Altra riflessione, amara, recuperata sul web, che ci consente di leggere come la gente comune giudica il servizio funebre o cimiteriale. La necessità di sicurezza che aleggia nelle città dei vivi sta dilagando anche in quelle dei morti, esasperata, tra l’altro dalla età avanzata di chi spesso li frequenta.
Ieri sono stata al cimitero di Tarquinia e ho constatato che qualcuno aveva rubato i vasi per i fiori sulla tomba dei miei genitori. Cioè qualcuno ha tolto i fiori- che una gentilissima fioraia depone regolarmente- ha preso i due vasetti e ha rimesso i fiori al loro posto lasciandoli ad appassire senz’acqua. Se ne sarà servito per la tomba di qualche familiare. Il titolare della ditta di pompe funebri, cui ho ordinato altri due vasetti, mi ha detto che è ormai pratica quotidiana. Ai morti si ruba di tutto.I fiori, le piante, le spazzole e gli stracci che stanno lì nascosti dietro la tomba per poterla pulire quando le si fa visita, i vasi, come nel mio caso e persino i rosari che qualcuno lascia appesi alle croci. “Un giorno di questi si porteranno via pure il morto” mi ha detto sconsolato.La fioraia, dal canto suo, mi ha raccontato che da una delle tombe da lei accudita hanno asportato la data, o meglio le cifre in metallo incollate sul marmo. “Si vede che gli serviva un 3 e un 7” ha commentato sinceramente avvilita. Piccolo esempio di degrado.
Ogni giorno ne incontro uno. Questo è particolarmente triste. Non per me in quanto figlia dei due morti derubati, ma per me in quanto essere umano. Pensare che si sia perso questo segno di civiltà che è il rispetto dei morti mi addolora. E il “non rispettano i vivi, figuriamoci i morti”, come ha commentato un signore presente, è proprio l’opposto del mio pensiero. Possiamo forse permetterci di non rispettare i vivi. Fa parte della lotta quotidiana tra gli animali-uomini, ma non possiamo permetterci di non rispettare i morti, perché questo significa perdere la coscienza del nostro comune destino, perdere la capacità di “pensarci” umani per restare, animalmente,nudi.
La pratica del furto dei fiori (e, spesso, anche di altro) è notoriamente presente nei cimiteri. Prescindendo da ogni valutazione attorno alla sacralità del luogo, al rispetto dei culti dei morti e simili, essa induce ad altre considerazioni che escono – intenzionalmente – dai giudizi sulla moralità. Infatti, se, talora, essa è praticata da operatori economici, casi nei quali i giudizi morali rilevano pesantemente, è quando essa è fatta propria dai c.d. “dolenti” che risulta non comprensibile.
L’apporre fiori sulla sepoltura del proprio familiare costituisce uno dei riti di ricordo, di lutto che il “dolente” pone in essere “ricordando” il proprio defunto: ora, quando questo non corrisponda ad un “sacrificio” da parte del “dolente”, ma avvenga facendo ricorso a fiori asportati (= rubati) da altre sepolture, viene meno la funzione luttuale, fondata sulle relazioni tra “dolente” e defunto, lasciando intendere come sia venuto a cessare il lutto, ma il comportamento si perpetui non tanto per esigenze intime del “dolente”, quanto per “far apparire” la persistenza di un ricordo affettivo che, nella realtà, è scemato. In altre parole, si è in presenza di una sorta d’ipocrisia, in cui le apparenze si sostituiscono agli affetti. Si tratta del segnale di come i simboli del lutto abbiano perso (quando si verifichino tali episodi) il loro significato, ma persista la convinzione che, in ogni modo, il “dolente” debba continuare a rendere manifesto agli altri un sentimento che si è estinto.
L’invito a meditare non appare, quindi, solo di ordine “morale”, proiettandosi nella separazione tra lutto e cordoglio, tra momento individuale e momento sociale nel ricordo dei defunti.