Il vigente Cod. Civile dedica alla famiglia il suo primo libro intitolato, appunto “Delle persone e della famiglia”.
La maggior parte degli artt., di cui esso consta, mostra – oggi – un contenuto abissalmente diverso da quello che aveva nel testo originario del 1942, ossia ante la riforma epocale, rubricata come L. 19 maggio 1975 n. 151.
Il diritto di famiglia codificato nel 1942, in piena epoca fascista, seppur già in crisi di consenso e minata dall’imminente e disastrosa sconfitta bellica, teorizzava una famiglia costruita sulla subordinazione della moglie al marito, sia nei rapporti personali sia in quelli patrimoniali, nelle relazioni di coppia e nei riguardi dei figli, essa era fondata sulla discriminazione dei figli nati fuori dal matrimonio (figli naturali), che ricevevano un trattamento giuridico deteriore rispetto ai figli legittimi.
Ora, per inciso, questa stortura profondamente discriminatoria è stata completamente sanata solo con la recentissima L. n. 219/2012, cui è seguito il D.Lgs. n. 154/2013 di implementazione.
Il primo libro dell’attuale Cod. Civile venne, dunque, fortemente novellato dalla L. 19 maggio 1975, n. 151, che apportò sostanziali modifiche tese ad uniformare le pre-esistenti norme civilistiche ai sublimi princìpi costituzionali sanciti dalla Suprema Carta del 1948.
Il D.P.R. 285/90, atto regolamentare ancora (o…residualmente?) precipuo ed essenziale, nell’architettura normativa del nostro ormai disarticolato sistema funerario italiano, soprattutto quando si ragioni di diritti sociali e civili, come appunto lo jus sepulchri, soggetti alla sola Legge Statale ex art. 117 comma 2 lett. m) Cost. (e ciò ci salva dall’indebita ingerenza di leggi e leggine regionali, spesso mal redatte e pretenziose!) non struttura nello jus positum, una volta per tutte, ed in modo uniforme il concetto di “famiglia” del concessionario, ai fini dell’attribuzione dello jus sepulchri, lasciando che questa accezione sia fornita dal regolamento comunale di polizia mortuaria, così i Comuni potranno impiegare questa flessibilità normativa come duttile strumento di conduzione del camposanto, per rispondere alle mutevoli e nuove esigenze locali.
Qui, emerge l’esigenza ineludibile di fare sempre riferimento al regolamento municipale di polizia mortuaria, anche nella malaugurata ipotesi di una politica cimiteriale “del vago e dell’indefinito” (e se esso dovesse esser silente?).
Quest’ultimo, infatti, costituisce – a monte – la fonte sostanziale e centrale, in tutti i procedimenti, di polizia mortuaria, aventi rilevanza esterna, e capaci di incidere sulla posizione soggettiva del privato cittadino, anche per “legalizzare”, allo scopo della gestione funeraria, ogni formale designazione di “famiglia” del concessionario; cioè per l’individuazione delle persone le quali, prima o poi, in base all’inesorabile cronologia degli eventi luttuosi (se non diversamente concordato tra tutti gli aventi titolo, con atto inter-privatistico, quale regolamento su cosa comune ex art. 1106 Cod. Civile, da notificare, comunque, per conoscenza, all’amministrazione cittadina) avranno il diritto a venire sepolte nella concessione della specifica sepoltura privata.
Anche l’iper-regolamentazione, intrusiva e capillare sconta, però, a volte, la sua inadeguatezza nell’intelligere, in modo omnicomprensivo, tutte le molteplici sfaccettature psicologiche ed i passaggi di piano antropologici e culturali, del fenomeno funerario italiano, laddove umbratili affetti, deliquescenti emozioni di pìetas e sentimenti di dolore personale debbono, per sempre, per quanto timidamente, tradursi in asettica norma concreta e, quindi, freddamente giuridicizzarsi; ma pure il diritto funerario, con le sue somme vette di astrazione lirica, quale ogni altro prodotto dell’umana coscienza, è pur sempre perfettibile, in quanto, per sua intima ed erronea essenza, massimamente defettibile.
In effetti, il tentativo — talvolta compiuto, ai fini della titolarità dello jus sepulchri — di riportare il senso della famiglia a rigidi riferimenti legislativi e non alla mera consuetudine, sembra tradire la difficoltà di cogliere, da un lato, lo spazio configurato dall’ordinamento per la stessa fonte consuetudinaria (art. 1, – Pre-Leggi – disposizioni sulla legge in generale), e, dall’altro, i diversi raggi d’azione creati per la famiglia (istituzione di volta in volta allargata o ristretta, ma sempre fondata sul matrimonio), che il legislatore prospetta per dispiegare i suoi propositi di buon governo (si pensi alla nozione di famiglia nucleare — a cui si riferiscono l’art. 29 Cost. e gli artt. 159 e ss. Cod. Civile — e a quella di famiglia fino al sesto grado di parentela, ai fini della successione legittima — art. 565 ss., e, in particolare, 572 Cod. Civile —; oppure alla spiegazione di famiglia, nell’impresa familiare, limitata al coniuge, ai parenti entro il terzo grado e agli affini entro il secondo — art. 230 bis, comma 3, Cod. Civile.).
In questo caleidoscopio (ordinato e coerente con le norme costituzionali) di perimetri legislativi entro cui individuare i destinatari delle diverse disposizioni sulla famiglia, ben può inserirsi quello creato dalla consuetudine per il diritto di sepolcro.