Ci sembra importante sufragare con autorevoli pronunciamenti della giurisprudenza, senza la pretesa di esser esaustivi, alcuni articoli pubblicati su questo sito tra cui spiccano:
- Le traslazioni nell’ordinamento di polizia mortuaria
- Lo Jus Sepulchri come titolo per autorizzare il trasporto funebre
- La trslazione nell’ordinamento italiano di polizia mortuaria
- Lo jus sepulchri come titolo nelessario per il rilascio all’autorizzazione del trasporto funebre
- la rotazione dei posti feretro
- Le eseumazioni straordinarie
- Eredi o discendenti?
Nota della redazione: tutti queste sentenze sono state reperite sul web attraverso il motore di ricerca Google e sono liberamente consultabili attraverso la parola chiave “Jus Sepulchi”
Tribunale di Siracusa – Sentenza 19.01.2004, n. 31 – G.U. Dott Giorgio Marino:
“Al fine di distinguere lo jus sepulchri iure sanguinis dallo jus sepulchri iure successionis occorre interpretare la volontà del fondatore del sepolcro al momento della fondazione, essendo indifferenti le vicende successive della proprietà dell’edificio nella sua materialità e, in difetto di disposizione contraria, ritenere la volontà di destinazione del sepolcro sibi familaeque suae. Accertato dal giudice di merito questo carattere, il familiare acquista, iure proprio, il diritto al sepolcro imprescrittibile ed irrinunciabile sin dalla nascita che non può essere oggetto di trasferimento né inter vivos, né mortis causa, costituendosi in tal modo tra i contitolari una particolare forma di comunione, destinata a durare sino al venir meno degli aventi diritto, dopo di che lo jus sepulchri si trasforma da familiare in ereditario[39].
Lo jus sepulchri ha ad oggetto il potere di collocare le salme in un determinato sepolcro e qualora trattasi di sepolcro cd. familiare, la sua titolarità spetta in mancanza di una volontà contraria del fondatore, a tutti coloro che a lui sono legati da vincoli di sangue, determinandosi tra i vari titolari una comunione indivisibile che esclude ogni potere di disposizione del diritto da parte di taluni soltanto di essi ed anche del medesimo fondatore, così come il potere di alcuno dei titolari di vietare, consentire, o condizionare l’esercizio dello jus inferendi in sepulchrum spettante agli altri contitolari (Cassazione Civ., 27/1/1986, n. 519; Cassazione Civ. 4/5/1982, n. 2736).
Cass., I Sez., 16 febbraio 1988:
“Omissis…. i familiari del concessionario sono titolari di un diritto di riserva che non può essere compromesso da nessun atto di disposizione (da qui la conseguente nullità della disposizione testamentaria e l’illegittimità della deliberazione comunale che l’ha recepita).
Consiglio di Stato, sez. V, 11 ottobre 2002, n. 5505
“ La normativa regolamentare comunale di polizia mortuaria e sui cimiteri in tanto è legittima in quanto non viene a porsi in contrasto con la normativa regolamentare adottata dal Governo, in virtù di quanto previsto dall’art. 4 delle disposizioni preliminari al codice civile. La normativa comunale che impone, a pena di decadenza, il rinnovo della concessione cimiteriale perpetua al trascorrere di ogni trentennio è in contrasto con la disposizione di cui all’art. 93 del regolamento governativo approvato con D.P.R. n.803/1975 (il cui contenuto è stato poi ripetuto nell’art. 92 del D.P.R. 10.9.1990 n.285). Detta disposizione statale, dopo aver precisato che le concessioni cimiteriali rilasciate dopo l’entrata in vigore del regolamento, non possono avere una durata superiore ai 99 anni, salvo rinnovo, prevede per quelle anteriori, di durata superiore ai 99 anni, la facoltà di revoca da parte del Comune quando siano trascorsi 50 anni dalla tumulazione dell’ultima salma e si verifichi una grave situazione di insufficienza del cimitero rispetto al fabbisogno e non sia possibile provvedere tempestivamente all’ampliamento o alla costruzione di nuovo cimitero. Consente poi al Comune, con l’atto di concessione, di imporre al concessionario determinati obblighi tra cui quello di costruire la sepoltura entro un tempo determinato, pena la decadenza della concessione. Con la conseguenza che nella normativa statale, per le concessioni di durata superiore ai 99 anni rilasciate anteriormente al D.P.R. n.803/1975, l’esercizio del potere discrezionale di revoca nell’interesse pubblico viene ancorato a due precisi presupposti (superamento di 50 anni dall’ultima tumulazione e grave insufficienza del cimitero), che debbono concorrere entrambi per la legittimità del provvedimento di revoca, mentre la decadenza viene consentita rispetto all’inosservanza di determinati obblighi a carico del concessionario da precisare con l’atto di concessione (o con la convenzione che sovente l’accompagna).
Con l’entrata in vigore del D.P.R. n.803/1975, debbono ritenersi abrogate in parte qua le disposizioni regolamentari comunali che imponevano il rinnovo della concessione cimiteriale ogni trentennio”
Tribunale Amministrativo Regionale per il Veneto, Ric. n. 17/05 Sent. n.3074/06
“[omissis] …Di seguito, l’atto introduttivo propone la distinzione tra jus sepulchri jure sanguinis e jure successionis, e sottolinea che, per stabilire quale dei due sussista in concreto, occorre interpretare la volontà del fondatore, la quale, in difetto di elementi univoci, deve presumersi indirizzata ai familiari: in tal caso, allora, ciascuno di essi acquista dalla nascita lo jus sepulchri, imprescrittibile, intrasmissibile ed irrinunciabile.
Sarebbe pertanto nullo ed inefficace qualsiasi accordo, tra una parte dei discendenti del fondatore, di escluderne altri dal diritto alla sepoltura, proprio perché, in assenza di una diversa volontà, tale diritto “si trasmette jure sanguinis alla famiglia del fondatore, anche ai nondum nati alla sua morte, e non ai suoi eredi che quindi non possono, in tale qualità, disporne”
TAR Marche, con la sentenza n. 43 del 2004
““A fronte della presunta destinazione ai membri delle due famiglie, a ciascuna delle quali spettava una quota pari a 50%, estinta la classe dei familiari e dei congiunti di una delle due quote sepolcrali lo ‘jus sepulchri’, con riferimento alla famiglia del Sig. xxx, si è trasformato da familiare in ereditario, con rivivesceza dello jus successionis e la trasmissibilità del diritto per atto inter vivos o mortis causa”.
Corte d’appello di Roma, 6 febbraio 1931
“Il contenuto patrimoniale del jus sepulchri ha importanza secondaria di fronte al vincolo della destinazione imposta dal fondatore, dovendo questa essere rispettata nel senso della limitazione dell’uso fra i membri della famiglia, della inalienabilità e della indivisibilità. Né, per proporre azioni giudiziarie relativamente a quella destinazione, occorre l’appartenenza al gruppo familiare in senso stretto, e la esistenza del diritto alla sepoltura, essendo sufficiente un interesse morale a che sia rispettata la tomba in cui riposano congiunti della persona che propone l’azione”.
Tribunale Civile Sentenza 08 settembre 2005, n.751
“Il diritto alla tumulazione, che nel sepolcro ereditario si trasmette per atto inter vivos o mortis causa dall’originario titolare anche a persone non facenti parte della famiglia, nel caso di sepolcro gentilizio o familiare è attribuito in base alla volontà del fondatore con riferimento alla cerchia dei familiari destinatari del sepolcro stesso, acquistandosi tale diritto iure proprio sin dal momento della nascita e dando luogo ad una particolare forma di comunione indivisibile tra contitolari, senza poter essere trasmesso né per atto tra vivi, né per atto mortis causa, né perdendosi per prescrizione o rinuncia (nel caso di specie, l’avvenuto rilascio di concessione amministrativa di due sezioni del suolo al camposanto per la costruzione di cappella gentilizia, confermava la natura familiare della stessa e determinava la trasmissione del relativo diritto di tumulazione ai parenti legati iure sanguinis (discendenti, parenti di secondo e terzo grado rispetto al capostipite e relativi coniugi), fatta eccezione per il marito della sorella del concessionario, non avente alcun vincolo di consanguineità con quest’ultimo)”.
Consiglio di Stato, ANNO 1995, ricorso in appello n. 7212/1995
“Omissis….Come ripetutamente chiarito dalla giurisprudenza civile (Cass., sez. un., 07-10-1994, n. 8197), nel nostro ordinamento, il diritto sul sepolcro già costruito nasce da una concessione da parte dell’autorità amministrativa di un’area di terreno (o di una porzione di edificio) in un cimitero pubblico di carattere demaniale (art. 824 c.c.) e tale concessione, di natura traslativa, crea, a sua volta, nel privato concessionario, un diritto soggettivo perfetto di natura reale, e perciò, opponibile, iure privatorum, agli altri privati, assimilabile al diritto di superficie, che si affievolisce, degradando ad interesse legittimo, nei confronti dell’amministrazione, nei casi in cui esigenze di pubblico interesse per la tutela dell’ordine e del buon governo del cimitero, impongono o consigliano alla p.a. di esercitare il potere di revoca della concessione.
Nello stesso senso, anche la Sezione ha affermato che lo ius sepulchri, ossia il diritto ad essere tumulato nel sepolcro, laddove concerne un manufatto costruito su terreno demaniale costituisce, nei confronti della p.a. concedente, un diritto affievolito in senso stretto; dalla demanialità del bene discende, infatti, l’intrinseca cedevolezza del diritto, che trae origine da una concessione amministrativa su bene pubblico (C. Stato, sez. V, 14-06-2000, n. 3313).
12 La giurisprudenza richiamata dal tribunale non suffraga affatto la tesi della cedibilità delle facoltà inerenti al ius sepulchri.
Infatti, secondo Cass., 25 maggio 1983, n. 3607, nel nostro ordinamento il diritto di sepolcro si fonda su una concessione da parte dell’autorità amministrativa di un’area di terreno o di una porzione di edificio in un cimitero pubblico di carattere demaniale in forza dell’art. 824 c.c. e tale concessione, in quanto si riferisce all’uso specifico cui l’area stessa è permanentemente destinata, crea, a sua volta, nel privato concessionario un diritto soggettivo perfetto di natura reale, nei confronti degli altri privati come tale alienabile, prescrivibile ed espropriabile, salvo le particolari limitazioni che siano previste dai regolamenti comunali, in base ai quali la concessione è stata fatta, o di essi modificativi; siffatto diritto di natura reale (superficie), iure privato è tutelabile con esperimento dinanzi alla autorità giudiziaria ordinaria di ogni azione che il particolare caso richieda, ivi compresa la revindica; iure publico è destinato ad affievolirsi nei confronti della p. a. concedente e a degradare in diritto condizionato od affievolito, qualora lo richiedano esigenze di pubblico interesse per la tutela dell’ordine e del buon governo del cimitero; pertanto la domanda del terzo che revindica il diritto di sepolcro nei confronti dell’originario concessionario non può essere accolta in mancanza dell’apposita concessione che costituisce la fonte del diritto reale preteso senza che l’occupazione dell’area (ove abusiva) sia idonea a fondare alcun diritto, trattandosi di bene soggetto al regime del demanio pubblico.
13 Ciò significa che, una volta costituita, legittimamente, la concessione di uso (ius sepulchri), la relativa facoltà gode di una protezione piena ed assoluta nei confronti dei privati. Ma nel rapporto con l’amministrazione, l’acquisto della relativa facoltà resta sempre subordinato all’adozione di un apposito provvedimento di trasferimento.
La sentenza della Cass., 30 maggio 1984, n. 3311 (anch’essa citata dalla sentenza appellata, poi, ribadisce principi pacifici in materia di ius sepulchri, definito quale diritto reale ad essere inumati o tumulati nel sepolcro gentilizio, si acquista per il solo fatto di trovarsi in quel determinato rapporto di parentela col fondatore, previsto nell’atto di fondazione; in ogni caso esso si trasmette iure sanguinis e non iure successionis ed è tutelabile con l’azione negatoria ex art. 949 c.c.
La pronuncia non stabilisce affatto la legittimità del provvedimento di volturazione della concessione, afferente ad un trasferimento inter vivos della relativa facoltà, ma chiarisce solo il criterio di individuazione dell’acquirente della facoltà, in seguito alla morte dell’originario titolare.
14 Anche la pronuncia della Cass., 29 maggio 1990, n. 5015, contrariamente a quanto ritenuto dal tribunale, non afferma affatto che la facoltà del concessionario possa essere liberamente trasferita a terzi.
Secondo tale sentenza, lo ius sepulchri, nel sepolcro gentilizio o familiare (carattere quest’ultimo, da presumersi in caso di silenzio o anche se vi sono dubbi al riguardo) è attribuito in base alla volontà del testatore in stretto riferimento alla cerchia dei familiari presi in considerazione come destinatari del sepolcro stesso, acquistandosi dal singolo iure proprio sin dal momento della nascita, per il solo fatto di trovarsi con il fondatore in quel determinato rapporto previsto nell’atto di fondazione o desunto dalle regole consuetudinarie, in ogni caso iure sanguinis e non iure successionis, e dando luogo ad una particolare forma di comunione fra contitolari, senza poter essere trasmesso per atto tra vivi né per successione mortis causa, né perdendosi per prescrizione o rinuncia; detto diritto si trasforma da familiare in ereditario solo con la morte dell’ultimo superstite della cerchia dei familiari designati dal fondatore, rimanendo soggetto per l’ulteriore trasferimento alle ordinarie regole della successione mortis causa.
Solo in via incidentale, la sentenza afferma che lo ius sepulchri, nel sepolcro ereditario si trasmette nei modi ordinari per atto inter vivos o mortis causa dall’originario titolare come qualsiasi altro bene, anche a persone non facenti parte della famiglia.
15 Nessuna sentenza della Cassazione, quindi, afferma in modo esplicito che la facoltà del concessionario di costruire e mantenere un sepolcro in area cimiteriale possa essere trasferita a terzi, per atto inter vivos, creando l’obbligo, in capo all’amministrazione, di procedere alla volturazione della concessione.
X Necroforo
Per prima cosa voglio ringraziarti per la cortesia con cui hai risposto. Sono ancora più contento perché nel tuo commento ho trovato parecchie conferme, sia i senso positivo che negativo.
Positivo è che l’azine di rinuncia non dovrebbe essere “rifiutabile” anche se il regolamento cimiteriale non la prende neanche in considerazione. La concessione che mi coinvolge è stata rilasciata quando ancora la legge permetteva il rilascio senza limiti di tempo, quindi l’azione può essere intrapresa in qualunque momento. Nel nostro caso non dovrebbe esserci neanche il problema di dover traslocare: la Cappella resterebbe ai cugini che ancora abitano nella città in questione dove c’è una certa difficoltà a trovare posto dove “riposare”. A parte una resistenza opposta dall’ente cimiteriale, vi è anche l’aspetto economico: parecchi dei “rinunciandi”, non avendo mai dovuto spendere per la manutenzione, tendono a sottovalutare tale aspetto e credono che basti ignorarlo. Quindi “spendere per non spendere” raffredda molto il loro interesse. Questa è la prima considerazione negativa e da qui discendono le altre: la scrittura privata validata e registrata ha, ovviamente, un costo minore di un atto pubblico nella speranza che le imposte non siano eccessive.
Grazie ancora e buon anno
Francesco
Ho trovato nei vostri articoli ed anche altrove una gran quantità di documentazione sui casi di difficoltà nell’esercitare il diritto ad essere sepolti nella Cappella Gentilizia della propria famiglia. Nella mia famiglia invece c’é il problema opposto: tre concessionari originali alla pari; la famiglia di uno dei tre si è esaurita ed è già ospitata; Il secondo concessionario ha lasciato 2 figli ancora in vita; il terzo concessionario ha avuto 6 figli, tutti ormai deceduti lasciando un certo numero di figli e nipoti. A risolvere i problemi di affollamento c’è un fatto: NESSUNO di questi nipoti e pronipoti del concessionario vuole fruire del proprio ius sepulchri. I motivi sono diversi ma tutti sono decisi in merito. Basterebbe quindi non esercitarlo questo diritto, ma esiste una clausola del regolamento cimiteriale che chiama tutti gli aventi diritto a fronteggiare le eventuali spese di manutenzione. Anche se a tutt’oggi tali spese si sono rivelate moderate ciascuno dei rinunciatari al diritto vorrebbe non dover lasciare ai propri figli questo peso. Considerando il fatto che i figli del terzo concessionario intendono mantenere il diritto coprendo quindi i problemi di manutenzione, esiste una forma di rinuncia che oltre a dichiarare l’abbandono del diritto garantisca anche la liberazione dal dovere?
In effetti è venuto fuori non un “commento” ma un vero e proprio quesito.
Ringrazio in anticipo chi vorrà rispondere
X Francesco,
L’istituto della rinuncia di concessioni cimiteriali costituisce una causa estintiva della concessione (o, meglio, del rapporto giuridico che la permea) che si verifica in momento antecedente alla sua scadenza (ovviamente, se si tratti di concessioni perpetue, ogni momento è antecedente proprio per l’indeter-minatezza del termine temporale). La rinuncia ha carattere sostanzialmente di atto unilaterale, nel senso di essere posta in essere da una delle parti del rapporto giuridico di conces-sione, e, sotto il profilo formale, richiede – fatte salve eventuali differenti disposizioni esplicita-mente stabilite od individuate dal Regolamento comunale di polizia mortuaria – un atto pubblico o, almeno, della scrittura privata autenticata da notaio (art. 2703 C.C.) e previa registrazione, per la quale va corrisposta l’imposta di registro in misura fissa (D.M. (Fin.) 15 dicembre 1977, n. 13348), come, del resto, è fisiologico quando la rinuncia abbia a proprio oggetto diritti reali. Va, comunque, tenuto in debito conto di come la ri-nuncia di concessione cimiteriale, per quanto at-to sostanzialmente unilaterale, non abbia effetti, per così dire, “automatici”, ma debba necessa-riamente essere fatta oggetto di atto ricettivo da parte del titolare dell’area cimiteriale, anche quando questo si limiti ad una mera presa d’atto, dal momento che il titolare della concessione, rinunciante, non dispone di una potestà incondi-zionata di disposizione circa la concessione ci-miteriale, potestà dispositiva comunque assog-gettata a principi di diritto amministrativo, propri dei diritti di terzi su beni assoggettati al regime dei beni demaniali (art. 823, comma 1 C.C. ). Andrebbe, inoltre, osservato, trattandosi di aspet-to spesso ignorato, specie da quanti intendano rinunciare alla concessione cimiteriale, che l’atto di rinuncia dovrebbe avere, tra gli altri, anche il presupposto che sia stato provveduto, a cura, di-ligenza ed onere del soggetto rinunciante, a tra-sferire i feretri tumulati in altro sito, nonché alle opere ed interventi che siano caso che per caso necessari a far sì che il sepolcro possa essere nelle condizioni di poter essere assegnato a terzi, fin dal giorno successivo a quello cui abbia ef-fetto la rinuncia, cioè dall’accettazione della stessa (per altro, non solo ciò viene sottovalutato da quanti intendano rinunciare, ma altresì anche da altri soggetti …).
X Francesco,
SI’, è del tutto legittimo e soprattutto legale, perchè ai sensi dell’Art. 93 comma 1 del Regolamento Nazionale di Polizia Mortuaria il sepolcro ha natura familiare, ossia il rapporto concessorio sorge e s’instaura “sibi familiaeque suae” ossia per offrir sepoltura al concessionario ed alla di lui famiglia. Se non diversamente specificato nell’atto di concessione (o nella convenzione che spesso l’accompagna dove si definiscono le clausole di dettaglio) il diritto di sepolcro segue il principio generale dello Jus Sanguinis, quindi la figlia del concessionario defunto ha pieno titolo ad esser tumulata nel sepolcro di famiglia, l’unico limite è riscontrabile nella capienza fisica della tomba stessa: infatti se nel saccello non c’è più spazio per accogliere il suo feretro lo Jus Sepulchri si comprime naturalmente, sino ad esaurirsi e ad estinguersi (Art. 93 comma 1 II Periodo DPR 10 settembre 1990 n. 285). Ovviamente il concetto di “capacità fisica” della tomba si dilata notevolmente grazie alle recenti tendenze funerarie di cremazione ed estumulazione volta alla riduzione dei resti mortali in cassetta ossario: in effetti ex Art. 76 comma 1 DPR n.285/1990 ogni loculo può accogliere uno ed un solo feretro, mentre in ogni loculo, sia in esso presente o meno una bara possono esser tumulate più urne cinerarie o cassette ossario ex punto 1 del paragrafo 13.1 della Circolare Ministeriale esplicativa 24 giugno 1993 n. 24
Dunque l’ordine di uso del sepolcro (se gli aventi titolo non ne disciplinano differentemente la priorità nell’accesso con una scrittura privata tra di loro da notificare al comune cui, però, l’amministrazione comunale, in caso di dissidio o vertenza resterà estranea) è in relazione alla cronologia degli eventi luttuosi: in buona sostanza chi prima muore…meglio alloggia, in quanto le sue spoglie troveranno sistemazione certa all’interno del sepolcro.
La spartizione dei posti feretro con scrittura privata non è elemento di diritto, perché, allora, alcuni comuni chiedono l’autorizzazione degli aventi titolo ancora vivi? Si tratta di un inutile e pleonastico bizantinismo procedurale sanzionato anche dall’Art.1 comma 2 Legge 241/1990; a regola dovrebbe bastare il nulla osta del concessionario quando non si vada ad intaccare la legittima aspettativa degli aventi titolo sullo jus sepulchri, come accade, invece, per l’istituto della benemerenza.
Può essere tumulata in un loculo dato in concessione dal comune la salma della figlia del concessionario, deceduto, senza l’autorizzazione anke degli altri eredi di detto concessionario? Regione Campania
Grazie
MASSIMA: Tribunale di Napoli, Sezione distaccata di Frattamaggiore, 25 agosto 2008
…[omissis]… “Ciò premesso a passando, dunque, alla disamina del merito della presente controversia, appare opportuna, in via preliminare, una ricostruzione dell’istituto rappresentato dal cosiddetto ius sepulchri.
Il diritto di sepolcro costituisce materia di particolare interesse in ragione della carenza di disposizioni normative scritte che ne contengano la disciplina. Si tratta, infatti, sotto il profilo strettamente privatistico, di un istituto regolamentato integralmente dalla consuetudine, che, in questo caso, acquisisce valore suppletivo (cosiddetta consuetudine praeter legem).
Parte della dottrina, peraltro, non ha mancato di osservare come in questa materia si rinvengano disposizioni ispirate ad esigenze ed a principi che con il diritto privato ben poco hanno in comune.
Sembra tuttavia corretto riportare anche la disciplina del diritto di sepolcro ai principi generali del diritto privato ed ai valori costituzionali, all’interno ed alla luce dei quali ogni disposizione del vigente ordinamento giuridico (e, quindi, anche le norme consuetudinarie) deve essere rispettivamente posizionata e letta.
Orbene, mediante l’espressione diritto di sepolcro si fa riferimento ad un istituto complesso, suscettibile di essere scomposto in un diritto primario ed in un diritto secondario.
Il diritto primario di sepolcro consiste nel diritto di essere seppellito (ius sepulchri propriamente detto) o di seppellire altri in un determinato sepolcro (ius inferendi mortuum in sepulchro), che può essere attribuito dal proprietario del sepolcro a titolo gratuito oppure oneroso, per atto tra vivi o a causa di morte (cfr., in tal senso, Cass. 5 luglio 1979, n. 3851, nonché Cass. 24 gennaio 1979, n. 532).
Il diritto secondario di sepolcro, invece, spetta a chiunque sia congiunto di una persona che riposa in un sepolcro e consiste nella facoltà di accedervi in occasione delle ricorrenze e di opporsi ad ogni sua trasformazione che arrechi pregiudizio al rispetto dovuto a quella determinata spoglia e ad ogni atto che costituisca violazione od oltraggio a quella tomba (cfr., in tal senso, Corte d’Appello di L’Aquila, 6 giugno 1984).
È possibile configurare, poi, anche un diritto riguardante l’intestazione del sepolcro. Ai fini dell’esclusività dello ius nominis sepulchri, ovvero dell’intestazione della tomba familiare, è irrilevante il mero fatto che un soggetto sia, per ovvi motivi amministrativi e di semplificazione, il primo o unico intestatario della concessione di suolo cimiteriale, qualora risulti pacificamente da apposite convenzioni fra i privati che suolo e tomba siano stati rispettivamente acquistati e realizzati di comune accordo da due differenti famiglie, ciascuna contribuente in ragione della metà delle spese, e, pertanto, avente di conseguenza diritto non solo a metà quota del sepolcro familiare, ma anche alla cointestazione dello stesso (in tal senso, Pretura di Niscemi, 5 dicembre 1985).
Occorre, infine, distinguere uno ius sepulchri come diritto sulla cappella funeraria in quanto edificio.
L’atto di fondazione del sepolcro è l’atto con cui una o più persone, proprietarie di un fondo, o nella normalità dei casi, concessionarie del diritto di usarne per sepolcro, dopo avere conseguito le autorizzazioni necessarie da parte dell’autorità pubblica, lo destinano concretamente allo scopo menzionato.
Tale atto può avere la forma di un contratto ovvero di un atto collettivo oppure ancora di un testamento. Esso può anche esaurirsi nella semplice edificazione di un edificio avente le caratteristiche del sepolcro.
In quest’ultima fattispecie, per conoscere la volontà del fondatore circa la titolarità del diritto ad essere sepolti nella cappella funeraria, si tiene conto di ogni elemento a ciò utile, fra cui particolare importanza acquisisce la cosiddetta prova monumentale, avente riguardo alle iscrizioni che il fondatore stesso ha posto sull’edificio (Corte d’Appello di Brescia, 4 ottobre 1987).
La volontà del fondatore, comunque, può essere manifestata in qualsiasi forma, purché in maniera non equivoca, e può risultare anche indirettamente, in base ad elementi indiziari presuntivi, rimessi alla valutazione del giudice di merito, il cui convincimento al riguardo costituisce giudizio di fatto, sindacabile in sede di legittimità solo per vizi logico – giuridici della motivazione (Cass. 24 gennaio 1979, n. 532, già sopra citata).
In ogni caso, nel dubbio circa la regolamentazione del diritto di sepolcro in base alla qualificazione di esso, si presume che il fondatore abbia voluto costituire un sepolcro di tipo familiare.
Con espresso riguardo al rapporto fra successione mortis causa e diritto di sepolcro, è possibile affermare che l’erede di una cappella sepolcrale su terreno oggetto di una concessione, sia in ragione di tale qualità, sia come portatore di un interesse morale e spirituale alla conservazione del bene stesso scaturente dalla tumulazione nel sepolcro dei resti dei più stretti congiunti, è titolare di una posizione giuridica soggettiva di carattere sostanziale che lo abilita ad agire per la difesa, la conservazione ed il ripristino dell’interesse stesso, ove se ne prospetti l’illegittima lesione da parte di chiunque (cfr., in tal senso, T. A. R. Sicilia, Sezione di Palermo, 7 marzo 1984, n. 283).
Per quanto riguarda l’edificio della cappella funeraria, poi, la giurisprudenza di legittimità ha evidenziato come non si possa ritenere che la disposizione testamentaria con cui si provvede alla sua manutenzione, senza alcuna modalità integrativa relativa alla celebrazione di riti di suffragio e di devozione, abbia fine di culto o di religione e possa, perciò, venire considerata alla stregua di una disposizione a favore dell’anima (cfr., all’uopo, Cass. 3 agosto 1999, n. 8386).
È possibile individuare due differenti tipologie di sepolcro: quello familiare e quello successorio.
Ed invero, atteso che lo ius sepulchri costituisce il diritto primario di essere seppelliti o di collocare una salma in una determinata tomba, la titolarità di esso può derivare o dalla qualità di erede del fondatore (sepolcro ereditario) ovvero dall’appartenenza ad una famiglia (sepolcro familiare o gentilizio: cfr., in tal senso, T. A. R. Sicilia, Sez. III, Catania, 24 dicembre 1997, n. 2675).
Orbene, costituisce orientamento consolidato quello in base al quale l’individuazione della natura di una cappella funeraria come sepolcro familiare o gentilizio, ovvero come sepolcro ereditario dà luogo ad un apprezzamento fattuale non suscettibile di sindacato in sede di legittimità, purché sia sorretto da sufficiente motivazione e sia immune da vizi logico – giuridici (cfr., in tal senso, Cass. 22 maggio 1999, n. 5020).
La fattispecie del sepolcro familiare ricorre allorquando il fondatore esprima la volontà di riservare lo ius sepulchri ai componenti della famiglia, così come da lui intesa, ma sempre nei limiti di un legame derivante da un rapporto di consanguineità (Cass. 8 gennaio 1982, n. 78).
Entro i limiti della consanguineità, infatti, la volontà del fondatore è sovrana, potendo, senza restrizione alcuna, ampliare o contenere la sfera dei beneficiari del diritto e determinare entro quali confini vada intesa la famiglia allo scopo particolare della titolarità del diritto in esame (cfr., al riguardo, Cass. 24 gennaio 1979, n. 532).
Nel sepolcro cosiddetto familiare, l’appartenenza alla famiglia è, dunque, presupposto indispensabile per l’acquisto del diritto alla sepoltura (cfr., in tal senso, Cass. 30 maggio 1984, n. 3311), sempre che il fondatore non abbia diversamente disposto.
Il diritto alla tumulazione non può essere trasmesso per atto fra vivi, né per successione mortis causa e si estingue, per ciascun titolare, nel momento in cui il cadavere del medesimo viene deposto in quel dato sepolcro, salvo quel suo aspetto secondario riguardante gli atti di pietà e di culto (cfr. sempre Cass. 30 maggio 1984, n. 3311).
Così, il diritto alla sepoltura spetta al fondatore del sepolcro ed a tutti i suoi discendenti, facenti parte della famiglia, ivi compresi, salva eventuale volontà contraria del fondatore, i discendenti di sesso femminile, ancorché coniugati e con diverso cognome.
Questi ultimi acquistano il diritto alla sepoltura iure proprio, in quanto facenti parte della famiglia, nella cui cerchia, avuto riguardo al significato semantico del termine generalmente usato ed accettato, devono farsi rientrare tutte le persone del medesimo sangue e legate fra loro dal coniugio, ancorché non aventi lo stesso cognome (in proposito, si veda Cass. 19 maggio 1995, n. 5547).
Il diritto alla tumulazione nella tomba della famiglia del coniuge non viene meno per effetto del passaggio a nuove nozze dopo la vedovanza, poiché il nuovo matrimonio non estingue il vincolo di affinità con la famiglia stessa (cfr., all’uopo, Consiglio di Stato, Sez. V, 13 maggio 1991, n. 806).
Anche i discendenti di una figlia nubile del fondatore di un sepolcro familiare sono titolari del diritto ad essere seppelliti in esso (cfr., in tal senso, Tribunale di Roma, 27 maggio 1980).
Nel caso di sepolcro familiare, infine, il diritto primario di sepolcro, trasmettendosi a tutti coloro che sono legati al concessionario da rapporti di consanguineità, riguarda anche, in assenza di discendenti diretti, i parenti collaterali, la cui presenza impedisce che il diritto di sepolcro si trasformi da familiare in ereditario (cfr., in tal senso, Corte d’Appello di Perugia, 20 maggio 1995, nonché Cass. 27 gennaio 1986, n. 519).
L’accordo, con cui alcuni discendenti di un fondatore di una tomba familiare limitano il diritto degli altri ad esservi sepolti, deve considerarsi inefficace. Infatti, in assenza di una diversa volontà del fondatore, tale diritto si trasmette iure sanguinis alla famiglia del fondatore medesimo, anche ai nondum nati, alla sua morte e non ai suoi eredi, che, quindi, non possono, in tale qualità, disporne (sul punto, cfr. Cass. 8 settembre 1998, n. 8851).
La fondazione di un sepolcro familiare non è incompatibile con la circostanza che i loculi di cui è costituito siano compresi in un più vasto portico – sepolcreto, sito in un pubblico cimitero e realizzato dal concessionario dell’area (Cass. 22 maggio 1999, n. 5020).
La cerchia dei componenti la famiglia, titolari del diritto ad essere seppelliti in un sepolcro familiare, va determinata alla stregua della volontà del fondatore, da individuarsi anche sulla base di inequivoci elementi di carattere presuntivo (cfr. Cass. 24 gennaio 1979, n. 532).
Ciò posto, se è vero che, in presenza di un sepolcro familiare, il fondatore ha inteso destinarlo sibi familiaeque suae, può risultare tuttavia complessa l’individuazione dei soggetti titolari dello ius sepulchri (con tale locuzione intendendosi sia il diritto primario, ossia il diritto di essere seppellito, o di seppellire altri, in un dato sepolcro, sia il diritto secondario, avente ad oggetto forme di pietas verso i defunti, quali l’accesso al sepolcro e la possibilità di effettuarvi le onoranze di rito).
È pacifico che occorre aver riguardo alla volontà del defunto, se ed in quanto manifestata (cfr. Cass. 24 gennaio 2003, n. 1134, con espresso riguardo alla preminente rilevanza della volontà del fondatore, suscettibile di essere espressa in qualsiasi forma e desunta anche da elementi di natura indiziaria e presuntiva), posto che la legge non specifica alcunché circa i titolari del diritto. Osserva correttamente la dottrina che, in ogni modo, detta volontà non può porsi in contrasto con i principi generali dell’ordinamento giuridico. Infatti, un’eventuale esclusione di un membro dal gruppo, operata dal fondatore, dovrà, necessariamente, presentare caratteristiche tali da essere meritevole di tutela, sia per l’ordinamento, sia per la morale ed il costume, valori a cui, del resto, lo stesso ordinamento fa riferimento. Di contro, come già detto, è stato ritenuto inefficace l’accordo con cui alcuni discendenti del fondatore della tomba familiare limitino il diritto degli altri ad essere sepolti, attesa l’indisponibilità del diritto (cfr., in tal senso, Cass. 8 settembre 1998, n. 8851).
Problemi interpretativi più rilevanti si determinano invece quando il titolare del sepolcro nulla abbia disposto circa i beneficiari dello ius sepulchri.
La giurisprudenza più risalente, valorizzando al massimo il vincolo del sangue e del nome, riconosceva lo ius sepulchri al coniuge del titolare, ai suoi figli maschi ed alle mogli di costoro, nonché alle figlie femmine, se nubili. Solo i figli maschi, infatti, continuavano a portare il cognome del fondatore del sepolcro (o della fondatrice che, per effetto del matrimonio, assumeva il cognome del marito) e tale cognome trasmettevano alle mogli che lo anteponevano al proprio; quanto alle figlie femmine, solo la permanenza dello stato civile libero le avrebbe messe al sicuro dalla perdita del cognome paterno (Cass. 7 ottobre 1977, n. 4282; Cass. 18 febbraio 1977, n. 727; Pretura di Macerata, 6 giugno 1992).
Col tempo, peraltro, è profondamente mutato il concetto di famiglia nella società e nell’ordinamento giuridico, come del resto è mutato il concetto stesso di matrimonio che è alla base della famiglia. Se prima, infatti, il matrimonio (sulla scorta dell’influsso del diritto canonico) veniva per lo più concepito nel suo aspetto formale di atto negoziale, nel tempo si è fatta strada l’idea di matrimonio come unione basata sul consenso reciproco, ossia sulla comunione materiale e morale.
L’essenza dell’istituto viene allora a coincidere con la funzione di gratificazione affettiva e di mutua solidarietà che si è soliti assegnare all’unione coniugale. Non è questa, ovviamente, la sede per ripercorrere in dettaglio l’evoluzione legislativa che ha condotto dalla separazione per colpa a quella per intollerabilità della convivenza, nonché all’introduzione nell’ordinamento giuridico dell’istituto del divorzio. Nello stesso tempo, peraltro, con la riforma del diritto di famiglia, l’uomo e la donna sono stati posti sul medesimo piano giuridico, sia nei rapporti reciproci come coniugi, sia nei rapporti con i figli come genitori. Inoltre, figli legittimi e figli naturali sono stati riconosciuti titolari dei medesimi diritti, estesi pure ai casi di filiazione non riconosciuta né riconoscibile (cfr., all’uopo, Corte Costituzionale 28 novembre 2002, n. 494, che ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 278, comma primo, del Codice Civile, nella parte in cui escludeva la dichiarazione giudiziale della paternità e maternità naturali e le relative indagini nelle ipotesi in cui, ai sensi della disposizione normativa contenuta nel primo comma dell’art. 251 c. c., è vietato il riconoscimento dei figli incestuosi), in forza di un principio generale di responsabilità in capo ai genitori per il solo fatto della procreazione.
Orbene, tale evoluzione normativa ha finito con l’influenzare altresì la giurisprudenza in materia di ius sepulchri. È evidente, infatti, come la comunione affettiva che lega tra loro i componenti della famiglia non possa venir meno, sulla scorta di elementi formali, per effetto del decesso. Così la Suprema Corte ha affermato che detto diritto compete pure alle figlie coniugate del fondatore e ai loro discendenti, superando pertanto una concezione dell’istituto strettamente legata alla trasmissione del cognome (cfr. Cass. 19 maggio 1995, n. 5547). In epoca più recente la stessa Suprema Corte ha precisato che il diritto alla sepoltura spetta ai discendenti del fondatore nonché ai rispettivi coniugi, ancorché la decisione non affronti specificamente la questione della titolarità dello ius sepulchri in capo ai coniugi dei figli del fondatore (Cass. 29 settembre 2000, n. 12957).
La giurisprudenza si è poi spinta ancora oltre, affermando espressamente, con ampie ed articolate argomentazioni, che anche i coniugi delle discendenti femmine del titolare del sepolcro hanno diritto di essere inumati o tumulati nella tomba di famiglia (cfr. al riguardo, Corte di Appello di Genova, 16 marzo 2002). Tale orientamento è stato salutato con particolare favore dalla dottrina, la quale ha posto in rilievo come non vi fosse alcuna ragione per discriminare tra coniugi dei figli del fondatore secondo il sesso. L’idea stessa di famiglia rimanda oggi all’idea di un gruppo fondato sull’affetto e non su elementi meramente formali, quali il sangue o il cognome.
Escludere dallo ius sepulchri il marito della figlia del fondatore verrebbe a determinare sia una disparità di trattamento con la moglie del figlio del fondatore (con violazione dell’art. 3 Cost.), sia un’inaccettabile lesione dei principi ispiratori dell’unità familiare e del vincolo matrimoniale (in contrasto con l’art. 29 della Costituzione).
Fatto il punto sul sepolcro familiare o gentilizio, si può osservare che, nel sepolcro ereditario, invece, il fondatore si limita a compiere una mera destinazione del diritto di sepoltura ai propri eredi (sibi haeredibusque suis) in considerazione di tale loro qualità, con la conseguenza che ciascuno di essi, subentrandogli iure haereditatis, è legittimato alla tumulazione di salme estranee alla famiglia di origine, entro i limiti della propria quota ereditaria (cfr., in tal senso, Cass. 30 maggio 1997, n. 4830).
Anche in caso di sepolcro familiare, con la morte dell’ultimo componente la cerchia familiare, determinandosi l’estinzione della classe degli aventi diritto alla sepoltura, lo ius sepulchri si trasforma in ereditario e diviene trasmissibile per successione mortis causa (Cass. 29 maggio 1990, n. 5015).
La vedova del fondatore del sepolcro è titolare del diritto primario di sepolcro; questo – alla sua morte ed in assenza di altri eredi legittimi del fondatore – si trasforma da familiare in ereditario e conseguentemente il diritto primario di sepolcro si trasferisce agli eredi della vedova stessa (in tal senso Corte d’Appello di L’Aquila, 6 giugno 1984).
Il diritto sulla cappella, gentilizia o familiare – costruita, previa concessione ai sensi degli artt. 90 e 92 del Decreto del Presidente della Repubblica 10 settembre 1990, n. 285, sopra o sotto il suolo di un’area cimiteriale – si atteggia come un diritto reale particolare, assimilabile al diritto di superficie (si esprime in termini generici di diritto reale Cass. 30 maggio 1984, n. 3311, mentre Cass. 15 settembre 1997, n. 9190 e Cass. 25 maggio 1983, n. 3607 ravvisano, più in particolare, la sussistenza di un diritto di superficie o, comunque, ad esso suscettibile di essere assimilato).
La natura reale del diritto sulla costruzione funeraria fa sì che esso possa essere oggetto di esecuzione forzata, mentre la sua temporaneità ed estinguibilità da parte della concedente amministrazione pubblica per ragioni di pubblico interesse, incide soltanto sulla sua valutazione patrimoniale (cfr., al riguardo, Cass. 15 settembre 1997, n. 9190).
Il diritto sul sepolcro già costruito nasce, dunque, da una concessione da parte dell’autorità amministrativa di un’area di terreno (o di una porzione di edificio) in un cimitero pubblico di carattere demaniale in forza dell’art. 824 c.c. Questa concessione di natura traslativa, poiché si riferisce all’uso specifico cui l’area stessa è permanentemente destinata, crea, a sua volta, a favore del privato concessionario, un diritto soggettivo perfetto di natura reale e, in quanto tale, opponibile iure privatorum agli altri privati.
Come diritto reale il diritto sul sepolcro è alienabile, essendo il fondo ed il manufatto destinato a sepolcro da considerarsi una cosa commerciabile, anche se la destinazione a sepolcro ha l’effetto di limitare il diritto reale sul sepolcro medesimo.
Altre caratteristiche del diritto in esame sono la prescrivibilità e l’espropriabilità, salvo le particolari limitazioni che siano previste dai regolamenti comunali, in base ai quali la concessione è stata fatta, o da atti di essi modificativi.
Il diritto primario di sepolcro, consistente nel diritto di essere seppelliti o di seppellire i propri congiunti nell’edificio sepolcrale, è diritto di natura reale e patrimoniale con peculiari caratteristiche, secondo un orientamento giurisprudenziale (Cass. 4 maggio 1982, n. 2736).
Il diritto alla tumulazione (ius inferendi mortuum in sepulchrum) costituisce, perciò, una posizione giuridica attiva autonoma e distinta rispetto al diritto reale sul manufatto funerario o sui materiali che lo compongono.
In ordine ad esso, dunque, è configurabile l’esercizio del potere di fatto, qualificabile come possesso o compossesso (art. 1140 c.c.), utile per l’usucapione (cfr., in tal senso, Cass. 5 ottobre 1993, n. 9838), se ad esplicarlo sullo stesso sepolcro sono più soggetti.
Tale possesso non viene meno per il compimento da parte di un compossessore di atti giuridici che, pur incidendo sulla titolarità formale del diritto, non hanno influenza sull’esercizio del potere di fatto animato dall’intenzione di esercitare un diritto (si veda a tal proposito, la già citata Cass. 4 maggio 1982, n. 2736).
Secondo un diverso orientamento, invece, il diritto primario di sepolcro non può essere considerato di natura reale, poiché è accordato a tutela di un interesse che viene soddisfatto, e, quindi, si estingue, nel momento stesso nel quale la salma viene deposta nel sepolcro.
Il diritto in esame dovrebbe essere qualificato, perciò, come un diritto di uso di natura personale, suscettibile, comunque, nei limiti in cui può ritenersi importare una detenzione della res, di tutela anche in via possessoria, secondo il disposto dell’art. 1168, comma secondo, del Codice Civile.
A tale diritto è possibile rinunziare con dichiarazione dello stesso titolare oppure, successivamente alla sua morte, dei suoi congiunti o dei suoi eredi, pure per facta concludentia, seppellendo in un luogo diverso il defunto. Naturalmente, ai fini strettamente processuali, la rinunzia (espressa o tacita) al diritto primario di sepolcro, concretando un fatto estintivo di tale posizione giuridica soggettiva, non è suscettibile di essere rilevata d’ufficio e necessita, per poter essere fatta valere, di un’espressa eccezione di parte (cfr., in tal senso, Cass. 9 febbraio 1999, n. 1110).
L’atto con il quale uno dei componenti la famiglia rinunzia allo ius sepulchri primario, in favore di un congiunto già deceduto, escluso dalla titolarità del sepolcro per volontà del fondatore, non può dare luogo ad una rinunzia traslativa del diritto, che presuppone l’esistenza del soggetto cessionario, ma costituisce, invece, solo un’utilizzazione del sepolcro, attuata dallo stesso titolare, in forma diversa da quella originariamente prevista (cfr., in tal senso, Cass. 12 maggio 1980, n. 3133).
Circa la natura del così detto diritto secondario di sepolcro, se ne può senz’altro escludere una natura reale, mancando anche il potere di uso che caratterizza, invece, il diritto primario e che rappresenta il presupposto di ogni diritto reale.
Si deve, perciò, concludere che esso è un diritto personale di godimento, il cui esercizio dura fino a quando permane la sepoltura (cfr., in tal senso, Pretura di Napoli, 3 aprile 1991).
La costituzione del sepolcro familiare dà luogo ad una particolare forma di comunione fra i contitolari, caratterizzata dalla mancanza della quota come titolo per partecipare alla comunione, e dall’assoluta indisponibilità, con atti inter vivos o mortis causa, imprescrittibilità ed irrinunciabilità del diritto del singolo titolare o dei suoi aventi causa (cfr., in tal senso, Cass. 29 maggio 1990, n. 5015; Cass. 8 gennaio 1982, n. 78; Cass. 4 maggio 1982, n. 2736; Cass. 24 gennaio 1979, n. 532; Tribunale di Perugia, 14 novembre 1995; Tribunale di Roma, 27 maggio 1980).
In virtù della comunione instaurata, in capo ai singoli si ha, di regola, solo il potere di concorrere insieme agli altri titolari del sepolcro, alla formazione di delibere collettive, prese a maggioranza (Cass. 27 gennaio 1986, n. 519).
Tale comunione indivisibile esclude ogni potere di disposizione del diritto da parte di taluni soltanto dei titolari ed anche dello stesso fondatore, così come il potere di alcuno dei titolari di vietare, consentire o condizionare l’esercizio dello ius inferendi in sepulchro spettante agli altri contitolari.
La destinazione di un fondo a sepolcro familiare dà origine ad una particolare forma di comunione dove la deliberazione assembleare, avente in oggetto lavori di ristrutturazione della cappella cimiteriale, che comportano la traslazione delle salme, e, quindi, pregiudizio al rispetto dovuto alle spoglie, non può essere presa senza il consenso dei congiunti più strettamente legati da vincoli di parentela al defunto e titolari del diritto secondario di sepolcro (cfr., in materia, Tribunale di Catania, 28 giugno 1997).
Il diritto sul sepolcro, in quanto diritto soggettivo (reale patrimoniale), è tutelabile dinanzi all’autorità giudiziaria ordinaria mediante ogni azione che il particolare caso richieda, compresa la rivendicazione o l’azione di spoglio (cfr., con riguardo alla rivendicazione, T. A. R. Sicilia, Sez. III, Catania, 24 dicembre 1997, n. 2675, nonché Cass. 25 maggio 1983, n. 3607, mentre, con riguardo all’azione di reintegrazione nel possesso, si veda Pretura di Napoli, 3 aprile 1991).
Il legittimo compossessore commette spoglio, se eccede i limiti del suo potere e tale eccesso è ravvisabile qualora violi la destinazione della cosa oggetto del comune possesso, in tal modo sostituendo il proprio esclusivo potere – anche se solo su una determinata parte di essa – a danno del concorrente potere degli altri sulla stessa parte.
Per questo, qualora sia stato costituito un sepolcro familiare, riservato, nella volontà dei fondatori, a ricevere esclusivamente i corpi dei membri delle famiglie dei fondatori stessi, commette spoglio il compossessore di tale sepolcro che immetta la salma di persona estranea alle famiglie stesse, in quanto in tal modo viene a violare la destinazione specifica del sepolcro (Cass. 4 maggio 1982, n. 2736).
La legittimazione ad agire con l’azione di spoglio spetta anche a coloro che abbiano usato per lungo tempo in via esclusiva, con l’inferre mortuum in sepulchro, il sepolcro abbandonato dai legittimi titolari (cfr., in tal senso, Tribunale di Velletri, 12 febbraio 1981).
Tale diritto reale è tutelabile, poi, anche con l’azione negatoria (art. 949 c.c.), diretta ad impedire od eliminare l’introduzione nel sepolcro delle salme di coloro che non vi avessero diritto, e la relativa legitimatio ad causam trova riferimento alla titolarità o meno di quel diritto reale (cfr., in tal senso, Cass. 30 maggio 1984, n. 3311).
L’esercizio del potere di fatto, corrispondente al contenuto dello ius sepulchri, concreta un possesso ai sensi dell’art. 1140 c.c. ed è, quindi, tutelabile anche con l’azione di manutenzione (Cass. 29 settembre 1991, n. 9837).
Non sussiste, comunque, turbativa del possesso quando un congiunto del concessionario originario tumula nel sepolcro familiare la propria madre (moglie di un figlio del fondatore del sepolcro), pur senza il consenso degli altri contitolari e senza dare a questi ultimi preventivo avviso del seppellimento, avendo anzi mendacemente comunicato all’autorità comunale cimiteriale che i compossessori avevano acconsentito all’inumazione (cfr., in tal senso, Pretura di Genova, 30 dicembre 1995).
La pretesa volta all’accertamento del proprio diritto ad essere seppellito nella tomba di famiglia non dà luogo a litisconsorzio necessario e può essere fatta valere anche soltanto nei riguardi di quello dei compartecipi al sepolcro, che ne abbia contestato la concorrente titolarità dell’attore (cfr. Tribunale di Roma, 27 maggio 1980).
Il diritto sul sepolcro, iure publico, è, invece, destinato ad affievolirsi nei riguardi dell’amministrazione concedente e a degradare a diritto condizionato o affievolito, ad interesse legittimo, qualora esigenze di pubblico interesse, per la tutela dell’ordine e del buon governo del cimitero, impongono o consigliano alla amministrazione pubblica di esercitare il potere di revoca della concessione (cfr., in tal senso, Cass. 7 ottobre 1994, n. 8197, nonché Cass. 25 maggio 1983, n. 3607).
In base a queste considerazioni, la domanda del terzo, che rivendichi il diritto di sepolcro sul sepolcro nei riguardi dell’originario concessionario, non può essere accolta in mancanza dell’apposita concessione. Quest’ultima costituisce la fonte del diritto reale preteso senza che l’occupazione dell’area, ove abusiva, sia idonea a fondare alcun diritto, trattandosi di bene soggetto al regime del demanio pubblico (cfr. Cass. 25 maggio 1983, n. 3607).
Rientra, invece, nella giurisdizione del giudice amministrativo la controversia riguardante la legittimità del provvedimento di diniego di volturazione di una concessione inerente il diritto di uso di sepolcro, poiché gli atti di cessione di suoli cimiteriali, a favore di soggetti privati, sono compresi nella categoria delle concessioni amministrative di beni e servizi, trasmissibili in tutto o in parte per diritto comune ed ereditario, previo nulla osta dell’amministrazione comunale (cfr. la già citata T. A. R. Sicilia, Sez. III, Catania, 24 dicembre 1997, n. 2675).
Ciò premesso in termini generali, ritiene questo giudice che la domanda giudiziale con la quale è stata richiesta, dall’attore MEVIOX Fxxx, la pronuncia di condanna dei convenuti alla consegna delle chiavi relative al cancello di ingresso alla cappella gentilizia oggetto di controversia nonché a permettere la tumulazione del genitore del suddetto istante in tale sepolcro (domanda alla quale hanno poi aderito le interventrici volontarie CAIOX SSSX GGGX e MEVIOX AAAX), sia risultata parzialmente fondata e, come tale, meritevole di trovare accoglimento, per quanto di ragione.
Ed invero, come più volte chiarito dalla giurisprudenza di legittimità e di merito, lo ius sepulchri, vale a dire il diritto alla tumulazione (autonomo e distinto rispetto al cosiddetto diritto sul sepolcro, cioè al diritto reale sul manufatto funerario o sui materiali che lo compongono), deve presumersi di carattere non ereditario, ma familiare, in difetto di specifica diversa volontà del fondatore, e, quindi, considerarsi sottratto a possibilità di divisione o trasmissione a terzi non legati iure sanguinis al fondatore medesimo (cfr., in tal senso ed ex permultis, Cass. 29 gennaio 2007, n. 1789; Tribunale di Trapani, 12 settembre 2006; Tribunale di Brindisi, 12 aprile 2006; Tribunale di Trani, 8 settembre 2005; Cass. 20 maggio 2003, n. 8804; Tribunale di Reggio Calabria, 3 aprile 2003; Cass. 12 settembre 2000, n. 12957)…[omissis]…”
Massima: Sentenza del 21 ottobre 2009.
UFFICIO DEL GIUDICE DI PACE DI MARIGLIANO
[…] Omissis…
“Il sepolcro, lungi dall’essere luogo letterario e di simbologia totemica confinata nell’intimo soggettivo, costituisce evidente simbolo di affettività e di raccolta il cui significato di pietas e di sentimento va al di là del materiale usato per la costruzione. Non a caso il nostro ordinamento sottrae dalla natura di danneggiamento l’azione contro il sepolcro, indicandone la specificità del fatto attraverso la specialità della fattispecie di reato (cfr art.407 c.p.), così come l’offesa persino agli ornamenti funerari e sepolcrali costituisce vilipendio (art.408 cp) inteso come particolare forma di disvalore dell’azione di discredito del simbolo. In altri termini, l’ordinamento tutela la simbologia e la rilevanza di esso nell’immaginario collettivo più dell’entità materiale del bene attaccato.
La rozza ed approssimativa risistemazione della tomba, dei marmi, della lapide e degli ornamenti, come descritto dal teste e dal CTU rappresenta oggettivamente un danno ingiusto che è fonte risarcitoria in danno dell’Ente autore del fatto. Questo, sia per la disattenzione della diligenza professionale da assumersi nella conduzione dei lavori, sia per lo svilimento del simbolo sepolcrale alterato nella sua identità visiva e rappresentativa, non può non ritenersi ingiusto ai sensi dell’art.2043 c.c.. L’ulteriore considerazione che la disapplicazione dell’obbligo di cura dei loculi costituisce onere istituzionale dell’Ente comunale, induce definitivamente a ritenere illecito il fatto prodottosi…[…]”.
“La concessione da parte del Comune di aree o porzioni di un cimitero pubblico è soggetta al regime demaniale dei beni, indipendentemente dalla eventuale perpetuità del diritto di sepolcro»: Cass. civ., sez. un., 16 gennaio 1991, n. 375
“La concessione da parte del comune di aree o porzione diedifici in un cimitero pubblico configura concessione amministrativa di beni soggetti a regime demaniale, indipendentemente dall’eventuale irrevocabilità o perpetuità del diritto al sepolcro” Cass. Civ., 27 luglio 1988, n. 4760.
«Nei riguardi dellecostruzioni eseguite sull’area dal concessionario, questi ha un diritto di proprietà, […] esplicitamente riconosciuto dalle stesse norme positive; infatti, il regolamento 25 luglio 1892, n.446, riferendosi, negli articoli 105 e 124, ai manufatti monumenti e segni funerari dice formalmente di proprietà dei concessionari […]»: Cons. St., sez. Interni, 14 dicembre 1937.
Cass. di Firenze 6 marzo 1884 in Foro It. 1884, I, 474; «nei riguardi dell’area, il diritto di sepolcro può accostarsi, per il suo contenuto, adun diritto di superficie, concepito come diritto di tenere una cosa propria sul fondo altrui»: Cons. St., sez. Interni, 14 dicembre 1937).
«nel nostro ordinamento il diritto al sepolcro “già costruito” nasce da una concessione da parte dell’autorità amministrativa su un’area di terreno (o di una porzione di edificio) di un cimitero pubblico di carattere demaniale e tale concessione, di natura traslativa, crea a sua volta nel privato concessionario un diritto soggettivo perfetto di natura reale, opponibile iure privatorum agli altriprivati, assimilabile al diritto di superficie» (Cons. St., Sez. V, 7 ottobre 2002, n. 5294; TAR Sicilia, Sez. II, n. 6 luglio 2001, n. 995; Cass., S. U., 7 ottobre 1994, n. 8197).
nel diritto vigente il sepolcro, non ancora occupato, con destinazione perpetua, da un cadavere, non è escluso dalle cose commerciabili, e perciò possono cedersi, mediante atto tra vivi, le ragioni sopra una tomba privata»: Corte App. Torino 13 novembre 1931
il diritto al sepolcro ha un contenuto reale patrimoniale, onde, in principio, costituisce un bene non sottratto al commercio»: Corte d’appello di Bologna, 17 dicembre 1936;
giurisprudenza recente conferma che trattasi di diritto «alienabile, prescrivibile ed espropriabile, salvo le particolari limitazioni previste dai regolamenti comunali»: Cons. St., Sez. V, 7 ottobre 2002, n. 5294 e Cass., S.U., 7 ottobre 1994, n. 8197).
Peraltro, quando si tratti di sepolcri familiari o gentilizi, ammessi dalla legislazione positiva, il diritto di disposizione da parte di alcuno dei titolari, anche per la quota ideale, trova un limite necessario nel diritto degli altri, non perché in questo caso il sepolcro diventi bene per sua natura sottratto al commercio, […] ma perché deve essere rispettata la particolare destinazione che al sepolcro stesso ha dato colui che l’ha costruito» (Cass. civ., sez. I, 6 maggio 1935)
il Comune può revocare la concessione, che è connotata da poteri autoritativi incompatibili con la perpetuità della stessa» (Cons. St. sez. V, 28 maggio 2001, n. 2884)
per le concessioni perpetue rilasciate indata anteriore all’entrata in vigore al d.P.R. n. 803 del 1975, cit., è da ritenersi illegittima la revoca, potendo essa estinguersi o per decadenza o per soppressione del cimitero: TAR Basilicata, 26 maggio 1977 n. 96; TAR Lombardia 24 settembre 1975 n. 317; TAR Veneto 26 agosto 1975 n. 429).
La dottrina e la giurisprudenza dominanti ritengono lo Jus Sepulcri patrimoniale (quello sulla “res”, ossia sul bene immobile) alienabile, fatto salvo il vincolo di destinazione a sepolcro e la “riserva” dei posti feretro stabilita nello stesso atto di concessione, poiché la concessione è provvedimento intuitu personae previo rilascio di una nuova concessione o dell’autorizzazione alla voltura della stessa concessione. Altra giurisprudenza sancisce la nullità di atti dispositivi tra privati (inter vivos o mortis causa) per contrarietà all’ordine pubblico ed al buon costume, trattandosi di bene in commerciabile perché sacro (cfr. Art. 92 comma 4 DPR 1990 n. 285)