Il Comune di XYZ sito in Regione Emilia Romagna, riferisce di un contratto, datato 30 settembre 1965 e relativo alla concessione cimiteriale per la costruzione di una tomba di famiglia, privo dell’indicazione della scadenza della concessione medesima, mentre la deliberazione del consiglio comunale, previamente adottata al riguardo (in data 30 agosto 1965), accogliendo l’istanza avanzata dal privato, ha disposto “di concedere in perpetuo l’area cimiteriale” di cui trattasi.
Innanzi tutto bisogna ricordare come il Regio Decreto n.1880/1942 subordinasse il rilascio della concessione amministrativa per impiantare un sepolcro privato a due condizioni: nulla osta prefettizio e conseguente deliberazione del consiglio comunale. Quest’ultima è particolarmente importante qualora si dovesse risalire al titolo di legittimità di una concessione “sine titulo”, perché l’originale atto di concessione è andato smarrito o distrutto vuoi per eventi bellici, catastrofi, separazione degli archivi…
Stante la rilevata lacuna nel testo del contratto, il Comune chiede se sia possibile redigere una presa d’atto, con cui fissare a 99 anni la durata della concessione in essere, anche se antecedente al 10 febbraio 1976.
Per il principio generale di irretroattività della norma giuridica si propende per una risposta tassativamente negativa, il comune, infatti, non può, in modo unilaterale, modificare una rapporto giuridico di concessione che ha liberamente posto in essere, in quanto in tutti i regolamenti di polizia mortuaria postunitari il comune ha sempre e solo facoltà e mai obbligo di far sorgere in capo ad un privato lo Jus Sepulchri in una tomba data in concessione, in quanto ex Art. 337 Regio Decreto n.1265/1934, nei confronti della popolazione e del proprio territorio, il comune deve solamente disporre di un cimitero a sistema di inumazione in campo di terra.
Occorre, anzitutto, rilevare alcuni fatti sostanziali:
1) è ben vero che il contratto[1] stipulato tra le parti risulta privo di una specifica clausola di durata della concessione (omissione, questa, che non sembra potersi imputare al privato).
2) è altrettanto assodato come l’amministrazione comunale abbia palesato espressamente la sua volontà, adottando un atto deliberativo nel quale si è disposto – con riferimento alla specifica istanza a tal fine avanzata – “di concedere in perpetuo l’area cimiteriale”.
L’atto di concessione deve, quindi, essere interpretato, quanto a durata, nel senso puntualmente chiarito in sede deliberativa, qualora la disciplina normativa allora vigente – di cui si darà conto tra breve – non si opponesse ad una tale conclusione. Siamo, infatti, dinnanzi ad una caso di ultrattività del Regio Decreto n.1880/1942 secondo il brocardo latino del Tempus Regit Actum
Occorre anche evidenziare e ribadire questo aspetto: com’è noto, il rapporto giuridico formalizzato dall’atto di concessione e dal relativo contratto dovrebbe rimanere insensibile, stante i principi del tempus regit actum e dell’irretroattività della legge, alle successive modifiche normative[2], tranne ove, in sede legislativa, si disponessero innovazioni dichiaratamente applicabili anche ai rapporti sorti in precedenza.
Il contratto de quo è stato stipulato all’epoca in cui era vigente il regolamento nazionale di polizia mortuaria[3] adottato con Regio Decreto 21 dicembre 1942, n. 1880[4] il quale, all’art. 70, primo comma, disponeva quanto segue: [omissis] le concessioni cimiteriali “si distinguono in temporanee, ossia per un tempo determinato, e perpetue. Queste ultime si estinguono con la soppressione del cimitero, salvo quanto è disposto nel seguente articolo 76[5]”.
Solo con i successivi regolamenti nazionali di polizia mortuaria la previsione di perpetuità delle concessioni di aree cimiteriali è venuta meno[6] ed è stata contemplata la facoltà, per i comuni, di revocare le concessioni ‘a tempo determinato’, di durata eventualmente eccedente i 99 anni[7], rilasciate anteriormente alla data di entrata in vigore del decreto del Presidente della Repubblica 21 ottobre 1975, n. 803.
o di rinnovarne (di solito una volta sola) la durata per un lasso temporale non eccedente i 99anni.
Va, al riguardo, chiarito come la perpetuità costituisca elemento di ‘durata indefinita’, “sine die” e sub specie aeternitatis per nulla assimilabile (anzi, contrapposta) alla durata ‘a tempo determinato’, cui fa espresso riferimento la disciplina della revoca delle concessioni ultranovantanovennali, cosicché – come viene sostenuto dalla giurisprudenza prevalente[8] – l’istituto non sarebbe applicabile alle concessioni perpetue, le quali, così rimarrebbero tali.
Infatti, il Giudice amministrativo, ha rilevato che:
“nella vigenza del d.P.R. 803/1975[9], una concessione cimiteriale perpetua non può essere revocata e la sua cessazione può darsi unicamente nell’eventualità di estinzione per effetto della soppressione del cimitero[10]”;
” le concessioni perpetue non sono soggette alla trasformazione a tempo determinato, imposta dalla disciplina sopravvenuta e rimangono assoggettate al regime giuridico vigente al momento del loro rilascio[11];
> le concessioni perpetue non ricadono nell’ambito della disciplina di cui all’art. 92, comma 2, primo periodo, del d.P.R. 285/1990, il quale riguarda esclusivamente le concessioni cimiteriali a tempo determinato, di durata eventualmente eccedente i 99 anni. Pertanto, si deve ritenere che “le concessioni perpetue rilasciate in data anteriore a quella di entrata in vigore del D.P.R. 21 ottobre 1975, n. 803, si configurino quale situazione di diritti acquisiti e non siano soggette a revoca, se tale istituto non è contemplato con criteri più elastici ed “intrusivi” dal regolamento comunale di polizia mortuaria, di cui, come sempre si richiama la centralità, nella complessa gestione della “macchina cimiteriale”.
Dette concessioni, pertanto, mantengono il carattere di perpetuità”[12].
Alle medesime conclusioni perviene anche un autorevole Autore, secondo il quale la differenza tra le concessioni a tempo determinato e quelle a perpetuità è sostanziale ed implica che “i sepolcri privati sorti nel passato e regolati, per quanto riguarda la durata, in modo difforme da quelli che sono i limiti attuali (tempo determinato e termine temporale massimo), continuino ad essere assoggettati al regime temporale originario”[13].
Le considerazioni fin qui esposte inducono a ritenere che il Comune non possa comprimere – se non in virtù di un accordo pattizio con il privato[14] – il diritto, acquisito dal concessionario in via perpetua, all’epoca in cui ciò era consentito dalle previsioni normative vigenti ed è stato espressamente statuito da una formale manifestazione di volontà dell’Ente.
Si mediti, a tal proposito su questo pronunciamento del giudice amministrativo:
Consiglio Stato, sez. V, 11 ottobre 2002, n. 5505
La normativa comunale che impone, a pena di decadenza, il rinnovo della concessione cimiteriale perpetua al trascorrere di ogni trentennio è in contrasto con la disposizione dell’art. 93 d.P.R. 21 ottobre 1975 n. 803, il cui contenuto è stato poi ripetuto nell’art. 92 d.P.R. 10 settembre 1990 n. 285.
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[1] Attualmente, all’atto di concessione si accompagna una ‘convenzione’, nella quale le parti definiscono dettagliatamente le condizioni disciplinanti il rapporto giuridico. [2] Al riguardo, si ricorda che la giurisprudenza amministrativa:– ha rilevato l’illegittimità del provvedimento con il quale il comune sottopone una concessione di terreno pubblico, nel cimitero comunale, per l’uso perpetuo di privato sepolcro, rilasciata nel 1933, alle più restrittive prescrizioni in materia di tumulazione dei feretri introdotte da un regolamento di polizia mortuaria entrato in vigore nel 1990 (v. TAR Emilia-Romagna, Sez. II, 25 novembre 1993, n. 616);
– ha sancito che i principi giuridici del tempus regit actum e della generale irretroattività delle norme ammettono deroghe, da parte dell’amministrazione, solo nel caso in cui la norma subentrante sia diretta a migliorare la posizione giuridica dei suoi destinatari (v. TAR Sicilia – Catania, Sez. III, 24 dicembre 1997, n. 2675). [3] Fonte di riferimento, dalla quale il regolamento comunale non può discostarsi. [4] Rimasto in vigore fino al 9 febbraio 1976. [5] L’art. 76, primo comma, del r.d. 1880/1942 stabiliva che “Gli enti o le persone fisiche concessionari di posti per sepolture private, con i quali i comuni siano legati da regolare atto di concessione, hanno soltanto diritto, salvo patti speciali stabiliti prima della pubblicazione del regolamento di polizia mortuaria approvato con regio decreto 25 luglio 1892, n. 448, ad ottenere, a titolo gratuito, nel nuovo cimitero, per il tempo che loro ancora spetta o a perpetuità, un posto corrispondente in superficie a quello precedentemente loro concesso nel cimitero soppresso ed al gratuito trasporto delle spoglie mortali dal soppresso al nuovo cimitero”. [6] V. l’art. 93, primo comma, del decreto del Presidente della Repubblica 21 ottobre 1975, n. 803 e l’art. 92, comma 1, del decreto del Presidente della Repubblica 10 settembre 1990, n. 285, ai sensi dei quali le concessioni “sono a tempo determinato e di durata non superiore a 99 anni, salvo rinnovo”. [7] A condizione che siano trascorsi 50 anni dalla tumulazione dell’ultima salma, ove si verifichi una grave situazione di insufficienza del cimitero, rispetto al fabbisogno del comune, e non sia possibile provvedere tempestivamente all’ampliamento o alla costruzione di nuovo cimitero (v. art. 93, secondo comma, del d.P.R. 803/1975 ed art. 92, comma 2, del d.P.R. 285/1990). [8] Corre, tuttavia, l’obbligo di segnalare, in senso difforme, la posizione assunta da Consiglio di Stato – Sez. V, 28 maggio 2001, n. 2884, secondo il quale, atteso che i cimiteri ricadono nell’ambito dei beni demaniali, i cui atti dispositivi non sono legittimamente configurabili senza limiti di tempo, la concessione, da parte di un comune, di aree o porzioni di un cimitero pubblico è soggetta a tali regole demaniali, indipendentemente dall’eventuale perpetuità del diritto di sepolcro, onde legittima è la revoca dell’atto concessorio rilasciato ‘sine die’.
Tale sentenza ha ritenuto legittima la revoca, operata dal comune ai sensi del d.P.R. 803/1975, di alcune concessioni perpetue, rilasciate negli anni 1940-1941, nella vigenza del regio decreto 25 luglio 1892, n. 448 (il cui art. 100 prevedeva le concessioni cimiteriali a tempo determinato e ‘a perpetuità’) e del codice civile del 1865, che non annoverava espressamente i cimiteri tra i beni demaniali. [9] Ma, come si vedrà, anche del d.P.R. 285/1990. [10] V. Consiglio di Stato -Sez. V, 8 ottobre 2002, n. 5316. [11] V. TAR Sardegna – Cagliari, Sez. II, 30 gennaio 2006, n. 95, secondo cui l’art. 92 del d.P.R. 285/1990 “si riferisce esclusivamente alle concessioni cimiteriali esistenti a tempo determinato e non alle concessioni cimiteriali perpetue […]. Pertanto, queste ultime rimangono assoggettate al regime giuridico vigente al momento del loro rilascio, potendo essere modificate solo da espressa disposizione di legge, da novazioni consensuali o dal concretarsi dei casi di estinzione quali ad es. soppressione del cimitero”. [12] V. TAR Lazio – Roma, Sez. II, 14 gennaio 2009, n. 138. [13] S. Scolaro “La polizia mortuaria. Guida pratica alla gestione funeraria e cimiteriale”, Maggioli, 2007, pag. 291 e segg.. [14] Ossia, come puntualmente afferma la giurisprudenza citata in nota n. 11, da novazione consensuale.
Gentile Laura,
dall’atto di concessione origina una comunione indivisibile, in effetti Nelle ipotesi di sepolcri collettivi (familiare e comunitario) la titolarità del diritto di sepolcro, soprattutto quello primario (cioè diritto ad dare o ricevere sepoltura), presenta alcuni caratteri particolari, infatti appartiene al fondatore e ai membri della famiglia o agli appartenenti all'”ente”. In tal modo si determina una particolare forma di comunione fra i vivi titolari; da non confondersi tuttavia con la comunione dei diritti reali, in quanto soggetta ad un regime peculiare, caratterizzato dalla indisponibilità del sepolcro da parte di uno o di alcuno soltanto dei suoi titolari.
Il rinnovo altro non è se non una concessione ex novo, anche se essa viene attribuita ai medesimi soggetti che a diverso titolo ne hanno fruito in passato e senza soluzione di continuità temporale; in realtà si è in presenza di una concessione del tutto nuova ed ovviamente a titolo oneroso per il cittadino concessionario, così essa potrebbe venir regolata in modo diverso (ad es. nella titolarità della stessa e negli eventuali subentri) rispetto, al rapporto concessorio precedente, in quanto tra i due sussiste una totale indipendenza ed autonomia.
Si può utilmente meditare su questa autorevole giurisprudenza, invero piuttosto consolidata nel corso dei decenni:
1) Cassazione civile, 1° giugno 1936 n. 553 I sepolcri gentilizi o familiari, ammessi da una secolare tradizione, nonché dalla legislazione positiva (T.U. della legge sanitaria 27 luglio 1934, n. 1265, art. 340), seguono la destinazione data da colui che li ha costruiti, e pertanto non sono suscettibili di divisione fra i vari partecipanti in base alle norme del Codice civile relative allo scioglimento delle comunioni. Tuttavia, ciascuno dei partecipanti può apportare al sepolcro quelle modificazioni che non siano contrarie agli interessi della comunione e non pregiudichino l’esercizio del diritto degli altri partecipanti.
2) Cassazione civile, Sez. I, 7 febbraio 1961 n. 246 Il diritto primario di sepolcro rispetto ad una tomba gentilizia importa il diritto alla tumulazione in quella tomba e determina una comunione indivisibile fra tutti i titolari del predetto diritto primario, sicché resta escluso il potere di disposizione della tomba stessa da parte di uno o di alcuni solo tra i predetti titolari o aventi causa da essi. Il diritto secondario di sepolcro importa il diritto di accedere alla tomba per compiervi gli atti di culto e di pietà verso le salme dei propri congiunti o dei propri danti causa, ivi legittimamente seppellite nonché il diritto di impedire atti che turbino l’avvenuta tumulazione delle predette salme. Il diritto secondario di sepolcro si risolve in un ius in re aliena che grava sulla tomba e ne segue gli eventuali trasferimenti. Per la validità dell’atto di disposizione di una tomba, non è necessario il consenso anche dei titolari del diritto secondario di sepolcro rispetto a quella tomba. I predetti titolari però hanno il diritto di far dichiarare la nullità di quelle clausole, dell’atto di disposizione, che importino turbativa della sistemazione già data legittimamente alle salme dei propri parenti o danti causa o che ledano, comunque, il contenuto del proprio diritto secondario di sepolcro.
3) Cassazione civile, Sez. II, 7 ottobre 1977 n. 4282 La titolarità dello ius sepulcri in ordine ad una tomba gentilizia, come diritto primario di essere seppellito o di seppellire altri in un dato sepolcro (ius inferendi in sepulcrum), spetta – salvo contraria determinazione di volontà del fondatore – a tutti coloro che sono legati da vincoli di sangue col medesimo e determina una comunione indivisibile fra i titolari: resta, pertanto, escluso il poter di disposizione del diritto da parte di uno o di alcuni soltanto fra tali titolari o aventi causa dagli stessi. (Nella specie, i giudici del merito avevano ritenuta la nullità di una scrittura privata con la quale era stato conferito il godimento senza limiti di tempo di alcuni loculi a persone non appartenenti alla famiglia dei concessionari dell’area sulla quale era stata costruita la cappella gentilizia. La S.C., nel confermare la decisione impugnata, ha formulato il principio contenuto nella massima che precede).
4)Cassazione civile, Sez. II, 24 gennaio 1979 n. 532 La titolarità dello “ius sepulcri” in ordine ad una tomba gentilizia, quale diritto primario di essere seppellito o di collocare le salme in un sepolcro familiare, determina una comunione indivisibile fra i suoi titolari.
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In Risposta al suo quesito, per disciplinare correttamente la questione è necessario ricorrere all’istituto dell'”accrescimento”, ancor meglio se contemplato come norma formale dal regolamento comunale di polizia mortuaria: il titolare dello jus sepulchri e, quindi, di quote della concessione rinuncia alla propria parte e, così, vede spontaneamente estinguersi il proprio diritto a dare o ricever sepoltura in quella particolare edicola funeraria (cappella gentilizia o anche singolo loculo). In questo modo i restanti “aventi diritto” interessati a rinnovare la concessione e con essa il loro jus sepulchri vedono aumentare o meglio ancora dilatarsi il loro diritto di uso sul manufatto sepolcrale e di proprietà sugli elementi materiali che compongono lo stesso (dal paramento lapideo, alle lastre tombali, senza dimenticare gli arredi votivi).
Chi retrocede la propria quota di titolarità decade, per propria volontà, (è bene ripetere il concetto!) dalla posizione di concessionario e, dunque, principalmente dallo jus sepeliendi e dallo jus inferendi mortuum in sepulchrum, senza poi considerare i diritti reali (ossia sulla “res”) che sorgono sul sepolcro (inteso come edificio fisico)
A tale scopo ben vedrei la individuazione di una norma transitoria, da pubblicizzare opportunamente, che preveda un giusto lasso di tempo (ad es. 3-4 anni) entro il quale regolarizzare le posizioni. Decorso tale termine il diritto cessa e quindi si attivano le procedure per la decadenza delle concessioni e, se necessario, per l’accrescimento della quota degli intestatari rimanenti. Analogamente il regolamento locale dovrà prevedere criteri economici e procedurali per la rinuncia alla concessione o a quote di questa, fatta salva la possibilità di accettazione da parte del Comune.
Buongiorno,
mi inserisco per porre un quesito relativo ai rinnovi di concessioni cimiteriali, nel caso specifico a tempo determinato. E’ una facoltà che il ns RPM locale prevede, pertanto si invitano i concessionari o in caso di decesso gli eredi a pronunciarsi se intendono rinnovare la concessione o sottoscrivere l’eventuale rinuncia, in caso entro la data indicata non pervenga alcuna dichiarazione il Comune rientra nella piena disponibilità della sepoltura dando avvio alle procedure di estumulazione. Fin qui nulla di strano, ma a seconda dello stato dei concessionari si possono verificare situazioni nello specifico difficili da interpretare:
1) un contratto scaduto intestato a più concessionari (5 tra fratelli e sorelle che non vanno daccordo) che prevedeva la sepoltura in tomba di famiglia degli stessi…..e nelle risposte tre rinunciano alla loro possibilità di rinnovo esprimendosi anche a favore dell’unica sorella interessata a mantenere la sepoltura, un fratello non si esprime (pensando in qs modo di bloccare la situazione);
2) un contratto scaduto dove l’unico concessionario fondatore è deceduto l’invito viene fatto agli eredi e anche qui qualcuno si esprime qualcuno no.
Ci chiediamo è necessario che ai fini di un rinnovo la situazione concessoria rimanga immutata o quanto meno completa rispetto a tutti gli aventi diritto? Serve la maggioranza? l’avente diritto che non si esprime convinto di lasciare la sua parte al Comune impedisce un rinnovo agli altri interessati?
Il Regolamento non si esprime nello specifico e allo stesso tempo lo spirito della gestione generale dei ns cimiteri è comunque quello di prevedere rinnovi di tombe esistenti proprio per fare in modo che le famiglie le utilizzino fino alla capienza che si amplia il più possibile con le cremazioni.
Sperando di avere dato giusta spiegazione del caso sottoposto, si ringrazia anticipatamente per ogni chiarimento possibile.
X Mariano,
L’atto di concessione trae fondamento da un titolo formale, rilasciato in duplice copia, con tanto di marca da bollo, dopo tutto un titolo, giuridicamente parlando, è pur sempre un titolo!
Se la concessione è “sine titulo”, ossia figura come illegittima si consiglia di consultare questo link: https://www.funerali.org/?p=373
Va premesso che la titolarità della concessione dovrebbe risultare da regolare atto di concessione ex Art. 98 DPR n. 285/1990 e che il diritto di sepoltura nei sepolcri privati è definito dall’atto di concessione e dal regolamento comunale di polizia mortuaria, al quale spetta anche di individuare ‘ambito delle persone da considerare quali familiari del concessionario ai fini del subentro nell’intestazione.
E’ interesse dell’Amministrazione Comunale utilizzare al meglio il patrimonio cimiteriale già costruito, favorendo il completamento della capienza dei sepolcri.
Chi intenda subentrare nella intestazione deve provare di averne titolo, esibendo l’atto di concessione (compravendita, donazione o altro titolo finché ciò è stato possibile) e le certificazioni (o autocertificazioni ex DPR n. 445/2000) attestanti i rapporti di parentela, secondo la regola dello jure sanguinis.
Detto ciò, come dovuto e doveroso preambolo, fosse per me rischierei la formula del TANTUM JURIS che, poi, si sostanzia, come norma positiva, nell’istituto dell’immemoriale (https://www.funerali.org/?p=1172), anche se l’immemoriale è stato superato per i rapporti di diritto pubblico con l’allegato A della Legge n.2248/1865 (Legge per l’Unificazione Amministrativa del REGNO d’ITALIA), pur permanendo, a certe condizioni sempre più stringenti, per altro, nei soli rapporti di diritto pubblico.
Per l’accertamento in sede giudiziale di un diritto si veda la norma formale contenuta nell’Art. 2697 Codice Civile, la qu ale richiede, pur sempre, un pronunciamento giurisprudenziale
In caso di assenza di contratto originario di concessione (attenzione un Comune può essere anche frutto di separazione da un Comune preesistente e quindi la documentazione originaria potrebbe essere all’archivio del Comune padre) o almeno della prova del pagamento dell’area, o ancora del rilascio della autorizzazione alla costruzione, chieda al Comune di verificare che vi sia stato un uso continuativo della Cappella da parte della sua famiglia nel tempo (è provabile facendo la ricerca nei registri delle sepolture cimiteriali che sono in archivio comunale, producendo anche l’elenco con fotografia, delle iscrizioni tombali). Se si ottiene la prova della sepoltura continuativa nella Cappella e non si trova invece niente altro è possibile avviare una procedura per riconoscere egualmente il diritto attraverso l’istituto dell’immemoriale di cui sopra, ma esso, per esser attivato, deve esser espressamente previsto nel regolamento comunale di polizia mortuaria.
Ad ogni modo, come ha chiarito la giurisprudenza (T.A.R. LOmbardia, Brescia, 1 Aprile 1996 sentenza n.377) è illegittimo, per il principio del Tempus Redit Actum, il provvedimento con cui il comune sottopone una concessione cimiteriale alle più restittive previsioni (esempio il divieto di perpetuità) introdotte da un regolamento di polizia mortuaria entrato successivamente in vigore. Si veda anche in merito alla revoca di diritti acquisiti sulla perpetuità di una sepoltura T.A.R Lazio, Roma Sezione II 14 gennaio 2009 n. 138.
Se non si riesce a trovare il contratto per un loculo preso in proprietà nel 1945 come poter mantenere questo loculo? anche perchè nell’occasione della morte del proprietario del loculo è stata estumulata la figlia e tumulato lo stesso proprietario pagando i relativi diritti e spese varie. Adesso a distanza di mesi il comune mi scrive dicendo che vuole fare un nuovo contratto.
All’atto della recente tumulazione abbiamo fatto anche una dich.sostitutiva atto notorio dove si diceva che il loculo era di proprietà ma non si era in possesso del contratto. Devo pagare o posso stare tranquillo.
1) Sull’annosa disputa se siano gli eredi o gli aventi diritto jure sanguinis ad esser titolari dello jus sepulchri si consulti in primis questo link: https://www.funerali.org/?p=283
2) Diversi e numerosi sono i pronunciamenti giurisprudenziari sullo JUS SEPULCHRI: eccone una piccola, m significativa antologia: https://www.funerali.org/?p=702
3)Se non differentemente specificato nell’atto di concessione il sepolcro ha carattere FAMILIARE, è, cioè, “sibi familiaeque suae”, ossia per il concessionario e per la propria famiglia. […] Lo “ius sepulchri”, cioè il diritto alla tumulazione (autonomo e distinto rispetto al diritto reale sul manufatto funerario o sui materiali che lo compongono), deve presumersi di carattere non ereditario, ma familiare, in difetto di specifica diversa volontà del fondatore, e quindi considerarsi sottratto a possibilità di divisione o trasmissione a terzi non legati “iure sanguinis” al fondatore medesimo, mentre resta in proposito irrilevante la eventuale cedibilità prevista nel regolamento o nell’atto di concessione comunale. A tal fine l’individuazione della natura di una cappella funeraria come sepolcro familiare o gentilizio oppure come sepolcro ereditario costituisce apprezzamento di mero fatto non suscettibile di sindacato in sede di legittimità, qualora sorretto da motivazione sufficiente e immune da vizi logico – giuridici”.
Così si è espressa la Cassazione civile , sez. II, 29 gennaio 2007, n. 1789.
La volontà del fondatore circa la destinazione a sepolcro, ereditario o familiare, può essere manifestata in qualsiasi forma, nel caso di dubbio circa la qualificazione dello stesso, si presume che il fondatore abbia voluto costruire un sepolcro familiare (cfr. Cass. 2000 n. 12957). Il concetto di famiglia, rilevante per individuare gli aventi diritto dei titolari del c.d. sepolcro familiare, viene stabilito dallo stesso fondatore, il quale può anche indicare nominativamente i singoli componenti, ma nei limiti del rapporto di consanguineità; in difetto si deve ricorrere ad una casistica giurisprudenziale estremamente variegata, la quale ha ora riconosciuto, ora escluso il diritto alla sepoltura per determinati familiari, a seconda che si ritengano necessari o alternativi, per aversi vincolo familiare, i due elementi della comunanza di sangue e di nome. Il diritto al sepolcro familiare sorge in capo a ciascun titolare nel momento della nascita, iure proprio e iure sanguinis, in forza del legame familiare col fondatore; per i già nati esso nasce al momento del rilascio della concessione. Trattasi di un diritto personalissimo e pertanto intrasmissibile mortis causa o inter vivos
4) Il diritto di sepolcro per la per la persona ancora in vita è una mera aspettativa, esso produce i suoi effetti e li esaurisce hic et nunc nel momento in cui la salma è introdotta in quella determinata tomba oggetto dello jus sepulchri, siamo, forse dinnanzia all’unico diritto che si eserciti con la morte, cioè quando, per effetto della stessa si esaurisce la capacità giuridica di esser titolari di diritti e doveri.
5) Il diritto di sepolcro ex Art. 93 comma 1 II Periodo DPR 10 settembre 1990 n. 285 si esercita sino al completamento della capienza fisica del sepolcro stesso…in parole povere:…chi prima muore meglio alloggia!
6) La “riserva” ovvero il novero delle persone le cui spoglie mortali saranno accolte in quel dato sepolcro è stabilita, in primis, dal fondatore durante la stipula dell’atto di concessione ed in seguito dalla cronologia degli eventi luttuosi…chi prima muore meglio alloggia.
7) l’ingresso di feretri non legittimati ad esser sepolti in quel dato sacello può esser impedito con l’azione negatoria o di manutenzione ai sensi del Codice Civile.
Nelle precedenti note si è citata la sentenza della Corte di Cassazione, n. 5095 del 29/5/1990. Rileggendo il tutto ho rilevato che nella mia prima nota citavo citavo la n. 5015 del 29/5/1990 sempre della Cassazione. Sono incorso in errore ed ho frainteso oppure sono due sentenze diverse.
Grazie per la pronta e dettagliata risposta. Mi scuso ma non ho ben formulato la domanda n. 1) ed il contesto:
1) Premetto che il fratello e le sorelle di Giorgio sono deceduti, abbiamo solo il figlio del fratello e i figli delle sorelle. Ora, rispetto al padre di Giorgio (il G. della minuta è stato mal riportato da chi scriveva in internet) abbiamo l’unico discendente diretto cioè un figlio del figlio (appunto figlio del fratello di Giorgio). Partendo dal presupposto che la volontà del fondatore è indicata chiaramente nella domanda di concessione, e poiché nella immediata stesura del contratto da parte del comune si parla solo di eredi (a parte la successiva estensione per la tumulazione ai figli delle sorelle) è lecito definire detto nipote il legittimo discendente ai fini del rapporto concessorio, incluso il diritto primario di sepolcro per sé e i suoi discendenti, in assenza appunto di figli da parte di chi ha voluto la Cappella? (situazione, data la tarda età del fondatore, già prevista, evidente e riconosciuta nel momento della stesura del contratto)
Anche, esaminando da un altro punto di vista, si tratta del figlio dell’unico fratello del fondatore morto senza figli (ci sono naturalmente i figli delle sorelle sposate, citati nella domanda e nel documento di concessione al fine di estendere il diritto di tumulazione), mi pare, credo, che ricorrano gli elementi definiti nelle sentenze della Corte di Cassazione, citate nella risposta al punto 5 (Corte di Cassazione, Sez. II, sent. n. 5095 29/5/1990 e Sez. II, sent. n. 12957 del 7/3-29/9/2000) ), inclusa la volontà del fondatore indicata nella domanda di concessione.
2)Non mi è ben chiaro quanto richiesto nella mia precedente al punto 4) cioè: Hanno diritto di tumulazione anche i coniugi dei figli delle sorelle (ed eventualmente anche i figli di queste)? Occorre tener conto che il vecchio e l’attuale Regol. di P.M. non lo prevedono. Ambedue gli articoli dei R.P.M. sono indicati nella mia precedente nota.
Chiedo scusa per le continue ripetizioni dei gradi di parentela ma fatte solo per chiarezza (spero).
Grazie ancora per il chiarimento che mi ha dato e anticipatamente per quello che mi vorrà dare in merito ai due citati punti.
Corte di cassazione, sez. II, sent. 30 maggio 1984, n. 3311: “Il diritto su costruzione al di sopra o al di sotto del suolo di area cimiteriale, destinata a raccogliere e custodire i resti mortali dei defunti (tomba, cappella, etc.) – fondato su una concessione amministrativa di terreno demaniale (art. 824 c.c.) – nei rapporti con gli altri privati si atteggia come un diritto reale particolare, suscettibile di trasmissione per atto inter vivos e per successione mortis causa, indipendentemente dallo jus sepulchri e dal diritto alla tumulazione (relativo a sepolcro familiare o gentilizio) il quale, invece, si acquista per il solo fatto di trovarsi in un determinato rapporto di parentela con il fondatore (ossia, jure sanguinis e non jure sucessionis), non può essere trasmesso per atto tra vivi, né per successione mortis causa e si estingue per ciascun titolare nel momento in cui il cadavere del medesimo viene deposto in quel dato sepolcro, salvo quel suo aspetto secondario attinente agli atti di pietà e di culto. Pertanto, il diritto reale suindicato, ancorché disgiunto dallo jus sepulchri, é tutelabile con l’azione negatoria (art. 49 c.c.), diretta ad impedire od eliminare l’introduzione nel sepolcro delle salme di coloro che non vi avessero diritto e la relativa legitimatio ad causam trova riferimento alla titolarità o meno di quel diritto reale”.
Il quesito è bello “tosto” e complesso, si fatica a rispondere, in mancanza di taluni elementi informativi, a domande così circostanziate e precise…tuttavia procediamo ad enucleare i singoli punti tematici:
1) Per il celebre brocardo latino del tempus regit actum (= il tempo regolamenta l’atto), da leggersi, in modo coordinato, con l’altro principio di civiltà che enuncia l’irretroattività della norma giuridica il rapporto concessorio (anche se assimmetrico, a favore del comune) tra il concessionario e l’ente locale è disciplinato dal combinato disposto tra il regolamento comunale di POL. MORT. vigente all’epoca del rilascio della concessione e l’atto stesso di concessione cimiteriale con la cosiddetta convenzione che spesso lo accompagna, costituendone un fondaamentale allegato in chi chiarire le obbligazioni sinallagmatiche contratte dai due soggetti (cioè il comune ed il fondatore del sepolcro, ossia il concessionario. Attenzione, però: L’atto di concessione potrebbe contenere una clausola la quale, delineando un rapporto dinamico ed “in divenire”, preveda l’aggiornamento del rapporto concessorio in base alle nuove norme stabilite, IN FUTURO; dai diversi regolamenti comunali di polizia mortuaria che, eventualmente dovessero succedersi nel tempo. Sarebbe, allora, il caso dello JUS SUPERVENIENS.
2) Quando il rapporto concessorio si perfezionò (nell’immediato secondo dopo guerra) vigeva in tema di polizia mortuaria il R.D. n.1880/1942 (era un regolamento speciale), mentre il diritto di famiglia era regolato ancora dal codice civile di ispirazione fascista (famiglia rurale, patriarcale con la donna subordinata prima al padre e, poi, al marito) solo negli anni ’70 fu varata l’agognata riforma del diritto di famiglia e, poi non dobbiamo certo dimenticare la Costituzione con il suo Art. 3 (= principio d’eguaglianza). Dunque per il principio di cedevolezza tra norme giuridiche di diverso rango e grado (ubi maior minor cessat!) è il regolamento comunale di polizia mortuaria, con relativo atto di concessione da esso promanato a doversi adeguare a pena di implicita abrogazione per incompatibilità, o meglio per illegittimità.
3) Non ho ben capito chi sia il vero concessionario (Giorgio o Guido???) ad ogni modo il concessionario in quanto titolare di un rapporto giuridico con il comune può esse solo una persona vivente, in quanto la morte estingue la capicità giurdica di esser titolari di diritti e doveri (Art. 1 C.C.).
4) Secondo autorevole dottrina, se il Comune non ha disciplinato, nell’ambito del proprio regolamento, la sorte della concessione di sepolcro privato alla morte del fondatore, non si potrebbe procedere alla relativa voltura/nuova intestazione. Si ritiene, comunque, che – ferma restando l’individuazione sia dei soggetti aventi titolo alla sepoltura, sia di quelli tenuti a provvedere alla manutenzione/conservazione del sepolcro, in ossequio ai principi formulati dalla giurisprudenza – l’Ente possa procedere, nelle more dell’adeguamento del regolamento, adottando apposito
atto di indirizzo politico-amministrativo, che appar idoneo a disciplinare l’istituto con i caratteri di generalità ed astrattezza propri della fonte regolamentare.
5) Lo Jus SEpulchri dal 10 febbraio 1976, quando, cioè, entra in vigore il DPR n.803/1975 non è più trasmissibile per acta inter vivos o mortis causa (possibiltà, invece, contemplata dal R.D. n.1880/1942), è sottratto, quindi, al regime dei beni patrimoniali. Esso si acquisisce per il solo fatto di esser in rapporto di consanguineità con il fondatore del sepolcro. Così nel subentro non si parta tanto di eredi, ma di discendenti jure sanguinis. Di norma il sepolcro si trasforma in ereditario quando siano venuti meno i discendenti (tra le altre: Corte di Cassazione, Sez. II, sent. n. 5095 29/5/1990 e Sez. II, sent. n. 12957 del 7/3-29/9/2000).
La Legge (Art. 74 e segg C.C.) considera quali congiunti tra di loro le persone sino al sesto grado di parentela
6) Rispetto al subentro, in caso di decesso del concessionario, è sempre il regolamento comunale a dover regolare la situazione, potendosi scegliere, sempre o in via generalizzata per tutte le concessioni cimiteriali o in via speciale per tipologia, durata, capienza, ecc., se chi “succede” al concessionario, assuma o meno a sua volta la condizione di concessionario, sotto il profilo giuridico. Quando il “successore” non venga ad assumere la qualità di concessionario, rimane comunque obbligato agli obblighi di manutenzione od altri previsti localmente della sepoltura privata nel cimitero. Va ricordato che la natura tipica delle concessioni cimiteriali importa che la “successione” possa aversi unicamente per discendenza, salvo che quando questa sia esaurita, nel qual caso può avvenire per eredità, anche se con effetti particolari. Infatti, poiché il diritto alla sepoltura in un determinato sepolcro privato nel cimitero è un diritto della persona, esso non ha carattere patrimoniale, con la conseguenza che la successione per eredità, esaurita la discendenza, importa che l’?”erede” subentri sono negli obblighi derivanti dalla concessione e non nel diritto di poterla utilizzare, a tempo debito. Come si vede, il regolamento comunale di polizia mortuaria assume un ruolo del tutto centrale ed essenziale nella regolazione delle questioni segnalate.
Lombardia.
Non riesco a raccapezzarmi su una questione riguardante la Cappella di Famiglia:
In occasione della morte della madre, Giorgio già avanti negli anni e senza figli, decide nell’immediato dopoguerra di fare una Cappella per i suoi cari (ha un fratello con prole e diverse sorelle); quindi fa domanda al sindaco e “chiede la concessione di un’Edicola riservata alla famiglia di ” viene riportato il nome e cognome del padre morto in precedenza) ed indica una precisa Edicola all’interno del cimitero; chiede inoltre di “estendere il diritto di inumazione “anche” ai figli delle sue sorelle (infatti precisa i nomi delle sorelle sposate). Questo perché il regolamento di Polizia Mortuaria in vigore a quel tempo in un articolo dettava: “La licenza di tumulazione per sé e la propria famiglia si estende al coniuge, agli ascendenti fino al terzo grado, ai figli, ai legittimi discendenti in linea diretta mascolina, e a tutti i gradi per i quali sia stato disposto dall’acquirente nell’atto di concessione. Si estende anche alle femmine maritate, con esclusione però della prole e dei mariti”.
Alla domanda segue l’immediato versamento dell’importo corrispondente. Il sindaco in calce indica “visto per la stipula del contratto”.
Nel giro di un mese il contratto viene redatto e stipulato. Qui sorge il dilemma in quanto sul contratto stipulato con Guido è indicato:”in esecuzione del Regolamento di Polizia Mortuaria in vigore , dà e concede al Sig.” seguono le generalità complete di Guido” che accetta, si obbliga e stipula per sé ed eredi, l’uso della Cappella nello stato in cui attualmente si trova, posta nel cimitero, sotto l’osservanza piena ed assoluta ed indiscutibile dei patti, delle condizioni di cui appresso:
a)- La presente concessione si intende fatta ed accettata fra le parti ed operativa alle condizioni e modalità e sotto le prescrizioni risultanti dalle leggi, dai regolamenti e dai decreti sulla sanità pubblica e sui cimiteri e dell’apposito regolamento di polizia, mortuaria ora in vigore e che dichiarano di ben conoscere ed accettare, nonché di tutte le altre disposizioni che potranno dal Governo o dal Comune in seguito ed in proposito emanarsi.
b)- Il diritto d’uso, relativo alla Cappella concessa, passerà alla morte del concessionario agli eredi nei modi indicati dal Codice Civile con questa espressa riserva però che il comune non riconoscerà mai, per i relativi diritti ed obblighi che uno solo degli eredi; il quale , quando non sia stato designato dal tutore o scelto di comune accordo dagli eredi e notificato all’autorità Comunale entro l’anno della morte di quello, sarà definitivamente designato dall’autorità stessa.
c)- Eccettuato quanto venne disposto al punto precedente il diritto all’uso proveniente dall’attuale concessione non si potrà in nessun modo e per nessun titolo cedere ad altri. Circa i diritti di inumazione nella Cappella si fa riferimento alle disposizioni degli articoli n. “ (quì si cita l’articolo sopra integralmente riportato e un successivo che consente l’inumazione di altre persone estranee alla famiglia) “ del vigente regolamento Comunale di Polizia Mortuaria consentendo di inumare nella Cappella i figli ( tuttora in vita) delle sorelle…. “ (vengono riportati i nomi delle sorelle).
d)“- Le spese occorrenti per la manutenzione interna della Cappella e di quant’alto forma oggetto della presente concessione, rimarranno ad esclusivo carico del concessionario o dei suoi eredi ecc. ecc..
– La concessione del diritto d’uso è a perpetuità.
e)- Le opere necessarie di sistemazione interna non devono ecc. ecc. ” Segue la firma degli interessati.
Ora per dipanare la matassa ho questi quesiti:
1) Ritenendo (questo mi è stato anche confermato solo verbalmente dal responsabile comunale del settore) le volontà del concessionario indicate chiaramente nella richiesta al sindaco, per iure sanguinis, lo ius sepulcri si concentrerà nelle mani nei discendenti del fratello, nel frattempo morto e inumato nella Cappella? Questo rifacendosi anche a quanto insegnato dalla Suprema Corte di Cassazione nella sentenza 29 maggio 1990, n. 5015.
2) In assenza sul Regolamento di Pol. Mort. di norme sui subentri il punto b) si può definire come implicita ammissione di tale possibilità?
3) La condizione indicata ai punti b) e c) si può considerare come “subentrante” al concessionario il figlio in vita del fratello e quindi ai successivi discendenti o diversamente si passa allo iure successionis.
4) Hanno diritto di tumulazione anche i coniugi dei figli delle sorelle? Mi sembra di no.
Per completezza riporto l’attuale Reg. di Pol. Mort. nell’articolo riguardante gli aventi diritto (cioè la famiglia): “All’atto della concessione i concessionari dovranno indicare i nominativi delle salme degli aventi diritto, o del le ceneri o dei resti da tumulare nella cappella di famiglia.
Nel caso che il concessionario non specifichi detti nominativi, i posti disponibili saranno assegnati:
-al coniuge del titolare (o dei titolari qualora la concessione sia intestata a più persone);
-ai figli del titolare/i ai loro coniugi ed ai loro discendenti;
-ai genitori del titolare/i;
-ai fratelli ed alle sorelle del titolare (o dei titolari) ed ai loro coniugi.”
Grazie per ogni chiarimento che vorrete darmi circa il caso in questione.