La Corte di Cassazione (sentenza sez. I, 13 marzo 1990, n. 2034) ha espressamente affermato che:
“[…omissis…]
a) le spoglie mortali possono costituire oggetto di disposizione da parte del “de cuius” in ordine al luogo e al modo della sepoltura e tale diritto, preminente su quello di analogo contenuto spettante “iure proprio” ai congiunti più prossimi, rientra, – come gli atti di disposizione del proprio corpo di cui all’art. 5 del codice civile e comunque secondo una radicatissima consuetudine, tra i diritti della personalità, per loro natura assoluti e intrasmissibili (vedi Cass. sent. n. 1527 del ’78 e 1584 del ’69);
b) il predetto “ius eligendi sepulchrum”, mentre – per la ragione di cui sopra – non può formare oggetto di trasferimento “mortis causa” (cfr. Cass. sentenza n. 2475 del ’70) sicché non possono ad esso applicarsi la disciplina successoria nè legale nè testamentaria, può ben dar vita ad un mandato “post mortem exequendum”, perfettamente ammissibile nel nostro ordinamento non intaccando il divieto posto alla volontà del “de cuius” di operare “post mortem” relativamente ai beni dell’eredità al di fuori del testamento (vedi Cass. sent. n. 1584 del ’69;2804 del ’62); … Ciò posto, è agevole dedurre che chi agisce in giudizio per dare esecuzione al mandato ricevuto dal “de cuius” in relazione alla di lui “electio sepulchri” è legittimato all’azione ex art. 100 cod. proc. civ. (a norma del quale per proporre una domanda è necessario avervi interesse), in quanto fa valere l’interesse morale che egli ha ad adempiere detto mandato: interesse che – essendo questo un caso in cui l'”electio sepulchri” si assume esercitata direttamente dal “de cuius” e che va tenuto quindi ben distinto da quello cui, in mancanza, esso può essere esercitato “iure proprio” dai congiunti – non è quello di far seppellire il morto nella tomba di proprietà propria o della famiglia e neppure quello di far scegliere ai soggetti più interessati il luogo da essi ritenuto più adatto a manifestare i loro sentimenti di devozione verso il defunto (vedi, in proposito, Cass. sent. n. 1834 del ’75), bensì esclusivamente quello (ma “ab antiquo” di altissimo valore morale) di soddisfare la propria coscienza con la consapevolezza d’aver onorato l’incarico ricevuto in fiducia dallo scomparso.
Quanto all’individuazione del destinatario del mandato di cui qui trattasi, la consuetudine e la coscienza collettiva attuale sembrano richiedere che, in mancanza della designazione da parte dello “stesso “de cuius” di un determinato destinatario, detto mandato (valido anche se soltanto verbale, non trattandosi di disposizione testamentaria, purchè, ovviamente, manifestato con la dovuta precisione e risolutezza) debba intendersi conferito presuntivamente al congiunto più prossimo ovvero, cumulativamente, alle persone stesse alle quali “l’electio” sia stata confidata e legata al “de cuius” da particolari vincoli di affetto di amicizia e di stima, essendo da supporre, salvo prova contraria che, in casi del genere, la scelta della persona, cui si voglia far conoscere la propria volontà ultima relativa al destino delle proprie spoglie mortali, coincida con la scelta della persona cui si voglia raccomandarne, magari insieme ad altri, l’esecuzione”.
Con specifico riferimento al caso in cui, una volta attuata la scelta da parte del soggetto al quale l’ordinamento attribuisce una posizione poziore tra i congiunti del defunto, si dibatta circa la necessità o meno del trasferimento del luogo di sepoltura, la Corte di Cassazione, anche di recente, ha precisato che nel giudicare dell’opposizione dei parenti del defunto alla traslazione della salma di questo, ad iniziativa degli attuali aventi diritto alla scelta del sepolcro (a seguito della verificatasi necessità di modificare l’originario luogo di sepoltura), il giudice, una volta accertato che il luogo di sepoltura era stato originariamente determinato dal titolare del relativo diritto, deve valutare con oculata prudenza le giustificazioni addotte, per pretendere di operare un trasferimento che comporta esumazione e ritumulazione del cadavere, posto che è avvertita dalla sensibilità degli uomini l’esigenza che le salme dei defunti non vengano, senza adeguate e gravi ragioni, trasferite da un luogo ad un altro (Cass. civile, sez. 6, 14 novembre 2019 n. 29548).
Da un lato, occorre dunque considerare la salvaguardia della scelta iniziale e, dall’altro, le ragioni della traslazione della salma addotte da chi è divenuto parente più prossimo del defunto.
Ad esempio, anche se non di recente, è stato affermato che il diritto del coniuge superstite di scegliere e di trasferire il luogo di sepoltura del coniuge defunto, che trova limite soltanto nella diversa volontà già espressa dal defunto, non si pone in contrasto con la pietà verso i defunti, perché la coscienza collettiva – cui tale sentimento si riferisce – non disapprova né percepisce negativamente la translatio dei resti mortali per una tumulazione ritenuta ragionevolmente più conveniente (e, quindi, non dovuta a impulsi futili in contrasto con l’etica familiare) dal coniuge superstite e da altri aventi diritto (così Cassazione civile, sez. I, 11dicembre 1987, n. 9168).