Da giorni mi scervello emi lambicco le meningi su questa verbosa domanda, così irrazionale e perniciosa…almeno per me!
lo jus sepulchri ,come titolo di accoglimento in un sepolcro privato, quali sono tutte le allocazioni diverse dal campo comune d’inumazione, origina da quel regolare atto di concessione (formula aulica, ma molto efficace!) di cui all’Art. 98 D.P.R. 285/90, il quale è condicio sine qua non per poter vantare lecitamente diritti su area cimiteriale o porzione di edificio sepolcrale (diritto di superficie o solo diritto d’uso ex rt. 1021 Cod. Civile?).
Ora, ex Art. 50 comma 1 lettera c) D.P.R. n. 285/1990 lo jus sepulchri deve sussistere prima dello stesso ingresso della salma nel sepolcro, perché come qualunque altro diritto della personalità (o sin anche personalissimo, al pari del nome, dell’onore…!) si acquisisce con la nascita, quando sorge la capacità giuridica ai sensi dell’Art. 1 Cod. Civile.
Se aderiamo a questa interpretazione molto lineare lo jus sepulchri da vivi è una mera e legittima aspettativa e si concretizza, nel suo reale esercizio, solo nel cono d’ombra dell’oscuro post mortem, almeno per tutta la durata della concessione o secondo altri giuristi esso proprio in questo frangente esso esaurisce i propri effetti. Insomma: non è mai il morto, in quanto tale, ad esser titolare dello jus sepulchri, perché per esser portatori di un diritto la capacità giuridica non deve essersi estinta.
Se è così (e non ne dubito) tutte le concessioni rilasciate non ante, ma ex post in occasione di un decesso, e solo al momento del funerale, dovrebbero (qui il condizionale è di rigore in quanto sono certo di asserire un’illogica enormità!) esser bellamente fuori legge, siccome nessun cadavere dovrebbe/potrebbe mai divenire nel proprio post mortem titolare di un diritto di sepolcro.
Questo assunto contraddice la prassi in uso in quasi tutti i Comuni italiani, altrimenti la “prenotazione” del loculo quando si è ancora vivi provocherebbe degli immobilizzi mostruosi nel patrimonio cimiteriale che, come noto, non è dilatabile all’infinito.
Come si potrebbe risolver e questa antinomia? Azzardo una possibile soluzione con esiti sanatori.
Qualora i defunti si trovassero nelle condizioni dell’art. 50, lett. a) o b) D.P.R. n.285/1990, l’ipotesi di una concessione che sorga “post mortem” non apparirebbe così irrazionale, né indebita, trattandosi solo di una diversa “localizzazione” del feretro, in un tumulo privato e dedicato e non in campo comune di terra. Più critica la situazione della concessione “post mortem” a persona che non risponda positivamente a questi requisiti minimi d’accettazione d’ufficio, come exrema ratio, questa operazione, invero un po’ spericolata, nel suo precario equilibrio, sul crinale della legalità formale, potrebbe essere perfino vietata, fatto sempre salvo il dettato del Regolamento Comunale di polizia mortuaria, che – assicurati gli obblighi derivanti dall’art. 50 citato, potrebbe ampliare, più o meno estesamente i criteri di ricevibilità.