La vicenda, sul versante personale ed affettivo è ormai superata, ma l’insegnamento che può derivarne conserva una sua intatta attualità: i profili professionali in qualche modo estranei al circuito “cimitero” possono vedere la realtà con una prospettiva più ampia, notando problemi che gli addetti ai lavori, invece, non avvertono (più?).
La modernizzazione delle disposizioni in materia di polizia mortuaria registra contrasti di opinione su questioni rilevanti, ma comporta anche uniformità di vedute su numerosi aspetti.
Ad esempio, i consensi sembrano unanimi per quanto riguarda l’abrogazione implicita di una (non concettualmente) “vecchia” disposizione, perché troppo macchinosa: cioè l’obbligo, per il personale delle Unità Sanitarie Locali (A.USL), di assistere ad operazioni cimiteriali quali esumazioni, estumulazioni, traslazioni, vigilando sul rispetto delle prescrizioni di Legge (soprattutto nei frangenti più border line ed estremi…ad es. vedasi art. 87 D.P.R. n. 285/1990).
Tempo addietro, infatti, nella macchina della polizia mortuaria, prima della sua progressiva “de-medicalizzazione” un nodo da superare sarebbe stato individuare la figura competente per queste supervisioni sull’operato dei necrofori.
Le possibilità realmente praticabili sarebbero state tre: affidare la prefata azione ai vigili sanitari (con grande loro sdegno, per questa loro promiscuità lavorativa con i morti!); demandarla addirittura ai medici; stipulare una convenzione con i Comuni, delegando l’attività al loro personale deputato alla vigilanza, provvedimento di giusta semplificazione che, però, avrebbe ufficializzato la figura ambigua ed obliqua del controllato-controllore.
Conflitto di interessi, quindi… a meno che la gestione della operatività fosse demandata ad un terzo.
Quasi tutte le Regioni hanno già legiferato in proposito, con atti di diversa natura e rango. La fine di questa attività di verifica non lascia rimpianti: in fondo, per stabilire se un feretro che deve essere spostato da un luogo di sepoltura ad un altro offra garanzie di tenuta, oppure se una salma sia riducibile in cassetta ossario, non occorre certo una ferrea preparazione sanitaria e la laurea in medicina e chirurgia, basta l’esperienza (tanta) ed una buona formazione di base, che ancora nessuno, per ostinazione, vuole ammettere come determinante nel corretto espletamento del servizio cimiteriale….poi si farnetica e pontifica di: “Qualità Totale”, sigh!
Per quanto riguarda le traslazioni, qualche tensione (specie con le imprese funebri) può sorgere nel caso di feretri in cui non si mostrino perdite in atto ma che evidenzino comunque tracce di pregresse percolazioni, bloccatesi spontaneamente.
La prudenza consiglia sempre di fare ugualmente apporre il rivestimento di zinco, perché manca – ad esser proprio obiettivi – la certezza che il feretro non riprenderà a perdere dopo essere stato trasportato ad una nuova destinazione.
La percolazione di liquami cadaverici in un loculo epigeo è un evento raro, ma non così rarefatto, ed è molto doloroso per una famiglia. L’impatto olfattivo (l’odore viene purtroppo percepito a distanza, mettendo in notevole imbarazzo i visitatori del camposanto), l’impatto visivo (compare in genere una macchia nella parete posteriore del loculo, data l’inclinazione del pavimento), la possibile infiltrane dei loculi sottostanti ed adiacenti (l’impermeabilità pretesa dal regolamento di polizia mortuaria è pura teoria) sono inconvenienti che mettono a contatto con gli aspetti più sgradevoli della sepoltura in opera muraria.
In Nuova Antigone n. 5/97 fu pubblicato “Cause e soluzioni alla corrosione precoce delle casse di zinco tumulate”, di Dr.ssa B. Bassi e Prof. V. Risolo: gli autori raccomandavano l’aggiunta di un anodo sacrificale di magnesio nelle casse di zinco, per ritardare i fenomeni corrosivi ed evitare così le perdite di liquami.
Mi sono spesso chiesto perché un dispositivo talmente semplice non sia mai stato adottato a livello nazionale.
I muratori aprono i loculi, gli operai estraggono feretri ben conservati, sfondano i coperchi e portano alla luce salme completamente essiccate.
Ho detto in premessa che il compito “ricognizione sulla stato di mineralizzazione in un corpo dissepolto non è dei più difficili: ciò tuttavia non significa sia esente da responsabilità…anche penali.
Le scelte, oltre ad avere un peso economico, toccano anche la sensibilità dei familiari: alla fine è il personale del cimitero a decretare per certi versi la sorte dei loro defunti.
Vale quindi la pena aggiungere qualche dettaglio su di un lavoro poco conosciuto, per l’aura macabra di cui sempre s’ammanta.
Tra la completa scheletrizzazione di una salma tumulata specialmente, e la sua evidente non riducibilità per presenza residua di parti molli (le due condizioni più facili da constatare) ci sono trasformazioni intermedie e (parzialmente) conservative (= resti mortali propriamente detti), che possono lasciare spazio ad interpretazioni anche molto personali.
Sarebbe comodo dire che il sottile margine discrezionale non sussista, mentre per evitare ogni contestazione legale sarebbe sufficiente autorizzare la riduzione solo quando, all’apertura del feretro, ogni singolo osso appaia isolato, privo della minima traccia di tessuto.
Considerando però che in un corpo umano ci sono oltre 200 ossa, l’applicazione di criteri troppo rigidi interferirebbe negativamente sulle riduzioni, con un aggravamento della già preoccupante carenza di posti feretro nei congestionati cimiteri italiani e/o con un aumento ulteriore della necessità di cremare resti mortali o ri-seppellirli in campi per indecomposti.
Il parametro generale, assunto a metro di giudizio, è semplice: nulla osta a tutte quelle “raccolta ossa” che possano essere condotte a termine senza manovre brusche, o dover ricorrere a torsioni, fratture, a strappi. Poi non ci dovrebbe formalizzare troppo.
L’importante è che i resti mortali vengano sempre maneggiati o manipolati con riguardo. Capita, a volte, mi confida uno dei “ragazzi” incaricati delle estumulazioni, di ricevere garbate pressioni per essere ancora più elastici.
Pure gli operatori cimiteriali, con le migliori buone intenzioni, tendono a suggerire un approccio snello, ma non proprio deregolamentato. Sono condizionamenti minimi.
Adesso c’è la possibilità di aggiungere enzimi biodegradanti, oppure, ancor meglio, di cremare direttamente i resti inconsunti a costi ragionevoli.
In teoria, anche senza il controllo dell’A.USL non dovrebbe più esserci la tentazione di risolvere sbrigativamente e con la violenza bruta alcune situazioni limite.
Allora si riduce ad un mero atto di forma la verifica sullo stato di mineralizzazione della salma da ispezionare, proprio in forza dell’accesso quasi di default alla pratica cremazionista per gli indecomposti, almeno nell’esperienza di cui faccio memoria.
Cadavere non (del tutto) scheletrizzato? o campo inconsunti o cremazione. No alla ri-tumulazione, vietata dal Regolamento Municipale di polizia mortuaria della mia città, ma ancora permessa in gran parte d’Italia.
Meglio, allora, non rischiare niente, perché potrebbero, infatti, esserci degli errori di valutazione o clamorosi abbagli, per eccessiva sicurezza, anche tra i colleghi più esperti e smaliziati.
Ad esempio, molti necrofori sono ancora convinti che, se le ossa del bacino si sfilano con facilità, l’esito dell’operazione sia scontato e si concluderà bene nella cassetta ossario.
Un medico-Legale, però, tanti anni fa, mi narrò di come in realtà ci possano inevitabilmente essere sorprese, ed è, pertanto meglio chiedere in via preliminare ai necrofori di liberare completamente la salma dai vestiti prima di dare un giudizio positivo sulla fattibilità della riduzione, per la sempre insidiosa permanenza reliquante di parti molli.
La conseguente e potenziale percolazione di liquidi cadaverici impone sempre, in via cautelativa, l’adozione del dispositivo plastico ad effetto impermeabilizzante, sostitutivo della cassa di lamiera, obbligatoria per il trasporto alla volta del crematorio oltre un certo chilometraggio, ma ad abundantiam da usarsi comunque.
Ci adeguiamo volentieri a questa disposizione di minima profilassi cimiteriale, soprattutto poiché il resto mortale confezionato in apposito contenitore “leggero” dovrà sostare diverso tempo in camera mortuaria, in attesa di cremazione, appunto.
Prima però, di entrare in medias res, vorrei ricordare alcuni inquietanti passi della Sacra Scrittura, vera fons sapientiae.
Il Salmo 146:4 così recita: “Il suo spirito se ne esce, egli torna al suolo; in quel giorno periscono in effetti i suoi pensieri”,
ma, se possibile, il libro dell’Ecclesiaste, al passo 9:5, estrinseca un concetto ancora più crudo e terribile: “Poiché i viventi sono consapevoli che moriranno; ma in quanto ai morti, non sono consci di nulla, né hanno più alcun salario, perché il ricordo d’essi è stato dimenticato”.
La prima impressione di efficienza dei “ragazzi” in servizio presso il cimitero è stata data dalla loro organizzazione: le mansioni sono ben distribuite, e chi è momentaneamente inattivo si impegna subito per preparare l’operazione successiva.
Poi, c’è l’abilità manuale, quella capacità che fa la differenza tra il mobilizzare un feretro e lo sballottarlo maldestramente.
Essa risalta maggiormente quando si lavora in tombe vecchie, prive di spazi liberi di accesso (c.d. vestibolo), con diametri ristretti e dislivelli impegnativi.
La loro preparazione si rivelava anche in tanti particolari: l’accortezza nel non appoggiare mai il contenitore dell’acido (utilizzato per le saldature delle casse di zinco) sul marmo delle tombe, così da evitare macchie involontarie; la cautela di mettere sempre un telo sotto un loculo da smurare, per proteggere il pavimento dalla caduta dei calcinacci; il riguardo nello spolverare i feretri estumulati.
Fanno un lavoro male pagato e scarsamente apprezzato, ma sono dei professionisti.
La decisione di apporre o meno il rivestimento metallico ad un feretro da traslare, oppure di permettere la riduzione di una salma, richiede relativamente poco tempo. Sul lavoro nei cimiteri pesano pregiudizi e stereotipi antichi, anche nello stesso ambiente delle onoranze funebri un po’ snob.
Il lavoro degli operatori cimiteriali, e dei loro silenti…”controllori” preposti, è ripetitivo, poco considerato, ancor meno gratificante.
Aggiungiamo pure che la giustificazione molto formale, addotta anche in un recente in passato, per assegnare spesso ad un servizio sanitario (pure a volte di prevenzione!) il controllo sull’attività cimiteriale, cioè la necessità di prevenire la diffusione di malattie infettive, era ed è inconsistente: il rischio igienico nei cimiteri è sempre stato sopravvalutato, e di questa verità sono consapevoli i medici per primi.
Nonostante ciò, una qualche forma di vigilanza, con tutti i suoi limiti, può servire. Ne sono ancora persuaso, anzi: sicuro!
Per chi sia abituato a leggermi sulle pagine di www.funerali.org molte mie considerazioni critiche sovente sono relative al momento della sepoltura, ma anche nelle estumulazioni c’è lo stesso bisogno di ritualità: specie quando si tratta di persone decedute in giovane età, o per morte violenta, l’impatto emotivo sui familiari è forte, indipendentemente dagli anni trascorsi.
E questo è un aspetto di cui tener conto nella gestione di qualità dei servizi cimiteriali!