Percorsi visivi e significati allegorici nel cimitero francese di Père Lachaise, tra arte sacra e celebrazione delle virtù civili

L’epoca romantica era stata indelebilmente segnata dal culto dell’eroe solitario e da un’architettura commemorativa ispirata agli stilemi dell’antichità classica.
Dopo la disastrosa guerra del 1870, però, la borghesia mercantile ed industriale, quale ceto sociale emergente, ed in continua ascesa, iniziò la propria scalata verso gli alti livelli del potere politico, dopo aver affermato la propria supremazia strategica sulla vita economica del paese.

I nuovi potenti, allora, vollero ostentare i propri valori anche nelle arti commemorative, creando un nuovo modello di spazio sepolcrale: il cimitero monumentale.
In questo modo le misere e sobrie sepolture individuali, tanto tenacemente propugnate dalla rivoluzione – ormai lontana – e dai suoi intellettuali, quale segno di ideale eguaglianza di tutti gli uomini di fronte alla morte, subirono una fortissima contrazione, mentre le sontuose tombe di famiglia conobbero uno sviluppo esponenziale, passando, nel 1864, da un’incidenza del 5% su tutto il patrimonio cimiteriale sino ad un 55% su tutta la superficie delle necropoli nei primi anni del XX secolo, così da diventare il metodo di sepoltura largamente maggioritario in tutto il territorio francese.

Fu una rivoluzione trasversale, sotto l’aspetto dei rapporti di forza nella società di quell’epoca, in quanto interessò parimenti settori della nobiltà più tradizionalista e la dimensione più rampante e monetariamente spregiudicata del ceto medio.
Parallelamente si affermò, in breve tempo, un nuovo fenomeno di costume con raffinati risvolti giuridici: la perpetuità delle tombe e della loro concessione in uso in un sistema funerario basato sulla tumulazione.
Questa pratica, diffusa assieme al mito atavico, ma sempre moderno, del sepolcro eterno, inteso come scrigno inviolabile di memorie ed affetti, nacque proprio come una destinazione d’èlite per le spoglie mortali, riservata alle classi aristocratiche prima e borghesi poi.

Tale ideale permise il dilagare entro il sacro recinto del camposanto delle cappelle gentilizie.
La loro convulsa propagazione toccò il proprio culmine tra il 1880 e la stessa fine dell’Ottocento, solo dopo la tragedia della grande guerra (1914-1918) conobbe prima un brusco attesto, seguito da un inesorabile declino.
E questo fortunato esempio di edilizia sepolcrale, come abbiamo prima rilevato, s’impose come tipologia costruttiva dominante nella seconda metà dell’Ottocento.

La sua forma, così proporzionata e lineare, ma ricca di sottilissime simmetrie archetipe, sembra informarsi alla struttura di un piccolo tabernacolo, simulacro di un’abitazione per i vivi, con il tetto a due spioventi, slanciate guglie, eleganti colonnine e, soprattutto, con un diritto di proprietà inalienabile ed insopprimibile, nel corso dei secoli, proprio perché gelosamente detenuto dalla famiglia.
Il nome del casato era riportato con grandi lettere bronzee sotto al portale d’ingresso, quasi si trattasse di una malinconica vetrina dei ricordi perduti.

Come ha notato il critico Vovelle, queste tombe di famiglia rappresentano la traduzione simbolica dell’habitat dei vivi nelle fredde geometrie della silente città dove i morti dimorano.
In effetti il cimitero di Père Lachaise si presenta, nei suoi regolari vialetti e camminamenti, come un microcosmo urbano con i propri assi viari, punteggiati, ai lati, da un ordinato addensarsi di chioschi, marmoree masse murarie e piccole case per le ombre inquiete di un passato che non ritorna.

Sterminate sono anche le testimonianze visive della Fede: infatti innumerevoli edicole di stile neogotico si dispongono ordinatamente l’una accanto all’altra, in una fitta trama di elementi architettonici ricorrenti, mentre inginocchiatoi, altari, crocefissi e candelabri adornano la cella dove sono state ricavate, nello spessore delle pareti, le nicchie necessarie per la tumulazione dei feretri.
Le finestre poi, sono spesso velate allo sguardo del visitatore da preziose vetrate, riccamente istoriate con episodi della sacra Scrittura; molte di esse, però, non sono riuscite a sopravvivere all’ingiuria di ladri e spietati vandali.

 

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Carlo Ballotta

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