Pandemie medievali: studi sulla diffusione di “sepolture prone” nelle regioni germaniche

Sul National Geographic è apparso un interessante studio sulle sepolture prone, concentrate nelle regioni europee di lingua germanica, curato dall’antropologa svizzera Amelie Alterauge dell’Istituto di Medicina Forense dell’Università svizzera di Berna.
Nel 2014 la studiosa venne consultata – in Svizzera – per esaminare una peculiare sepoltura. La fossa, posta ai margini del cimitero, era l’unica – sulle 340 del cimitero – a contenere un cadavere, posizionato a testa in giù, con accanto un sacchetto di monete ed un coltello, databile al periodo compreso tra il 1630 ed il 1650, momento storico durante il quale l’Europa venne attraversata da numerose pandemie.
Questo la indusse ad intraprendere una ricerca mirata a reperire altri casi analoghi, anche nelle limitrofe regioni europee di Austria e Germania.
In realtà, alcune sepolture prone erano già presenti in Europa, nel primo ed alto Medioevo (dal 950 al 1300 circa), spesso collocate al centro del cimitero della chiesa o all’interno della stessa. Alcuni studiosi hanno ipotizzato che, in questo caso, la pratica fosse da ricondurre a sepolture di nobili di alto rango o sacerdoti, per esprimere una soggettiva manifestazione di umiltà di fronte alla divinità o come penitenza per i peccati commessi in vita.
Un significativo aumento delle sepolture a faccia in giù si è poi riscontrato a partire dal 1300, in concomitanza con una serie di devastanti pestilenze che colpirono l’intera Europa, provocando numerosi decessi, con una frequenza tale da rendere la morte un appuntamento sempre più terribile ed inquietante, così come la gestione, sempre più difficile, per l’enorme quantità delle sepolture da effettuare.
Troppi corpi in decomposizione, non sepolti, sembravano cambiare posizione o emettere rumori terrificanti, quasi volessero mangiare sé stessi, prima di suggere la vitalità dei parenti ancora vivi o, peggio ancora, dell’intera comunità.
In effetti, succedeva frequentemente che i familiari delle vittime delle pestilenze, fossero a loro volta contagiati e morissero poco tempo dopo e ciò avvalorava la tesi della “maledizione” proveniente dalla tomba e dal defunto. Pertanto, l’inumazione del corpo a faccia in giù avrebbe avuto lo scopo dichiarato di scongiurare il ritorno dello spirito maligno del defunto ed il suo rientro nel corpo morto, attraverso la bocca.
Altri studiosi sostengono, invece, teorie di diversa natura. Secondo Petar Parvanov, archeologo ungherese, tale sepoltura veniva adottata solo per la prima vittima della comunità, colpita dall’epidemia, a scopo di scongiuro simbolico, contro quella che veniva percepita come una punizione divina.
L’archeologa Sandra Lösch, capo del dipartimento di antropologia fisica presso l’Istituto di Medicina Forense dell’Università svizzera di Berna, nell’ambito dello studio promosso da Alterauge, è andata ancora oltre: le sepolture prone avrebbero dovuto dimostrare ai viventi – i sopravvissuti – la necessità di mostrare penitenza, in presenza dei troppi peccati commessi, applicandola in primis ai corpi dei propri cari defunti.
La relazione tra sepolture prone ed epidemie potrebbe ora trovare una definitiva validazione scientifica, con l’effettuazione di specifici esami del DNA sui cadaveri delle sepolture rinvenute a faccia in giù, per determinarne la presenza di particolari agenti patogeni, quale causa di morte.

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