Rende o è una passività il patrimonio dei cimiteri? – Alcune proposte per uscire dalla crisi cimiteriale – 4/4

L'articolo è parte 4 di 4 nella serie Patrimonio cimiteriale portato alla luce
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Riportiamo di seguito, suddiviso in 4 parti, l’intervento dell’ing. Daniele Fogli svolto in occasione della tavola rotonda su “Il patrimonio cimiteriale italiano portato alla luce” svoltasi il 4 aprile 2024 a Tanexpo 2024, in Bologna.

Alcune proposte per uscire dalla crisi cimiteriale

Però gli introiti di una gestione cimiteriale dove la cremazione è alta (già dal 30% dei defunti in su) sono insufficienti a coprire i costi gestionali.

I deficit dei comuni, compreso quello prodotto in ambito cimiteriale, sono stati coperti per molti anni dallo Stato. La musica però è cambiata e ora occorre far pagare i servizi per quello che costano.

La cremazione è quella che costa di meno. E quindi si entra in un loop apparentemente senza fine.

Che ne sarà allora del patrimonio cimiteriale esistente, visto l’impetuoso crescere della cremazione?

La risposta non è scontata, ma in buona parte questo patrimonio rischia di fare la fine delle vecchie aree industriali urbane in disuso, perché abbandonate per delocalizzazione o per cambio dei processi produttivi. E quindi è necessario porsi la domanda di come riconvertirle.

Come uscire da questo loop?

Occorre che i Comuni proprietari di cimiteri prendano coscienza dei problemi esistenti in questo settore e se ne facciano pienamente carico.

Quando era il tempo delle vacche grasse molti Comuni hanno drenato risorse proprie cimiteriali per destinarle ad altre finalità pubbliche (dalle strade, a edifici di ogni tipo). Ora il vento è girato e servono urgentemente risorse pubbliche per garantire il cambiamento e il funzionamento cimiteriale. Come?

  • 1) Agendo su ricavi aggiuntivi certi. Partendo dalle città dove è massima l’incidenza della cremazione si deve destinare un’adeguata parte del gettito IMU alla gestione e manutenzione del cimitero, che è un servizio pubblico locale indivisibile.


    Lo si può fare da subito per volontà del singolo comune, ma è meglio intervenire con una legge che moduli la percentuale di IMU a ciò destinata in funzione dell’incidenza locale della cremazione.
  • 2) Intervenendo sul contenimento dei costi, attraverso economie di scala e quindi con una riduzione degli enti di gestione e individuando ambiti territoriali ottimali di scala provinciale o sub provinciale.
  • 3) Cambiando scelte funzionali ed urbanistiche.

Il cimitero concepito 200 anni fa ai tempi dell’editto di Saint Cloud non è più quello che la popolazione d’oggi vuole. Ha perso la sua principale funzione di contenitore di spoglie mortali con garanzie igienico sanitarie e, per altri motivi, vede appannarsi la sua funzione di memoria storica della collettività.

Il cimitero è da trasformare in un luogo da visitare non solo per ricordare un defunto, ma anche per altri scopi.

Va senz’altro bene ammirarne le pregevoli bellezze architettoniche, se ci sono, ma deve essere soprattutto un luogo riprogettato per accogliere le ceneri e i feretri, secondo le esigenze di una società che si è evoluta nel tempo.

Il posto del moderno cimitero, a mio avviso, non è fuori della città dei vivi come all’inizio dell’Ottocento, ma dentro la città dei vivi.

E così, ove possibile, le zone di rispetto cimiteriale sono prioritariamente da trasformare in parchi urbani e nei cimiteri si devono riprogettare le aree interne (oggi sovrabbondanti per la inumazione) con ampia presenza di verde attrezzato.


Insomma, un buon contributo ai nuovi concetti di foresta urbana.

Propongo, vista la pochezza architettonica fin qui registrata per questi fini di lanciare anche bandi internazionali di architettura funeraria, senza aver paura di rompere schemi precostituiti.

Lo strumento principe di questi profondi cambiamenti è l’adozione del piano cimiteriale integrato (quello che in Paesi di lingua anglosassone viene definito master plan cimiteriale), con annesse simulazioni economico finanziarie per gestione ed investimenti per un arco temporale minimo di 20, meglio se per 30 anni .

E non è finita: gli impianti di cremazione vanno realizzati dove servono e cioè nei grandi centri urbani e non in minuscoli comuni dell’hinterland, dove sono sempre più rifiutati dalle popolazioni spaventate da dimensioni che non sono le loro.

I piani di coordinamento regionali dei crematori, ora impantanati in tante Regioni, devono seguire regole statali di riferimento (oggi ancora mancanti) che tranquillizzino le popolazioni interessate sull’effettivo impatto ambientale di questi impianti.

E non è vera l’equazione dei tanti comitati contrari alla installazione di crematori che crematorio = inceneritore.

La verità è che, nel loro complesso, i poco meno di 100 crematori italiani (che ricordo sono nella totalità dotati di ottimi sistemi filtranti e non a scarico diretto, come avviene ancora in diversi Paesi esteri) inquinano meno di 1 inceneritore medio.

Servono poi crematori che non siano solo dei “cenerifici”, ma anche luoghi di conclusione rituale di un addio ad una persona cara, veri e propri (e non solo nel nome) templi della cremazione, dove svolgere funzioni di commiato.

Serve infine una chiara alleanza tra il settore funebre e quello cimiteriale per tendere insieme al salvataggio del sistema cimiteriale italiano.

Written by:

Daniele Fogli

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