L’estumulazione con successiva apertura del feretro per la riduzione dei resti ossei in cassetta ossario

In linea di massima, l’estumulazione si esegue alle scadenza della concessione (art. 86, comma 1 DPR 10 settembre 1990, n. 285), salvo quanto previsto dal successivo art. 88.

Dall’ambito d’azione di questa norma sembrerebbero esclusi i cadaveri tumulati in tombe perpetue, tuttavia anch’essi possono esser rimossi dal tumulo in cui furono originariamente deposti, per esser avviati a cremazione, presso una nuova sepoltura ancora in colombario oppure in campo di terra…

Talune amministrazioni, dopo la circolare n. 10 del 31 luglio 1998, la promulgazione della Legge 130/01 e soprattutto l’emanazione del DPR 254/90 hanno specificato nei loro regolamenti come per ordinarie si intendono pure le estumulazioni dopo 20 anni dalla tumulazione.

Mentre i periodo di sepoltura legale per i feretri interrati è, in via ordinaria, ma anche altrimenti modulabile, stabilito in almeno 10 anni il DPR 285/90 non fissa un tempo certo come periodo legale di sepoltura per i feretri racchiusi in nicchia o loculo.

L’unico riferimento temporale, i 20 anni di cui al comma 3 dell’Art. 86 è un termine su cui basare una diversa ed ulteriore sepoltura solo ed esclusivamente in quadra d’inumazione per gli inconsunti dissepolti dopo più di 20 anni di tumulazione.

Secondo il legislatore 20 anni di tumulazione sono un lasso temporale abbastanza lungo perché la decomposizione produca i suoi effetti, ancorché parziali, così anche nell’evenienza di rinvenire, all’atto dell’apertura del sepolcro, un esito da fenomeno cadaverico di tipo trasformativo-conservativo (prevalentemente un corpo corificato) basterebbero solo 5 anni per ottenere la scheletrizzazione della spoglia mortale, in quanto il fine ultimo del ciclo cimiteriale è pur sempre il completo smaltimento (meno elegantemente: distruzione) dei cadaveri sin quando rimangano solo le ossa da custodire nell’ossario comune in modo indistinto e promiscuo.

Sostanzialmente, almeno per le tombe singole, il periodo minimo di permanenza nel sepolcro del cadavere era pari alla durata minima della concessione all’epoca della prima tumulazione.

Certi regolamenti comunali di polizia mortuaria, magari approvati anche pochi anni addietro, a tal proposito disponevano che le estumulazioni ordinarie non potessero aver luogo prima dei 30 anni, ed il limite dei 30 anni quasi sempre corrispondeva alla durata standard di una concessione per un singolo loculo.

Il problema gestionale di assicurare un pieno ed ottimale sfruttamento di tutti gli avelli disponibili si complica notevolmente nel caso di tumuli privati plurimi (familiari o collettivi), per i quali pur esistendo una concessione temporale valida sull’intero sepolcro, non sussista una concessione (o turno di rotazione definito) per la singola salma ivi sepolta.

La stessa criticità è riscontabile per le tumulazioni perpetue individuali o plurime, in cui c’è il bisogno di sgombrare loculi o nicchie già occupati per accogliere nuovi defunti senza, in qualche modo, smarrire l’identità famigliare e quindi intergenerazionale di una sepoltura collettiva pensata per riunire sine die un nucleo di memorie ed affetti.

Il combinato disposto dal comma 1 dell’art. 88, dal comma 5 dell’art. 86 e dall’art. 89 (che rinvia all’art. 83) del DPR 285/90 è alla base della possibilità di estumulazione con relativa raccolta di resti mortali in caso di tomba di concessione di durata superiore a 20 anni.

In altri termini è possibile la estumulazione da una tomba, concessa per la durata ad es. di 99 anni, effettuata per una salma tumulatavi dopo 10 anni dall’inizio della concessione e decorsi, ad esempio, 30 anni dalla tumulazione (è anzi auspicabile per far posto a nuove sepolture, ove necessario). Non si vedrebbe infatti la differenza fra questo caso (99 anni, salvo rinnovo) e l’ipotesi di perpetuità, esplicitamente consentita comma 2 dell’art. 86 del DPR 285/90.

Con la parola “estumulazione”, in questa fattispecie, non si intende la sola traslazione della bara dal tumulo in cui fu murata, ma l’apertura stessa del feretro, indispensabile proprio appurare se si sia in presenza ancora di cadavere (esito da fenomeno cadaverico di tipo trasformativo conservativo prima dei 20 anni) resti mortali (risultato trasformazione post mortale di tipo trasformativo conservativo dopo i 20 anni) oppure ossa.

La ritumulazione nella stessa sede, all’inizio, non sembrava esser stata presa in considerazione dal legislatore che con il comma 2 dell’Art. 86 prescrive un turno di inumazione supplementare proprio perché la tumulazione è una forma di sepoltura altamente inefficiente che conserva le spoglie invece di favorirne il naturale disfacimento.

La sua introduzione, attraverso un formale riconoscimento di tale pratica benché con una semplice circolare, significa ancor più legittimare le cosiddette “verifiche feretro”, operazioni di cui molti nostri lettori hanno maturato esperienza.

Alcuni comuni, però, partendo da questo presupposto che la tumulazione sia una destinazione dei cadaveri assai critica (l’incidenza degli inconsunti sul numero dei cadaveri estumulati è altissima) vietano di fatto la ritumulazione, evitando di rinnovare la concessione in scadenza o già scaduta.

Con la formula di “verifica feretro” non s’intende ex Art 88 il controllo sulla tenuta stagna, che potrebbe esser stata compromessa dallo scoppio della bara, ma, più semplicemente, una ricognizione sulle trasformazioni post mortali del cadavere da compiere, naturalmente, a cassa aperta.

La circolare, visto l’art. 86/2 (inumazione per non meno di 5 anni), individua un’ alternativa ragionevole recependo ed adattando una prassi diffusa da decenni in molti cimiteri, ossia l’esame sullo stato di conservazione del cadavere per tentarne un’improbabile riduzione.

Prima dell’emanazione del DPR 254/03 gli inconsunti provenienti da estumulazione, in effetti, non avrebbero potuto esser direttamente cremati.

Dopo 20 anni di tumulazione siamo in presenza di resti mortali (anche tumulati) e, quindi, si agisce su questi esiti con sostanze biodegradanti: il risultato è che anziché occupare terra per 5 anni, si occupa il tumulo per altri 2 anni.

La procedura per recuperar spazi, definita gergalmente in alcune zone d’Italia come “spurgo” si sostanzia in questi termini: i familiari richiedono l’estumulazione della cassa e la successiva apertura, con taglio del coperchio metallico, SOLO per valutare lo stato di mineralizzazione della salma, non essendo intenzionati né ad inumarla (come, invece, richiederebbe il comma 2 dell’Art 86) né a trasferirla ad altra sepoltura: se le membra del defunto sono mineralizzate, si procede alla raccolta delle ossa liberando così un posto, mentre se non sono ancora scheletrizzate si provvede a rifasciatura e ritumulazione nello stesso sepolcro.

Le ossa racchiuse in cassettina di zinco potranno esser sepolte nello stesso tumulo oppure in una diversa celletta ossario.

Dato l’interesse degli aventi diritto secondo jure sanguinis verso gli avanzi mortali del de cuis difficilmente l’ossame rinvenuto sarà destinato all’ossario comune.

Se l’inconsunto è disidratato e non presenta parti molli, e quindi percolazione di liquami non è necessario l’avvolgimento della cassa con un cassone di zinco.

La circolare 10/98, la Legge 130/01 ed il DPR 254/03 per definire, in via generale, la condizione di resto mortale si rifanno al testo del DPR 285/90 (art. 86/3).

Logica vuole che il periodo temporale per la definizione amministrativa di resto mortale non sia più la durata della concessione, bensì di tumulazione, anche come somma di due o più periodi trascorsi in tombe diverse.

Bastano dunque 20 anni di tumulazione, in qualunque tomba siano stati effettuati.

Il principio dell’ordinamento italiano di polizia mortuaria, stabilito dal comma 3 dell’art. 92 e dagli artt. 93 e 94/2 del DPR 285/90 ed attorno a cui gravitano i diritti di sepoltura vantati su di un particolare sacello dai defunti già ivi tumulati e dai vivi che per ragioni morali o affettive, legate comunque allo jure sanguinis vogliano eleggere quel sepolcro in modo ideale quale loro dimora per il post mortem è il concetto di “capienza di sepolcro”, esso deve esser inteso nella sua accezione più ampia e figurale (laddove non diversamente specificato nell’atto di concessione, magari con un divieto di estumulazione o con la riserva di occupazione di una salma per un determinato manufatto) per le diverse forme in cui si presenta o si tramuta un cadavere per effetto dei diversi fenomeni postmortali.

Solo così uno stesso tumulo, come specificato dalla circolare n.24/93 può ospitare un solo feretro ma anche più cassette ossario ed urne, permettendo una certa rotazione del patrimonio cimiteriale.

Naturalmente l’ordinario metodo di regolazione di esumazioni ed estumulazioni è l’ordinanza del Sindaco, e tale strumento, in primis, dovrà contemplare un preciso protocollo operativo, con precise indicazioni igienico-sanitarie, cui si atterranno scrupolosamente i necrofori, qualora alle operazioni non presenziasse il personale dell’AUSL.

Bisogna, infine, ricordare come la riduzione in cassetta ossario dei resti ossei non debba mai, ai sensi dell’Art. 87 DPR285/90 risolversi in un atto cruento volto a costringere, con la forza, la spoglia mortale entro un contenitore dalle dimensioni più anguste rispetto alla cassa in cui il de cuius fu tumulato il giorno del funerale.

Gli unici trattamenti consentiti all’estumulazione se il cadavere è mummificato, saponificato o corificato sono specificati dal paragrafo 3 della circolare n.10 del 31 luglio 1998, quest’elenco, tassativo e non ampliabile, non ammette deroghe.

Si potrà, ora, proficuamente meditare su questi due importanti pronunciamenti giurisprudenziali.

T.A.R. Emilia Romagna, Sez. Bologna, 31 ottobre 1988 n.. 373 La riduzione delle salme nel sepolcro familiare può essere vietata ove ciò risponda ad una precisa volontà in tal senso del fondatore o dei suoi aventi causa, fermo restando che il divieto di cui all’art. 88 comma 1 D.P.R. 21 ottobre 1975 n. 803 si riferisce a fattispecie diverse da quella relativa alla riduzione attuata mediante un processo naturale di mineralizzazione del cadavere, in quanto attiene versimilmente ad operazioni materialmente eseguite sulla salma e dirette a realizzare, con metodi artificiali, interventi coercitivi di contenimento della stessa in un ambito più angusto di quello originario.

Cassazione penale, Sez. VI, 13 giugno 1997, n. 8621 Atteso il chiaro disposto dell’art. 87 d.P.R. 10 settembre 1990 n. 285, il consenso dei parenti del defunto non giustifica la frantumazione delle ossa del cadavere.

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17 febbraio 2021, N.d.R. dato il notevole interesse suscitato da queste brevi riflessioni generali sul problema: “estumulazione, che fare?”, si consiglia vivamente un inquadramento da differente angolazione dell’istituto qui trattato, comodamente reperibile a questo link: L’estumulazione vista dalla parte di un normale cittadino – 2/2 – funerali.org , per una visione globale del fenomeno giuridico ed operativo a tutto tondo.

 

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Carlo Ballotta

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114 thoughts on “L’estumulazione con successiva apertura del feretro per la riduzione dei resti ossei in cassetta ossario

  1. Buongiorno volevo porvi una domanda in una città in provincia dì milano è sepolto mio padre ed i mie nonni non che i suoi genitori qualche giorno fa mi è arrivata una lettera da parte del comune dìcendomi che verso la fine dì novembre ci sarebbe l estumulazione dì mio padre e che per i primi dì novembre dovremmo dare una risposta se vogliamo ricomprare il loculo x altri 30 anno oppure metterlo nel terreno x 5 anni se nn e mineralizzato ora loro x i 30 anni possono chiedere 3000 euro che a me sembra esagerato molto e specialmente venti giorni prima ho chiesto il pagamento rateizzato e non si può dicono che non è da regolamento io ricordo che mia nonna diceva che lo aveva comprato può essere che lo a acquistato senza scadenza perché ricordo che diceva che non dovevamo pagare più che lo ha pagato lei poi noi ci troviamo dalla parte opposta dì milano dico noi perché siamo io mia madre e mia sorella ,mia sorella fino all anno precedente voleva comprare il loculo ora non più lo vuole portare dove viviamo noi mia madre quando è arrivata la lettera ha chiamato il comune gli ha fatto diverse domande anche quello se fosse mineralizzato se mettevano le ossa da sua madre o con suo padre dopo qualche giorno pure lei decide dì portarlo qua però la mia decisione è diversa rispetto la loro perché io verrei lasciarlo la lui non voleva stare qua a vita quando era in vita poi è vicino a suoi genitori ,mia sorella se ne andrà da qua può essere che pure io andrò via a stare dove sono nato ovviamente ,dove loro sono sepolti i miei nonni e mio padre vi rigrazio anticipatamente per le risposte

  2. Buongiorno. Mio padre è sepolto dal 1991 in una tomba di famiglia in una frazione di Casale Monferrato (Alessandria, Piemonte). Vorrei farlo riesumare e cremarne i resti per ospitarlo a casa mia, Novara, sempre Piemonte. Non so risalire ai documenti di concessione della tomba di famiglia, né ho altre informazioni o documenti nemmeno riguardanti la sepoltura. E’ possibile procedere? Ho contattato l’ufficio cimiteri di Casale e sono stati piuttosto vaghi nelle risposte rimbalzandosi la responsabilità e le competenze…. Grazie

    1. X Silvia, (anzi…a Silvia, come direbbe il Leopardi!).

      Stiamo ragionando su diritti della personalità, anche se declinati nell’oscuro post mortem, quindi sociali e civili, e di conseguenza assoluti, e solo per certi versi trasmissibili, pertanto incardinerò questa risposta sulla sola normativa statale di riferimento.

      Il diritto personalissimo di disporre delle spoglie mortali, nel silenzio della persona interessata, il cui volere è sovrano, quando non in contrasto con la Legge, anche dopo un loro primo periodo di diversa sepoltura, segue, per giurisprudenza costante in materia e per norma positiva cristallizzata sia nell’Art. 79 comma 1 II Periodo del Regolamento Nazionale di Polizia Mortuaria approvato con DPR 10 settembre 1990 n. 285 sia nell’Art. 3 della Legge 30 marzo 2001 n. 130 solo la regola dello jus coniugii (vincolo coniugale) ed in subordine dello jus sanguinis (rapporto di consanguineità), quindi ha titolo privilegiato a decidere sulla nuova destinazione del defunto, secondo il principio di poziorità (laddove si condensano i criteri di potere di scelta e preminenza su quest’ultima) il coniuge superstite se presente, o in sua assenza i più stretti congiunti legati appunto al de cuius da consanguineità ed individuati dagli Art. 74, 75, 76 e 77 Cod. Civile, sino al sesto grado di parentela, l’ultimo riconosciuto dalla Legge. SE escludiamo per un momento lo jus coniugii, lo Jus sanguinis pone su un livello di pari ordinazione tutti i discendenti di pari grado, pertanto essi dovranno deliberare all’unanimità l’operazione cimiteriale, presentando apposita istanza in bollo al Comune (nella fattispecie Casale Monferrato) nella cui giurisdizione amministrativa si trova il feretro da estumulare e successivamente cremare. SE Lei è l’unica figlia il problema non si pone nemmeno ed è pienamente legittimata ad agire. La discendenza potrà certamente esser dimostrata con le ordinarie forme delle certificazioni di stato civile e di anagrafe, tenendo presente il disposto dell’art. 3 D.P.R. 2 maggio 1957, n. 432. A questo proposito, vanno ricordati sia l’art. 18 Legge. 7 agosto 1990, n. 241 e succ. modif., sia l’art. 43, comma 1 D.P.R. 28 dicembre 2000, n. 445 e succ. modif.).

      Questa lunga premessa è noiosa ma indispensabile perché la titolarità sulla tomba di famiglia (a proposito: a chi è intestata la cappella gentilizia?) non comporta necessariamente la legittimazione a disporre della spoglia mortale, anzi le due posizioni soggettive, a volte possono pure divergere, l’essenziale, allora, è capire chi abbia titolo (solo Lei?) a richiedere: a) l’estumulazione. b) la cremazione del resto mortale. b) l’affido delle risultanti ceneri.

      Se il locale regolamento comunale di polizia mortuaria non considera procedimenti più complessi o filtri più articolati (ma non sarebbe vietato addirittura per legge, l’inutile aggravio burocratico???) o divieti specifici di cui al momento non sono a conoscenza, e seguiamo il diritto minimo applicabile (cioè quello che poi conta agli effetti concreti) si procede così, abbastanza semplicemente, dopo tutto. Sarà Casale Monferrato a concedere, per competenza geografica, l’autorizzazione all’estumulazione ed alla cremazione, (tra l’altro essendo passati più di anni 20 dalla tumulazione la cremazione è facilitata sotto l’aspetto tariffario ed dell’iter amministrativo, cosa di non poco conto!), mentre il Comune dove saranno custodite stabilmente le ceneri accorderà l’autorizzazione finale all’affido con cui si chiuderà tutto il percorso.

      Attenzione, però, a parziale correzione o integrazione di quanto asserito prima ricordo come l’Art. 2 comma 5 della Legge Regionale Piemontese n. 20/2007 in materia di cremazione per stabilire tra tutti gli aventi diritto a pronunciarsi la destinazione dell’urna in caso d’affido richieda non più il consenso unanime, bensì la maggioranza assoluta.

  3. Spero in una risposta, è nata una controversia tra me e la Congrega che si occupa della “gestione” delle sepolture, nel caso specifico di mia madre. Madre morta nel 2009, domani vado a esumarne il corpo. La congrega riferisce che i termini ultimi sono scaduti nel 2011 (due anni). Attualmente, per disposto del ministro della sanità (mi sembra) il termine sia cinque anni. Il discorso è spinoso in quanto mi si calcola venti euro mese di penale per ogni mese eccedente il limite previsto: secondo loro due anni, appunto, quindi devo pagare quattro anni di penale. Alla mia eccezione che gli anni previsti in attesa dell’esumazione sono cinque e non due, la congrega mi riferisce che la legge dei cinque anni è successiva alla morte di mia madre (2009) e quindi non si applica. Spero di essere stato chiaro, voglio pagare, ma nei termini di legge e nel rispetto dei miei diritti. Tra spese e contro spese mi è stato chiesto un totale di 2100 euro, mi sembra francamente esagerato. Sperando nella Vostra attenzione attendo un chiarimento. Distinti saluti. E.C.

    1. X Emanuele,

      …Posso imprecare amaramente? Accidenti, doppio e triplo accidenti; ma perchè non specificate mai la Regione di provenienza, sarebbe essenziale siccome, anche se con indubbie forzature volontaristiche e velleitarie la polizia mortuaria, dopo la Legge di Revisione Costituzionale n. 3/2001 implementata poi dalla Legge ordinaria n. 131/2003, sia sciaguratamente divenuta materia di potestà legislativa regionale concorrente, attenendo – in parte – alla tutela della salute umana.
      Per questa ragione – e non certo per puro vezzo, Le Chiedo: “Da quale territorio mi scrive?
      Così, intuitivamente, da una Regione Meridionale? Per caso dalla Campania? Azzardo tale ipotesi perché al Sud sono molto diffuse le Congreghe nella gestione degli spazi sepolcrali e, soprattutto, in certi distretti amministrativi (Penso a Napoli, il suo hinterland e comuni limitrofi) si registra una cronica carenza di posti salma a sistema d’inumazione, tanto da indurre le autorità locali all’adozione di strumenti emergenziali, come appunto ordinanze contingibili ed urgenti volti a ridurre d’imperio il turno di rotazione dei cadaveri in campo di terra (= periodo legale di sepoltura) che la Legge Statale – DPR 10 settembre 1990 n. 295 recante l’approvazione del regolamento nazionale di polizia mortuaria, con l’Art. 82 fissa, di norma, in anni 10, consentendone una sostanziale riduzione, sino ad un minimo, inderogabile, di anni 5.
      Questa possibilità di comprimere il turno di rotazione in campo di terra, prima era di competenza ministeriale, oggi, dopo il DPCM 26 maggio 2000 tale facoltà è stata devoluta alle regioni, sempre che queste con sub-delega non l’abbiano, a loro volta conferita ai comuni.
      Come dicevo prima, in tema di polizia mortuaria, la Regione può legiferare anche discostandosi – e non poco – dal Regolamento Nazionale di Polizia Mortuaria, il quale, con andamento “carsico” continua a valere, residualmente, per le parti o gli aspetti non novellati da apposita Legge Regionale.
      Dopo questa lunga e necessaria premessa tento timidamente di entrare in medias res con alcune considerazioni, assumendo, per difetto, a riferimento la sola normativa statale.
      Innanzi tutto bisogna capire se la confraternita amministri i campi d’inumazione per conto del Comune, in una sorta di rapporto concessorio, essendo questi, in ultima analisi, il vero titolare della funzione cimiteriale, oppure sia essa proprietaria del cimitero.
      La Legge Italiana, infatti, ammette, come antico retaggio del passato, la sussistenza di cimiteri privati, purchè essi siano antecedenti al Testo Unico Leggi Sanitarie (Regio Decreto n. 1265/1934), vietato, quindi costruire nuovi sepolcreti di natura privatistica e siano soggetti alla vigilanza del Comune ai sensi dell’Art. 104 comma 4 DPR 10 settembre 1990 n. 285.
      La congrega pertanto non può violare la Legge imponendo un’esumazione forzata, prima che siano trascorsi almeno 5 anni.
      Diverso sarebbe se la fossa ad inumazione, a questo punto non in campo comune, fosse stata data in concessione d’uso, al pari un qualunque altro sepolcro privato e dedicato (si pensi alle tumulazioni tutte) , ai termini del capo XVIII DPR 10 settembre 1990 n. 285, in questo frangente la durata della sepoltura sarebbe determinata dall’atto di concessione. Ma…mi chiedo io malignamente, può un atto di natura para-contrattuale, come appunto l’atto in cui la confraternita cede in uso un posto feretro, derogare all’Art. 82 comma 3 DPR 10 settembre 1990 n. 285?
      Ad ogni modo il titolo di accoglimento in apposito campo d’inumazione privato, concesso o, addirittura, appartenente ad un Ente Morale è dato dallo statuto stesso della Congrega (bisogna esservi iscritti come confratelli o consorelle). Si richiama, tra l’altro, l’Art. 102 DPR 10 settembre 1990 n. 285, il quale per l’accettazione in ogni sepolcro privato (= tutte le destinazioni diverse dal campo comune) presuppone un’accurata istruttoria da parte degli uffici comunali volta ad accertare lo Jus Sepulchri.

  4. Buongiorno a mia nonna dopo 30 anni è scaduto il contratto ed hanno proceduto con spurgo, senza alcuna delicatezza hanno rotto il coperchio ed hanno visto che il corpo era intatto ed hanno gettato una sostanza liquida infine l hanno rimessa nel loculo senza mettere alcun coperchio, mi chiedo è normale? Grazie

    1. X Rosaria,

      nota tecnica e di servizio: con il termine gergale “spurgo”, tipico delle Regioni Meridionali, s’intende sostanzialmente l’estumulazione “ordinaria”, cioè effettuata alla scadenza della concessione, finalizzata all’eventuale riduzione dei resti ossei in cassetta ossario, essa, allora, comporta necessariamente l’apertura del cofano di metallo, in funzione della verifica sullo stato di scheletrizzazione del corpo tumulato.
      Qualora questa ricognizione non dovesse sortire l’effetto sperato (= il resto mortale è ancora intatto o parzialmente incorrotto, per effetto, principalmente, di corificazione o saponificazione) la Legge prescrive alcune soluzioni di rimedio tra la quali s’annovera il cospargere l’esito da fenomeno cadaverico di tipo trasformativo conservativo con sostanza biodegradante a base enzimatica, tale da favorire la ripresa dei processi disgregativi della materia organica, spesso inibiti, nella tumulazione stagna, dalla presenza di ambiente ermetico e bara di zinco impermeabile a gas e liquidi post-mortali.

      Quindi è ammessa la Ri-Tumulazione del defunto estumulato.

      Il nuovo confezionamento del feretro, dopo la rimozione dei coperchi, dipende dalla condizione del resto mortale: il rifascio con cassone di metallo esterno e’ d obbligo solo se si ravvisa il pericolo di percolazione dovuta ai liquami cadaverici (paragrafo 3 Circolare Ministeriale 31 luglio 1998 n. 10), altrimenti basterebbe la sola cassa di legno, altri giuristi si spingono oltre considerando legittimo tumulare i resti mortali racchiusi nei contenitori di cui alla Risoluzione del Ministero della Salute n. DGPREV-IV/6885/P/I.4.c.d.3 del 23.03.2004. (bare cartacee o di legno gresso o ancora di altro materiale “leggero” e molto economico!)

      Ad ogni modo il coperchio, almeno quello della bara lignea deve esser chiuso (o anche solo appoggiato sul bordo cassa…non formalizziamoci troppo!), per ovvie ragioni, anche di pietas e rispetto, quindi ogni diversa azione deve esser considerata illegittima, anche se non si nasconde come un maggior afflusso di aria, all’interno della cella mortuaria sia del tutto consentaneo, affinché si riattivi, nel resto mortale, la naturale ossidazione delle parti molli reliquanti, sino alla loro completa mineralizzazione.

  5. Il marito all’atto della sepoltura del feretro della moglie chiede una tumulazione provvisoria impegnandosi a far seppellire definitivamente la bara nel loculo di spettanza al termine della provvisorietà.
    Scaduto il termine provvisorio la parte dolente decide di non traslare più il feretro.
    Cosa può fare il Comune per far rispettare l’impegno e quindi per non creare precedenti pericolosi per il rispetto dell’assegnazione dei posti?

    1. X Antonio,

      domande preliminari:

      a) ma l’impegno del marito a traslare il feretro, quando fosse stato ultimato il definitivo sepolcro, è solo una promessa verbale o è stato formalizzato in un atto scritto?
      b) in subordine, è stato, in merito alla sepoltura provvisoria, stipulato un regolare atto di concessione, seppur temporaneo, con versamento del relativo canone concessorio?

      Chiedo queste cose perché la prassi assai diffusa della tumulazione provvisoria, in assenza di loculi disponibili da concedere al momento del funerale, – più diffusa di quanto non si creda – è assolutamente inammissibile e contra legem, anzi crea precedenti rischiosi per il buon governo del cimitero, e pretese pericolose, tanto più che una concessione cimiteriale, per sussistere legittimamente, come ricorda la stessa Agenzia delle Entrate, abbisogna preventivamente di un regolare atto di concessione (formula linguistica aulica ma molto efficace!) su cui fondarsi ex Art. 98 comma 1 D.P.R. 10 settembre 1990 n. 285 – recante l’approvazione del regolamento statale di polizia mortuaria – come condizione ad sustantiam, affinché un privato possa vantare diritti su di un manufatto cimiteriale; altrimenti saremmo dinanzi ad un occupazione sine titulo, cioè abusiva del sepolcro, il quale, non va mai dimenticato, è un bene demaniale, con quanto ne consegua, in termini di utilizzo uti singuli e con durata a tempo determinato, da parte del cittadino.

      I rimedi possibili sono i seguenti:

      1) ricordato l’art. 102 DPR n. 285/1990 che imporrebbe ai Comuni un oculato compito di supervisione e vigilanza sull’uso delle sepolture private – quali sono le tumulazioni tutte – all’interno del cimitero, tramite apposita istruttoria di verifica del titoli formali, si tratta infatti, di controllare di volta in volta il titolo di accoglimento, il dirigente ex Art. 107 comma 3 D.Lgs n. 267/2000 con atto ricognitivo appura se la tumulazione sia legittima o meno (c’è traccia dell’atto di concessione in archivio, sono stati introitati i relativi oneri di tumulazione?) altrimenti si dispone d’ufficio (con una determina dirigenziale?) l’estumulazione con conseguente inumazione del feretro in campo comune, addebitando tutte le spese alla controparte, in difetto sorgerebbe per il comune la responsabilità per danno erariale ex Art. 93 D.Lgs n. 267/2000.

      2) a questo punto una sola e semplice diffida lascerebbe… il tempo che trova.
      Il comune potrebbe, forse, avvalersi del potere di auto-tutela ex Legge n. 241/1990, annullando (motivatamente) le autorizzazioni indebite impropriamente rilasciate e assegnando un termine perché i familiari del defunto “sine titulo”, procedano, a propria cura, diligenza ed onere (chiedendo le prescritte autorizzazioni ecc. ecc.) a dare diversa destinazione al feretro.

      Il problema é, semmai, quello relativo al da farsi in caso di inadempimento, per cui (da valutare) si potrebbe operare un rinvio agli artt. 2028-2032 Cod.Civile.

  6. X Nello,

    Legittimamente l’estumulazione si esegue alla scadenza (se per causa naturale o disfunzionale qui poco rileva) della concessione, ex Art. 86 comma 1 D.P.R. 10 settembre 1990 n. 285, che, il Comune, ha facoltà (e non obbligo!) di rinnovare (o prorogare?), di solito per un’altra volta soltanto, attraverso il perfezionamento, tra le parti contraenti, di un nuovo atto concessorio capace di novellare anche le precedenti obbligazioni sinallagmatiche prima pattuite con il precedente atto di concessione. Si parla, perciò di semplice rinnovo e non di novazione ex Artt. 1230 e 1231 Cod. Civile.

    Almeno secondo un certo filone della dottrina si instaurerebbe, cioè, un rapporto del tutto nuovo, una volta estintosi quello vecchio, magari con diverse clausole e…”codicilli”, ma avente come oggetto fisico il medesimo loculo, senza quindi il problema di traslare il feretro dalla sua attuale, definitiva collocazione sepolcrale.

    Nelle more di una norma ad hoc del Regolamento Comunale, magari pensata per sanare situazioni atipiche, è giusta e sin anche doverosa la richiesta del Comune di procedere:

    a) al rinnovo della concessione in scadenza.
    b) a liberare il loculo, quando sarà effettivamente scaduto, dal feretro ivi tumulato 30 anni fa in modo che la nicchia sepolcrale, sanificata e riattata, possa esser nuovamente assegnata ad un nuovo, diverso concessionario.

    La presenza di un regolare atto di concessione è espressamente richiesta dall’?art. 98 D.P.R. 10 settembre 1990, n. 285 – recante l’approvazione del Regolamento Nazionale di Polizia Mortuaria quale condizione costitutiva per la sussistenza di una concessione d’?uso di sepolcri privati, come sono le tumulazioni tutte, qualunque ne siano la tipologia o durata (max 99ennale), incluso quindi anche la specie di manufatto cimiteriale quella che abbia per oggetto un posto a tumulazione singola (loculo monoposto).

    Va tenuta anche presente la risoluzione dell?’Agenzia delle entrate n. 149/E dell’?8 luglio 2003 con cui è stato ribadito, ove necessario, che le concessioni cimiteriali, oggi tutte a tempo determinato, hanno decorrenza dalla stipula del relativo regolare atto di concessione oppure da quella, eventualmente, successiva che sia, espressamente, prevista nell’atto di concessione.

    Tuttavia, non va esclusa, ove espressamente indicata nel Regolamento comunale di polizia mortuaria, la possibilità che il computo degli anni di concessione abbia inizio da quando comincia il materiale ?utilizzo del sepolcro (ad esempio: con la sepoltura di feretro avente titolo d’accoglimento) o, per talune fattispecie ancora, anche dal momento del versamento del canone concessorio stabilito dal Comune perché si faccia luogo alla concessione.

    Avete, dunque, una tomba doppia – biposto – con scadenze, però, sdoppiate; di difficile gestione, perchè se la concessione, con relativo contratto, è una, unico, nell’unità di tempo, dovrebbe esser anche il termine del naturale esaurirsi del rapporto concessorio: (= tutti e due i loculi dovrebbero scadere nello stesso giorno).

    Non capisco, in tutt’onestà questa differenziazione temporale, dovuta, con ogni probabilità a fattori endogeni al procedimento comunale, che il concessionario subisce passivamente o cui, in ogni caso rimane estraneo.

    La situazione da Lei rappresentata tradisce senza dubbio un’anomalia che se si fosse seguita la genuina interpretazione dell’Agenzia delle Entrate non si sarebbe verificata.

    Si considera come, a volte, possano esservi situazioni di mancata o tardiva stipula dell?’atto di concessione non imputabili alla parte interessata (concessionario), quanto piuttosto ad elementi esterni, talvolta anche riferibili all?’attività degli uffici comunali.

    Nell’evenienza di loculo già scaduto si sarebbe in presenza di un uso indebito, illegittimo (sine titulo?) dello stesso, questo ab-uso (in senso tecnico, s’intende!) comporterebbe l?’esigenza che il comune provveda a richiedere la corresponsione delle somme per l’?utilizzo di fatto avvenuto, sulla base di tariffe vigenti o, in mancanza, di somme non inferiore ad un pro-rata annuo delle tariffe di concessione presenti nel tempo, incrementati degli interessi almeno nella misura del saggio legale (artt. 1277 e 1284 C.C.).

    In difetto, sorgerebbe, per la pubblica amministrazione, quale soggetto concedente e proprietario del bene cimiteriale, la responsabilità patrimoniale (art. 93 D.Lgs. 18 agosto 1990, n. 267 e succ. modif.). Restano salve le norme sulla prescrizione (art. 2946 C.C.).

    La Legge, per una volta è chiara, si richiama l’Art. 2963 Cod. civ per il calcolo preciso del dies ad quem.

  7. Abbiamo la concessione di un colombaro per due posti, in cui sono tumulati i nonni (marito e moglie). Il comune ci ha avvisato che per il nonno sono scaduti i termini di trent’anni e quindi dovremmo decidere di tenerlo ancora altri venti anni, pagando 1.000 euro oppure procedere all’estumulazione per deciderne poi se cremarlo o traslarlo in ossario oppure se non mineralizzato inumarlo per altri 5 anni. Tutte operazioni comunque costose.
    Per la nonna, invece, i trent’anni scadono tra due anni. La nostra richiesta era di aspettare la seconda scadenza e di prolungare il periodo di vent’anni per entrambi mantenendo lo stesso colombaro. Ci hanno risposto che non è possibile.
    Ora mi chiedo: cosa se ne fanno di un posto vuoto in un colombaro biposto già occupato?
    Che senso ha avere fretta di aprire un colombaro per togliere una cassa, quando abbiamo già manifestato l’intenzione di rinnovare la concessione?
    E’ chiaro che pagando adesso, ci ritroveremo poi scoperti con la nonna tra diciotto anni,
    Grazie per le risposte.

  8. X Giovanni,
    Domanda sintetica e stringatissima la Sua…sin troppo e così mi mancano molti elementi per valutare correttamente la situazione da Lei esposta.

    Per Legge (Art. 94 comma 2 del Regolamento Nazionale di Polizia Mortuaria emanato con DPR 10 settembre 1990 n. 285) in sede di approvazione del progetto di costruzione di un tumulo pluriposto deve necessariamente esser indicato con precisione il numero complessivo di feretri (e di conseguenza dei loculi, poiché in ogni loculo può esser murata una ed una sola bara ex Art. 76 comma 1 DPR n.285/1990) che nel sacello mortuario potrà esser deposto. Questa norma va letta in modo incrociato con l’Art. 93 comma 1 DPR n. 285/1990 il quale statuisce il principio della cosiddetta RISERVA, ossia il novero delle persone aventi diritto alla sepoltura in quel particolare edificio funerario ai termini dell’Art. 50 lett. c) DPR n. 285/1990.
    Dalla concessione amministrativa da cui sorge lo Jus Sepulchri origina una comunione indivisa e solidale che pone su un livello di pari ordinazione (precedenza nell’accedere al sepolcro) tutti gli aventi diritto, in quanto titolari dello Jus Sepulchri stesso, solamente quando e se non siano stati stipulati patti contrari da notificare, comunque, puntualmente al Comune o si sia addivenuto ad uno spacchettamento, pro quota, del diritto di sepolcro, per via giudiziale (sempre che il giudice acceda alla tesi del frazionamento preventivo, con ciò discostandosi dagli orientamenti, per fortuna uniformi, espressi dalla dottrina e soprattutto dalla più alta giurisprudenza.

    Ad ogni modo, salvo diverse disposizioni locali (che non conosco!), magari pure legate alla consuetudine, sull’ordine di riempimento dei posti contenute nell’atto di concessione o nel regolamento comunale di polizia mortuaria, l’uso dello spazio sepolcrale è determinato dalla cronologia degli eventi luttuosi con l’ovvio limite della capacità ricettiva della tomba, oltre la quale lo stesso Jus Sepulchri naturalmente spira, così estinguendosi ex se senza più poter esser esercitato: insomma si tumula sin quando ci sia materialmente posto e chi prima muore meglio alloggia, magari scegliendosi il loculo con la posizione migliore.

    Attenzione, però, con le recenti tendenze (= raccolta in cassetta ossario dei resti ossei dopo un congruo tempo, o cremazione degli indecomposti dopo almeno 20 anni di permanenza nel loculo di quest’ultimi) la capienza del sepolcro (in sé non estensibile all’infinito) si dilata, e non di poco, perché secondo il paragrafo 13 della Circolare Ministeriale n. 24/1993 esplicativa del regolamento statale di polizia mortuaria in un singolo loculo, sino alla sua massima saturazione, possono esser tumulate anche diverse cassette ossario o urne cinerarie, sia o meno presente un feretro.

  9. Vi chiedo di espormi quali sono le norme e divieti per la seguente situazione realmente avvenuta.
    Ieri nel andare al cimitero a pregare davanti al loculo di mio padre scopro che mia sorella ha inserito un altro stretto parente in una cassetta ossario nello stesso loculo.(50×70 loculo)
    Nel loculo vi era già 3 resti ossei in 3 distinte cassette zincate, quindi ora sono in 4.
    Alla richiesta di spiegazioni all’ufficio cimiteriale mi informa che già nel 1993 a mia insaputa sono state aperte le 3 cassette zincate, deposte in una unica cassetta zincata per avere più spazio.
    Sono stati mescolati i 3 resti ossei.
    Questa anno è stato inserito nello stesso loculo in cassette distinta il parente.
    Il titolare del loculo è mio padre con 2 eredi, io e mia sorella.
    E’ legale l’apertura delle 3 cassette zincate e il versamento in una unica cassetta avvenuta a mia insaputa?
    Quali errori ha commesso il Comune se ve ne sono?
    Nel regolamento cimiteriale il massimo numero di resti ossei sono 3 per i colombari, poi mi dicono che loculo non è un colombario e quindi si possono mettere un numero superiore.

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