Referendum: de profundis per l'art. 23 bis

L’articolo 23-bis sui servizi pubblici locali non è più tra noi, come pure il Regolamento Fitto, di sua attuazione. Ne danno il triste annuncio tutti coloro che ne avevano decantate le lodi, alla luce dei risultati del referendum abrogativo, tenutosi il 12 e 13 giugno 2011. Ora si ricomincia da capo, sulla base dei principi della Unione Europea, ma non si illudano coloro che pensavano di ritornare alla gestione pubblica tout court, la efficienza e la economicità della gestione deve essere l’imperativo per chi intende mantenere la fornitura dei servizi pubblici locali.

Quel che gli italiani hanno inequivocabilmente detto attraverso il risultato referendario è che credono ancora nella natura e nella funzione dei servizi pubblici locali, più di quanto ci credano i loro amministratori. E sta a questi ultimi, nonché alla dirigenza delle imprese pubbliche, cogliere questa ultima chance e mettersi in gioco accettando la sfida che è loro stata lanciata.

La situazione della finanza pubblica non permetterà grandi cambiamenti, stante le limitazioni dell’attuale patto di stabilità interno e questo perché o si sceglierà di esternalizzare la gestione o vendere parte delle quote societarie per far cassa o si accetterà la sfida per una gestione efficiente ed economicamente valida (con conseguenti tariffe remunerative).

I primi effetti della abrogazione dell’articolo 23-bis saranno che cessa l’obbligo di vendere ad un socio operativo almeno il 40% delle azioni delle imprese pubbliche. Resterà la possibilità degli Enti Locali di farlo, ma scegliendo il tipo di socio che necessita in funzione della natura del servizio da gestire.

E mentre per la gestione dell’acqua pubblica si renderà necessaria una soluzione specifica per la individuazione del sistema tariffario, per poter in qualche modo ripagare l’onere del debito per gli investimenti necessari per l’ammodernamento delle reti, negli altri servizi pubblici locali interessati dalla abrogazione dell’articolo 23-bis, tra i quali i cimiteriali, la illuminazione elettrica votiva e la gestione dei crematori, i meccanismi di revisione tariffaria restano individuati dalle norme non toccate dal referendum (in via generale art. 117 dell’Ordinamento degli EE.LL.) e le modalità di gestione tutte quelle potenzialmente possibili, non contrastanti con le norme della UE (e quindi anche la ‘in house’).

Che succede per chi ha già bandito le gare? Secondo autorevole dottrina : ”in caso di abrogazione referendaria dell’art. 23 bis, rimarrebbero validi ed operativi tutti i rapporti nel frattempo sorti e ad esso conformi. E ciò sia in ragione dell’irretroattività degli effetti dell’abrogazione referendaria. E sia perché, essendo le modalità di affidamento previste dall’art. 23 bis più concorrenziali rispetto a quelle desumibili dai principi comunitari, sarebbero, con queste, pienamente compatibili”. Due parole infine sui servizi funebri pubblici, che sembrano sempre più attività commerciale e sempre meno attività di servizio pubblico locale.

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