, salvo le clausole di miglior favore (ad es. perpetuità) rilevabili dal contratto di concessione originario ed in questo caso si dovrebbe ragionare in termini di “ultrattività” del vecchio regolamento di polizia mortuaria.
Si tratta, alla fine, di implementare una saggia politica cimiteriale basata su questi due principi:
1) Concessionario fisso (solo il fondatore del sepolcro rimane titolare della concessione e solo a lui si fa riferimento per individuare la cosiddetta “RISERVA” ex Art. 93 comma 1 DPR n. 285/1990 vale a dire il novero di persone a lui legate da vincoli di coniugio o consanguineità ed aventi diritto di accoglimento nel sepolcro stesso, mentre i discendenti gli subentrano solo per l’imputazione degli oneri manutentivi ex Art. 63 DPR n. 285/1990)
2) Concessionario mobile (chi subentra nella titolarità non solo nominale della concessione assume a sua volta la qualifica di concessionario e così la “riserva” sarà calcolata anche sulla base dei soggetti legati jure sanguinis o jure coniugii al nuovo concessionario)
Attenzione: ai sensi dell’Art. 93 comma 2 DPR n. 285/1990 il diritto di sepolcro (da leggersi, almeno siano a quando si sia in vita, solo come legittima aspettativa) si esercita sino al completamento (= saturazione) della tomba, se non c’è materialmente spazio nel sepolcro per immettervi nuove sepolture (di feretri, cassette ossario, urne, contenitori di resti mortali) lo jus sepulchri si comprime naturalmente sino ad esaurirsi ed estinguersi.
Di conseguenza l’ordine d’ingresso nel sepolcro, se non diversamente specificato dall’atto concessorio o dalla convenzione che sovente lo accompagna, in sede di stipula dello stesso, è affidato alla cronologia degli eventi luttuosi, per altro del tutto non programmabili, dunque chi prima muore tra gli aventi diritto…meglio alloggia.
MI spiego meglio: chi si trovi nella posizione soggettiva di familiarità con il primo concessionario anche quando quest’ultimo sia deceduto (si tratta, in altre, parole del fondatore del sepolcro) vanta un diritto di sepolcro perfetto, acquisito ed imprescrittibile, così a nulla vale l’eventuale cambio di intestazione a causa di un subentro mortis causa, egli, pertanto, mantiene intatto nel tempo il proprio jus sepulchri, secondo il celebre brocardo latino del tempus regit actum
Le Sue deduzioni, sull’esponenziale aumento delle persone titolari dello jus sepulchri con inevitabile esplodere di conflittualità ed aspre contese tra parenti per accaparrarsi un posto… per il post mortem, magari in una prestigiosa cappella cimiteriale privata e gentilizia mi paiono sostanzialmente corrette.
Il regolamento di polizia mortuaria comunale dovrebbe contemplare al proprio interno un articolo in cui viene precisato che le disposizioni in esso contenute si applicano anche alle concessioni ed ai rapporti costituiti anteriormente alla sua entrata in vigore e che comunque il Regolamento comunale di polizia mortuaria precedente cessa di avere applicazione dal giorno di entrata in vigore del presente. Ora non è dato sapere se ciò viene previsto nel regolamento comunale dello scrivente Comune.
Seguendo le procedure previste in detto regolamento, chiunque ritenga di poter vantare la titolarità di diritti d’uso su sepolture private in base a norme del Regolamento precedente, può presentare al Comune gli atti o i documenti che comprovino tale sua qualità al fine di ottenerne formale riconoscimento.
Buonasera.
Stiamo rinnovando il regolamento di polizia mortuaria comunale. Nel precedente regolamento non veniva regolata la successione nell’intestazione di una cappella/di una sepoltura in genere. Di conseguenza consideravamo sempre “intestatario” il soggetto che stipulò il contratto. La conseguenza più immediata di questo è che nell’individuare i “tumulabili” nella sepoltura, il regolamento prevedeva una certa categoria di parenti (moglie/marito, fratelli/sorelle, figli) e questi parenti venivano sempre rapportati al solo “Concessionario originale”. (una conseguenza era quindi che la nuora o il genero di costui non aveva diritto ad essere sepolto. Chiamiamo questo tipo di regola “vecchia regola”.
Nel nuovo regolamento in stesura, è in studio un articolo che permetterà, alla morte del concessionario originale agli eredi di indicare, entro un anno dalla morte, chi siano i nuovi concessionari. La conseguenza principale (penso io) sarà che le parentele degli aventi diritto si avranno nei confronti dei nuovi concessionari, giusto??? In questo modo con la “nuova regola” un fratello del concessionario originale non avrà più titolo, avendo coi nuovi concessionari la parentela di “zio”. Mentre la moglie di un nuovo concessionario sarà tumulabile, mentre con la “vecchia regola” non lo era (in quanto “nuora” del concessionario originale).
Volevo chiedere, questa conclusione a cui sono arrivata è giusta??? Inoltre, è corretta sia le vecchia regola che la nuova???? (ciò in astratto potremmo andare avanti come abbiamo fatto finora, se mantenessimo la regola di prima???? Inoltre, questa nuova regola avrebbe effetto solo sulle nuove concessioni o anche sulla vecchie, in sostanza cambiando la regola avrei due diversi regimi a seconda di quando fu stipulato il contratto o tutti seguirebbero la “vecchia regola”?? Preciso che nel nuovo regolamento dovrebbe esservi una norma che dice che le nuove regole valgono per tutti i contratti, e che chi vanta diversi diritti di sepoltura ha un anno di tempo per farli valere, registrandoli in comune, altrimenti li perde. Grazie, spero che qualcuno mi risponda a breve perchè il regolamento andrà in consiglio tra pochi giorni.
X Memole,
A volte, qui o là, può anche essere accaduto che vi siano archivi non tenuti proprio correttamente, magari per effetto di atti di procedure scarto “improvvide”, oppure semplicemente per trascuratezza o per altre cause.
Se gli atti manchino, anche il ricorso al diritto d’accesso (del tutto susisstente!) rischia di scontrarsi con l’assenza “materiale” degli atti
I vecchi regolamenti nazionali di polizia mortuaria succedutisi in epoca post-unitaria e prima del periodo repubblicano (essi sono rispettivamente due Regi Decreti del 1891 e del 1892 sostituiti poi dal Regio Decreto n.1880/1942 cui succede il DPR n.803/1975 abrogato, poi, dall’attuale DPR 10 settembre 1990 n. 285) prevedevano per la concessione di area cimiteriale da adibire a sepolcro privato una procedura particolarmente complessa costituita da un preventivo nulla osta prefettizio e da una delibera del consiglio comunale cui poi, sarebbe seguita la stipula, tra le due parti contraenti, cioè il privato cittadino ed il comune, di quel regolare atto di concessione ex Art. 98 DPR n. 285/1990 necessario per poter vantare ed esercitare diritti su suolo e manufatti cimiteriali, o su porzioni degli stessi. Sarebbe, allora, interessante e proficua una ricerca in questo senso tra gli atti del comune o presso l’Archivio di Stato in cui si conservano le statuizioni consigliari dei primi del ’900, in quel periodo storico, infatti, le concessioni cimiteriali erano un evento abbastanza raro e, per tanto, facilmente rintracciabile, anche a distanza adi quasi un secolo.
All’epoca questi atti richiedevano il c.d. visto di esecutorieta’ da parte della GPA, organo soppresso con l’istituzione dei TAR).
Ad ogni modo, ed in via generale, laddove manchi il titolo (regolare atto di concessione), il solo rimedio sembrerebbe (dove il condizionale deriva dai pochi elementi qui forniti) essere quello della sentenza del tribunale civile (per ragioni di valore dovrebbe escludersi la competenza del Giudice di pace, ma non entro in questi aspetti processuali), passata in giudicato, che accerta (art. 2907 CC) la sussistenza del diritto, provando, documentalmente, sia la deliberazione di concessione, sia l’intervenuta approvazione, a suo tempo, dell’autorizzazione prefettizia, allora prescritta e ‘condizionante’.
E’ interesse dell’Amministrazione Comunale utilizzare al meglio il patrimonio cimiteriale già costruito, favorendo il completamento della capienza dei sepolcri.
Chi intenda subentrare nella intestazione deve provare di averne titolo, esibendo l’atto di concessione (compravendita, donazione o altro titolo finché ciò è stato possibile) e le certificazioni (o autocertificazioni ex DPR n. 445/2000) attestanti i rapporti di parentela, secondo la regola dello jure sanguinis.
Il diritto di sepoltura nei sepolcri privati nei cimiteri è riservato al concessionario ed ai componenti della di lui famiglia, ciò esclude che possano trovarvi sepoltura le salme di altre persone. La definizione dell’ambito della famiglia del concessionario va, od andrebbe, definita dal Regolamento comunale di polizia mortuaria, il quale dovrebbe altresì regolare il c.d. subentro nella concessione in caso di decesso del concessionario (fondatore del sepolcro), siccome la fonte Regolamentare locale potrebbe prevedere tanto che al concessionario debba farsi riferimento anche post mortem quanto che i suoi discendenti assumano, a loro volta, la posizione di concessionari (ipotesi che modifica, od amplia, la definizione di famiglia del concessionario). In altre parole, sia la definizione di famiglia del concessionario sia gli effetti che si abbiano in conseguenza del decesso del concessionario (fondatore del sepolcro) sono rimessi alla fonte regolamentare locale.
Quanto, poi, all’istituto del subentro nell’intestazione del rapporto concessorio il regolamento di polizia mortuaria comunale dovrebbe prevedere al proprio interno un articolo in cui venga precisato che le disposizioni in esso contenute si applicano anche alle concessioni ed ai rapporti costituiti anteriormente alla sua entrata in vigore, fatte, ovviamente salve le clausole di miglior favore, come, ad esempio, la perpetuità della concessione, e che comunque il Regolamento comunale di polizia mortuaria precedente cessa di avere applicazione dal giorno di entrata in vigore del presente. Ora non è dato sapere se ciò viene previsto nel regolamento comunale dello scrivente Comune. Seguendo le procedure previste in detto regolamento, chiunque ritenga di poter vantare la titolarità di diritti d’uso su sepolture private in base a norme del Regolamento precedente, può presentare al Comune gli atti o i documenti che comprovino tale sua qualità al fine di ottenerne formale riconoscimento.
Per la reintegrazione dei titoli andati perduti o distrutti, vuoi per calamità naturali, eventi bellici o semplice disattenzione ci sono due soluzioni percorribili: l’una, quella più classica implica di adire l’autorità giudiziaria, in sede civile, per l’accertamento di un diritto ai sensi dell’Art. 2697 Codice Civile, la Magistratura, naturalmente, potrà ricorrere a qualunque mezzo di prova, mentre la verifica dello Jus SEpulchri in via amministrativa di solito non eccede la mera valutazione dei titoli formali, in quanto l’azione amministrativa non può sconfinare nell’attività giurisdizionale riservata al giudice.
L’altra, forse più “garibaldina” e “spericolata” è costituita da quell’insieme di norme conosciute come istituto dell’immemoriale.
Detto questo, come dovuto e doveroso preambolo, fosse per me rischierei la formula del TANTUM JURIS che, poi, si sostanzia, come norma positiva, nell’istituto dell’immemoriale (https://www.funerali.org/?p=1172), anche se l’immemoriale è stato superato per i rapporti di diritto pubblico con l’allegato A della Legge n.2248/1865 (Legge per l’Unificazione Amministrativa del REGNO d’ITALIA), pur permanendo, a certe condizioni sempre più stringenti, per altro, nei soli rapporti di diritto pubblico. Per la sua applicazione al caso concreto esso, però, deve esser appositamente codificato nel regolamento comunale di polizia mortuaria.
Si consiglia di richiedere una ricerca approfondita al Comune, il quale deve mantenere traccia nei propri archivi delle concessioni effettuate. In caso di assenza di contratto originario di concessione (attenzione un Comune può essere anche frutto di separazione da un Comune preesistente e quindi la documentazione originaria potrebbe essere all?archivio del Comune padre) o almeno della prova del pagamento dell?area, o ancora del rilascio della autorizzazione alla costruzione, chieda al Comune di verificare che vi sia stato un uso continuativo della Cappella da parte della sua famiglia nel tempo (è provabile facendo la ricerca nei registri delle sepolture cimiteriali che sono in archivio comunale, producendo anche l?elenco con fotografia, delle iscrizioni tombali). Se si ottiene la prova della sepoltura continuativa nella Cappella e non si trova invece niente altro è possibile avviare una procedura per riconoscere egualmente il diritto attraverso l?istituto dell?immemoriale. L’immemoriale (altrimenti noto anche come immemorabile) è un istituto che secondo parte della dottrina è andato in prescrizione, secondo altri no.
Concessione perpetua: nel caso in cui il Comune perda l’atto di concessione (risalente ai primi del 900), cosa possono fare i discendenti il linea retta per regolarizzare il rapporto ?
Grazie