Il Sole 24 ore non si è interessato solo ai contenuti di una cena ad una sagra paesana, con domande a raffica sui cimiteri e sulle spese funebri (oggetto tra l’altro dell’editoriale di Daniele Fogli su I servizi Funerali n. 3/2011), ma in occasione della recente Commemorazione dei Defunti ha rese pubbliche alcune proposte (sempre di Daniele Fogli) su una nuova ricetta per gestire le privatizzazioni di segmenti di natura sociale dei servizi pubblici locali, quali sono i cimiteri.
L’articolo è titolato: “analisi e modesta proposta di daniele fogli: contro la crisi, camposanti ad azionariato diffuso“. In realtà il giornalista, Jacopo Gilberto, non ha resistito alla tentazione di accompagnare la proposta con un suo commento: “terque quaterque testiculis tactis) ricevo queste considerazioni funerarie dal bravo daniele fogli, e le pubblico in occasione della festa dei morti.” Evidentemente anche chi dà spazio ad analisi modeste, ma serie, non riesce a liberarsi dei tabu sulla morte, ma accontentiamoci …
Di seguito riportiamo l’articolo, integralmente e annotiamo come sia sempre più difficile far discutere su questioni serie questa nostra società italiana, terrorizzata da un lato dallo spauracchio di default e distratta dall’altro da una infinita telenovela poilitica sul Berlusconi si, Berlusconi no. Per favore, siamo seri!
Azionariato diffuso per la gestione dei servizi funerari italiani
di Daniele Fogli (*)
Leggo in questi giorni che a all’inizio di ottobre 2011 a Palermo il Consiglio comunale ha fermato, per ottenerne sostanziali modifiche un project financing di 103 milioni euro, per poter realizzare il nuovo cimitero della città, alle prese con una situazione emergenziale delle sepolture.
Il motivo della bocciatura: la gestione andava ai privati, tariffe alte e poche le sepolture di tipo economico.
Palermo non è un caso isolato. In diversi comuni i consigli comunali non si interrogano solo più sull’acqua pubblica, ma anche e soprattutto sul cimitero pubblico.
Questo mio intervento intende contribuire a far luce su un settore, che per sua natura è spesso opaco, a chiarire la rilevanza pubblica del cimitero, a ipotizzare una nuova modalità di gestione dei servizi pubblici locali: l’azionariato diffuso.Per chi come me opera nel settore funerario da oltre trent’anni, mai come ora la situazione si è complicata: siamo alle prese con una triplice crisi: globale, di settore e di genere.
La crisi globale:
Siamo destinati a convivere per molti anni (con il culmine negativo, probabilmente nel 2013, se non nel 2014) con una crisi economico finanziaria globale per i cosiddetti Paesi industrializzati, che modificherà ampiamente le abitudini e gli stili di vita, le disponibilità economiche delle famiglie e le priorità. Riflessi importanti li avvertiremo anche in campo funebre e cimiteriale, con il cambio di tradizioni consolidate.
La crisi di settore:
La killer application del nostro settore si chiama cremazione. Certo più ecologica della sepoltura in loculo, con effetti di risparmi di spazi considerevoli, ma al crescere della sua incidenza vi sono e vi saranno effetti non recuperabili sia in campo funebre, che in quello cimiteriale, che si distribuiranno su tutta la filiera.
La crisi di genere:
Dalle gestioni in economia diretta nelle medie e grandi città si è passati dapprima alle aziende municipalizzate, poi alle aziende speciali, quindi alle Spa e in particolare alle cosiddette “in house”; ora vi è un altro cambiamento epocale alle porte: i servizi pubblici locali, grazie prima all’articolo 23-bis del DL 112/2008 e al regolamento attuativo, abrogati per referendum, e ora riproposto quasi nella stessa precedente formulazione con l’art. 4 del DL 138/2011, verranno sempre più privatizzati e quindi si faranno strada altri modelli e cioè l’affidamento a terzi vincitori di gara (concessionari) o la società mista pubblico privato con quest’ultimo scelto a mezzo gara. L'”in house”, soprattutto per i vincoli di bilancio, contenitivi delle assunzioni, di procedure d’acquisto sempre più farraginose, è destinata ad essere residuale, se non a sparire. E’ possibile ipotizzare un ulteriore modello gestionale?L’analisi
La legge stabilisce che un Comune deve garantire come servizi essenziali quelli cimiteriali e quelli necroscopici. E già qui qualche problema c’è, perché non vi è una definizione univoca di tali tipologie di servizi. L’unica cosa certa è che il cimitero è un bene appartenete al demanio comunale, come lo è l’acquedotto.
In ambito cimiteriale l’unico vero obbligo è quello di garantire da parte di un comune la sepoltura in campo comune di inumazione (ma se fino al 2001 era gratuita, da allora è divenuta ordinariamente a pagamento, mentre resta gratuita solo per gli indigenti).
Il resto (la disponibilità di un crematorio, la disponibilità di loculi, tombe o aree cimiteriali da concedere, la illuminazione elettrica votiva a rete) sono dei “di più” che, nel tempo, sono stati richiesti dapprima dalle classi sociali più agiate e col tempo sono divenute un fenomeno di massa, per emulazione.
Inesorabilmente, la cremazione sta sostituendo e sostituirà sempre più nelle scelte individuali la inumazione in campo comune (che è considerata di povertà e rifiutata da Roma in giù) e la tumulazione di feretro in loculo stagno (tanto per intenderci con la doppia cassa, di cui una di zinco). La tumulazione areata (senza cassa di zinco, attualmente permessa in 4-5 regioni italiane) avrà bisogno di anni prima di diventare significativa.
La diffusione della cremazione ha indotto o sta inducendo diverse Amministrazioni comunali a prevedere la installazione di impianti di cremazione non solo nei capoluoghi di provincia (impianti di primo livello), ma anche in comuni di dimensioni inferiori (impianti di secondo livello); talvolta a pochi chilometri l’uno dall’altro, dove le logiche di campanile prevalgono su quelle programmatorie, con un evidente fallimento della pianificazione regionale prevista dalla L. 130/2001.
Il risultato è che la cremazione sarà oggetto, laddove si costruiscano numerosi altri impianti nelle vicinanze, ad una concorrenza esasperata di prezzo.
E pertanto l’unica strada possibile è contenere attraverso la pianificazione il numero di impianti autorizzabili da un lato, individuando un raggio di azione capace di garantire un buon servizio per l’utenza, e al tempo stesso aumentare la qualità del servizio (invero pessima per la ordinaria sepoltura in terra o in loculo!)
La politica cimiteriale, frutto delle elaborazioni degli ultimi decenni, dovrà essere completamente rivista:
Sia per una revisione ragionata della politica tariffaria (determinante sarà la disponibilità della tumulazione areata per durate più basse a prezzi che diverranno competitivi con la inumazione e la cremazione), sia per introdurre dal punto di vista regolamentare e sostanziale sistemi di pagamento di prestazioni fornite ai vecchi concessionari di tombe e loculi stagni (talvolta perpetui) e puntare sul massimo utilizzo di sepolture già realizzate in tempi passati.
Al cambio di impostazione di politica tariffaria dovrà fare da contraltare una politica immobiliare cimiteriale che garantisca effettivamente una offerta di posti salma (e ancor di più di posti per urne cinerarie) diffusa sul territorio e anticipatrice della domanda.
E anche in questo caso è la qualità e la introduzione di soluzioni innovative, l’attenzione alla cerimonialità, che potrà fare la differenza.
Nelle aree ad alta incidenza di cremazione si sarà alle prese con il fenomeno del ritorno nella disponibilità del gestore dei cimiteri dei loculi per i quali si è estinta la concessione (ad es. perché erano stati concessi a 30 o 40 anni negli anni del boom economico). E quindi occorrerà rivedere i piani economico finanziari dei gestori di cimiteri per cercare un equilibrio non più basato su forti apporti da margini tariffari determinati da concessioni cimiteriali di nuova costruzione, ma dal rendimento del patrimonio già costruito, da ricondizionare e riconcedere meglio se ai vecchi concessionari.
L’alternativa è l’abbandono dei cimiteri da parte dei cittadini che hanno tutta la convenienza a portare le urne cinerarie in luoghi diversi (come la propria casa).
Quattro sono gli strumenti necessari per una politica cimiteriale degna di questo nome, che occorre siano uniti ad una dose consistente di managerialità:
modernizzazione del regolamento di polizia mortuaria comunale, pianificazione cimiteriale, cambio del sistema tariffario, nuove modalità gestionali.
Circa la forma di gestione:
per città di medie e medio-grandi dimensioni occorre superare lo strumento della società “in house”, forse ancora utile nei piccoli comuni.
Quindi occorre puntare sull’affidamento a terzi, o sulla società mista.
Chi può essere questo terzo? Un gestore privato, ma anche, se sussiste adeguata efficienza gestionale, la vecchia impresa pubblica che cerca di vincere la prima gara.
O anche, e questa è la novità, un soggetto ad azionariato diffuso.Due parole infine sul project financing cimiteriale: per come è praticato ora è “UN FURTO LEGALIZZATO” per le prossime generazioni.
La maggior parte dei project financing cimiteriali sono pensati da costruttori, privi di cultura gestionale cimiteriale, a cui interessa principalmente costruire la maggior quantità possibile di manufatti, favorire le politiche di concessione di loculi non in presenza di salma e quindi, “vendere” loculi vuoti, incassandone subito il prezzo.
L’amministrazione ha tutto l’interesse a far fare a terzi quel che non riesce più a fare lei, sia per carenza di disponibilità finanziarie, sia per carenze programmatorie. Ma alla concessione di un loculo corrispondono servizi da garantire all’utenza per 30,40 o in taluni casi 99 anni.
E, invece, i project financing, durano 20-25 anni.
Ecco scoperto l’inganno: l’attuale Amministrazione comunale ha una visibilità elettorale positiva nel breve termine, ma lascia alle Amministrazioni comunali che verranno (al termine del project financing) l’onere di mantenere il complesso cimiteriale, garantire servizi, quando i soldi se li è già incassati il promotore.
Sarebbe veramente utile che la Corte dei Conti indagasse profondamente nei project financing cimiteriali, e che venissero dettate norme severe di contrattualizzazione e di contabilizzazione dei ricavi da concessione per lasciare al termine del project al Comune un fondo capace di sostentare le future manutenzioni.
Il servizio necroscopico può essere garantito sia da soluzioni minimali (raccolta salme incidentate, funerali per indigenti garantiti dall’Ente Locale) sia ancora con una convenzione con l’azienda ospedaliera/Istituto di Medicina Legale per la fornitura di quei servizi che la legge assegna al Comune, ma che questi può far svolgere anche da terzi predefiniti (dal D.P.R. 285/90).
L’attività funebre, non è un servizio obbligatorio.
Ma dove esistono delle imprese pubbliche questo servizio nacque per contrastare il malaffare imperante con una azione (qualcuno la chiamerebbe una mission) calmieratrice e moralizzatrice veramente considerevole, tanto che ancor oggi l’impresa pubblica, se presente, è la scelta favorita da una buona quota di cittadinanza, che vede in essa uno strumento di garanzia, capace di assisterlo nei funerali di un proprio caro.
In assenza di un soggetto con tale mission, non si ritiene che il sistema privato puro sia capace di garantire una concorrenzialità sana e a prezzi giusti. E basta leggere le cronache quotidiane per comprendere che a fronte di 1 caso di malaffare scoperto, ve ne sono almeno 100 che proseguono nella mercificazione delle informazioni sui morenti, noto ai più come “il racket del caro estinto”.Le soluzioni
Chi potrà procedere al riassetto del sistema funerario italiano?
Nel settore funebre la situazione è particolarmente difficile, in quanto si è in presenza di un “mercato imperfetto”, dove l’asimmetria informativa tra domanda e offerta è evidente e sotto gli occhi di tutti.
Inoltre, nel primo decennio di questo secolo, le norme che diverse Regioni hanno approvato non hanno minimamente consentito la regolazione di questo settore, e nemmeno sono riuscite a frenare la crescita abnorme di imprese funebri operanti, tanto che si stima si sia ormai vicini alla media nazionale di 100 funerali annui per impresa funebre. E la situazione è destinata a peggiorare con la recente approvazione dell’articolo 3 del DL 138/2011 e smi (manovra bis), visto che eliminerà le barriere strutturali all’entrata nel mercato, semplificherà la nascita di nuovi operatori. Conseguentemente calerà la dimensione media in termini di funerali/anno di ogni operatore, favorendo l’aumento a dismisura della caccia al morto.
Il sistema funerario italiano, secondo diversi studiosi, sta in equilibrio con imprese funebri strutturate che presentino una media di 200 funerali annui, il che vuol dire, su scala nazionale, almeno un dimezzamento dell’attuale numero di soggetti che operano nel settore funebre italiano.
Purtroppo la cultura manageriale di una quota consistente di soggetti attualmente operanti nel settore funebre italiano non è tale da favorire processi di fusione.
E’ invece possibile che una razionalizzazione del settore funebre passi attraverso l’investimento di capitali esteri anche nel nostro Paese, in particolare nelle zone del Nord e, forse, del Centro del Paese, aree meno esposte al rischio di criminalità organizzata. E, forse, se il sistema degli Enti Locali sarà capace di affrontare con serietà e non solamente con la voglia di far cassa i processi di privatizzazione parziale o totale determinati dall’articolo 4 del DL 138/2011 e s.m.i., si potrebbe anche puntare sullo sviluppo di società ad azionariato diffuso, una versione moderna delle municipalizzate di inizio secolo.
Nel settore cimiteriale (inteso in senso lato) la privatizzazione è difficile, sia perché è fondamentale la presenza della infrastruttura demaniale, sia perché attualmente la profittabilità del servizio è nettamente inferiore a quella del comparto funebre. E’ inoltre complicata dalla presenza di investitori soprattutto attratti dalla componente costruttiva.
Quel che necessita come tipologia di socio operativo per le società miste, in vari comuni di medio grandi dimensioni già organizzati con proprie società di capitali, è soprattutto un soggetto con forti capacità manageriali e competenze gestionali specifiche. Meno interessanti, anche se talvolta utili, soggetti capaci di fare pulizie e operazioni cimiteriali.
All’estero sussistono da anni esperienze gestionali cimiteriali non pubbliche, sia completamente private (ad es. in USA, Canada, Australia), sia miste (come in Spagna, in Ungheria). Ma sono esperienze accompagnate da legislazioni di settore precise e con sistemi di controllo efficaci.
Non è ancora chiaro se sussistano le condizioni per avere in Italia un meticciamento con realtà straniere.
Di certo sarebbe utile confrontarsi con le migliori realtà imprenditoriali europee e internazionali in genere, quando la privatizzazione del mercato italiano conseguente alla manovra-bis agirà anche in campo cimiteriale.
E’ da augurarsi che le gare che si andranno ad indire siano costruite in maniera da tutelare il ruolo del cimitero, che in Italia non è quello di un parco, ma di memoria storica della collettività, spesso vero e proprio museo all’aperto. Sarebbe utile rammentare che i problemi del settore cimiteriale, non sono dissimili da quelli del settore acqua e quindi occorre aprire un fronte politico per la PUBBLICIZAZIONE DEI CIMITERI, inteso non tanto come modalità di gestione, quanto come garanzia del mantenimento della memoria storica di un collettività in cui il gestore deve avere adeguate competenze .
I comuni, da un lato, dovranno garantire un sistema tariffario adeguato, capace di determinare effettive condizioni di profittabilità, ma dall’altro gli affidatari o i cosiddetti soci operativi dovranno anche disporre di capitali importanti, visto che i Comuni saranno sempre meno in condizione di apportarne.
Ma perché allora non pensare a nuove forme di gestione per servizi tanto delicati quanto utili per la nostra società?
Oltre alla ipotesi della cessione totale della impresa pubblica o alla cessione parziale di quote della società pubblica per farla diventare mista, con il coinvolgimento di un socio operativo, si potrebbe sperimentare la strada della società ad azionariato diffuso (come sottospecie dele forme di gestione consentite) :
a) con un nocciolo duro (tra 1/3 e i 2/3 del capitale) da cedere, per i servizi cimiteriali, a soggetti imprenditoriali non impresari funebri, per la separazione di genere che anche l’Antitrust ha chiesto. Nel solo caso di cessione di quote societarie di impresa funebre è del tutto legittimo prevedere una cessione a imprese funebri purché non operanti nel bacino in cui svolge la propria attività l’impresa funebre pubblica, e questo per ovvi motivi di garanzia di concorrenza e di eliminazione di cartelli potenziali;
b) un’altra quota importante (tra 1/6 e 1/3 del capitale) dovrebbe essere riservata a dipendenti, e in particolare al management, ancor più motivati nell’apporto lavorativo. E’ bene sottolineare che soprattutto in campo cimiteriale è l’attuale management che possiede il know how;
c) l’ultima quota di capitale riservata a cittadini residenti nel Comune/Provincia di operatività, intenzionati ad assicurarsi il possesso di quote societarie di una impresa che nell’immaginario collettivo “non rimarrà mai senza lavoro” e che ha nei propri obiettivi una redditività del capitale, per evitare fenomeni speculativi, ma al tempo stesso per attrarre capitali, con riferimento l’IRS 25 anni a cui sommare uno spread di 3 punti percentuali.
Di interesse anche la possibilità di collocazione sul mercato di titoli obbligazionari, laddove la società operi su un’area ben più vasta di quella locale. E in tempi in cui non si sa più dove investire con certezza i propri risparmi un investimento del genere potrebbe avere delle chances.Il ruolo del Comune, inizialmente detentore di quote societarie, diverrebbe nel tempo sempre meno coinvolto nella gestione, man mano che gli altri soggetti assumono le loro partecipazioni nella società ad azionariato diffuso, fino a svolgere, al termine del percorso di privatizzazione, i ruoli propri di regolatore, pianificatore, indirizzo e controllo.
(*) Presidente del Comitato Tecnico per i cimiteri della European Federation of Funeral Services
grazie dell’importante informazione è un tema su cui riflettere
complimenti all’Ing Fogli!!!
Ipotesi interessante, quella dell’azionariato difuso: da inserire nel maxiemendamento governativo per molti altri servizi pubblici locali!
Era ora che qualcuno ipotizzasse una soluzione diversa da quella dei pensensanti (cioé la privatizzazione di pgni servizio publbico locale). Mi sta benissimo che si possa concorrere come cittadino alla gestione di servizi sociali
x Piero T.
Ognuno è libero di pensarla come crede!
Invero alla sua affermazione “ci sono delle organizzazioni o associazioni di categoria che con il loro lavoro (informazioni in generale, seminari, corsi specialistici per gli operatori ecc ecc) cercano e riescono a tenere sempre all’avanguardia il settore che non è secondo a nessun altro Paese sia europeo che mondiale.” pecca di molta partigianeria. Le associazioni di categoria si sono distinte soprattutto per la forte azione lobbistica che hanno condotto, molto meno in altri campi.
In effetti, a livello dei maggiori Paesi europei e degli USA, se ci si confronta con altri imprenditori del settore, quelli italiani (tranne poche e lodevoli eccezioni) hanno diverse cose ancora da imparare.
Aggiungo che le gestioni pubbliche cimiteriali (anche qui tranne poche e lodevoli eccezioni) hanno ancor di più da imparare. Ed è significativo del suo modo di essere il ritenere che la gestione cimiteriale sia una cosa semplice. Mi lasci dire che è ben più complessa di tanti altri servizi pubblici locali e che abbisogna di competenze di alto livello. Non siamo più al custode cimiteriale: ora i cimiteri sono vere e proprie città dei morti con investimenti elevatissimi per la loro realizzazione e gestione.
Buongiorno,
dal mio modesto punto di vista non sono del tutto d’accordo su questo articolo specie sulla composizione delle società miste, s.p.a.? , ma s.p.a. o altro = costi di gestione molto alti (consigli di amm.ne, presidente ecc.ecc.),gestione di cimiteri? spese per la manutenzione ordinaria/straordinaria?.
La maggior parte delle imprese funebri italiane sono a carattere familiare, possiamo considerarli gli “artigiani del settore”, quindi come tali ci sono delle organizzazioni o associazioni di categoria che con il loro lavoro (informazioni in generale, seminari, corsi specialistici per gli operatori ecc ecc) cercano e riescono a tenere sempre all’avanguardia il settore che non è secondo a nessun altro Paese sia europeo che mondiale.
In USA e in altre Nazioni, esiste un’altra realtà e delle leggi fatte ed accettate da quelle comunità, le onoranze funebri oltre al servizio di trasporto, hanno in gestione e la proprietà anche di cimiteri, di forni crematori, di sale del commiato dove si può celebrare qualsiasi rito, quindi hanno un servizio completo nel vero senso della parola.
Nella nostra cultura il culmine del rito funebre si svolge in Chiesa, c’è da tenere in considerazione una cosa , da noi vai a dire alla Chiesa se ti vengono a officiare un rito religioso nella tua (sempre che riesci ad ottenere il permesso di costruirla) “house”!!!!
Quello che mi da fastidio è che ogni volta dobbiamo stravolgere la nostra cultura a favore di qualcun altro, che oltremodo gliela abbiamo insegnata noi la cultura!.
Quello che abbiamo perso e che ci manca è il buon senso delle cose non c’è più la sana competizione, le leggi che abbiamo se applicate con la dovuta serietà sono sufficenti a stabilire la correttezza dell’operato delle n/s aziende funebri.
Bisogna ricordarsi che questo è forse uno dei più duri lavori (dopo quello del genitore) che esistono.
Saluti
Piero T.
Complimenti a Fogli! Paolo B.