Le nostre linee guida per gli atti di disposizione del post mortem

Occorre, a nostro parere, ricostruire un po’ di storia anche delle varie interpretazioni susseguitesi, per cercare almeno timidamente di assumere una linea ed intraprendere un percorso ermeneutico!
Abbiamo chiesto quindi all’ing. Daniele Fogli di ripercorre quel periodo storico e le interpretazioni che allora vennero date, nonché taluni interventi chiarificatori chiesti al ministero della salute. E Fogli, con una nota, ci ha risposto:

Il problema, come noto, si pose già con l’entrata in vigore della L. 130/2001, che non venne mai attuata con modifica del DPR 285/90, anche se così sarebbe scritto al comma 1 dell’articolo 3.
In quel periodo era anche in giuoco la revisione e semplificazione dell’Ordinamento di Stato Civile che, quindi, non acquisì le innovazioni inizialmente auspicate.
Quella riforma avrebbe anche potuto esser la sede naturale dove collocare le integrazioni alle competenze proprie dell’ufficiale di stato civile.
Invece fu lo stesso legislatore a prevedere che per la cremazione le competenze dovessero rientrare nell’alveo della la modifica del DPR n. 285/90 (art. 3 comma 1 L. 130/2001).

L’indirizzo del legislatore, all’epoca era abbastanza chiaro: l’autorizzazione alla cremazione e alla dispersione ceneri sarebbero spettate allo stato civile. Da subito, con la modifica del codice penale prevista dall’art. 2 L. 130/2001, per la dispersione.
Dopo l’attuazione con D.P.R. ad hoc per la autorizzazione alla cremazione.
Per i resti mortali la lettera g) dell’art. 3 L. 130/2001 precisava le rispettive titolarità a formare le relative autorizzazioni.
È vero che i resti mortali testualmente sono chiamati salme con più di 10 anni di inumazione e salme con più di 20 anni di tumulazione. Ma la sostanza è pur sempre quella.

Quindi vi era una procedura ipotizzata per i resti mortali con scelta degli aventi diritto (e col richiamo al n. 3 della lettera b) dell’art. 3 L. 130/2001 sarebbe valsa la maggioranza degli aventi titolo di pari grado) e un distinto procedimento amministrativo per i resti mortali per cui non vi fosse alcuna decisione, o meglio con aventi titolo irreperibili (certificati tali con affissione all’albo pretorio da parte dell’ufficiale di stato civile per 30 giorni).
La procedura era macchinosa, perché coinvolgeva l’ufficiale di stato civile di ultima residenza del defunto.
C’era, dunque, una farragine burocratica davvero intricata: era ed è – anche oggi – un problema oggettivo che il legislatore statale non aveva considerato …forse non preconizzando ancora gli effetti indesiderati della Legge di revisione costituzionale n.3/2001.
Lo stato civile conosce i registri dei viventi e dei defunti della propria circoscrizione comunale, ma i registri dei morti con il loro tempo di permanenza in cimitero e le diverse forme di sepoltura poste in essere sono tenuti dal responsabile del servizio di custodia (art. 52 e segg. DPR 285/1990).
Sono gli uffici cimiteriali ad essere maggiormente competenti e facilitati nelle pratiche in occasione di sepolture, allora – si disse – se potessero davvero essere loro ad autorizzare, si otterrebbe una semplificazione notevole, nei complessi ingranaggi della macchina cimiteriale.

Siamo – idealmente – ancora nei primissimi anni del nuovo millennio, se ripercorriamo a ritroso tutto lo sviluppo di questa sequenza di eventi e fatti.
Ancora nel 2000, Vi era, infatti, un articolo del D.P.R. 285/1990 che avrebbe obbligato alla sepoltura in terra il resto mortale per almeno 5 anni, poi ridotti ad almeno 2 anni se ci fosse stata l’addizione di sostanze biodegradanti (circ. Min. salute n.10/1998).
Soluzione sempre caldeggiata da Sefit per ridurre i tempi di sepoltura dei resti mortali che altrimenti avrebbero saturato rapidamente i campi speciali degli indecomposti.
In quel momento – ci ricorda Daniele Fogli stavamo lavorando come Sefit col Ministero della Salute per avere la cremazione immediata del resto mortale senza passare (se proveniente da estumulazione) in sepoltura a terra, per un turno di rotazione supplementare.
E quindi fummo anche noi della Sefit a far presente questi temi molto critici e a chiedere al Ministero un qualche provvedimento di pari grado del D.P.R. 285/90, ma successivo, che risolvesse questi problemi di eccessiva rigidità, integrando l’impianto originario dell’art. 86 comma 2 D.P.R cit.” chiude la sua nota l’Ing. Fogli.

Quanti siano avvezzi alle segrete stanze del potere ministeriale o – meno pomposamente – pratichino un po’ la tecnica legislativa e ne abbiano dimestichezza non avranno certo dimenticato come il vettore con cui veicolare questo pacchetto di aggiornamenti sia stato individuato proprio nel D.P.R. n. 254/2003, che affronta tutt’ora ad ampio spettro la materia dei rifiuti sanitari.
Così l’idea del Dicastero fu questa: “Cerchiamo di chiarire cosa è rifiuto in occasione di esumazione ed estumulazione e cosa non sia così considerabile: il resto mortale non è certo rifiuto, ma avrebbe dovuto esser identificato con maggior precisione, dopo aver tentato infruttuosamente la via della semplice circolare ministeriale, in due distinte occasioni.
Nacque l’art. 3 che definì:
– parti anatomiche riconoscibili e parti anatomiche non riconoscibili
– e i resti mortali
attribuendo le competenze autorizzatorie di ogni fattispecie medico-legale (dal trasporto alla sepoltura alla cremazione).
Ma volutamente si usò la formula linguistica invero un po’vaga de: “Il competente ufficio del comune”.

Sefit sostenne in ogni sede che con quella espressione (in assenza di norma attuativa regionale contraria, ma allora non ce ne erano ancora) si sarebbe dovuto necessariamente intendere il Comune (art. 13 D.lgs n.267/2000) e non lo stato civile (Art. 14 D.Lgs n. 267/2000).
E di fatto era subito l’ufficio cimiteri o la polizia mortuaria comunale ad autorizzare.
La faccenda faceva comodo, specie all’erario comunale, anche perché se l’autorizzazione fosse stata di stato civile non si sarebbero potute introitare risorse economiche, invece in tale maniera si sarebbe potuto istituire apposito diritto da applicarsi al rilascio dell’autorizzazione comunale.
E i comuni sono sempre stati molto attenti a far cassa.
Anzi si asseriva che l’intervento dello stato civile sarebbe stato solo di certificazione della esposizione per 30 giorni all’albo pretorio degli elenchi predisposti dal cimitero per reperire gli aventi titolo, anche se non avevano ancora espresso volontà sulla destinazione dei resti mortali.
E quindi la lett. g) dell’art. 3 della L. 130/2001 era, prima del dilagare delle LL.RR., l’unica parte attuata della stessa legge 130/2001, non con la modifica del D.P.R. n 285/90 ma con emanazione di un D.P.R. ad hoc.
Quest’ultimo essendo successivo e di pari grado avrebbe superato pure il vincolo di cui ai commi 2 e 3 dell’art. 86 del D.P.R.285/90 (obbligo di inumazione dei resti mortali provenienti da estumulazione), dicendo finalmente che si sarebbero potuti cremare i resti mortali, subito dopo l’estumulazione.
Di fatto veniva cambiato il soggetto autorizzante [l’ufficiale dello stato civile] in [competente ufficio del comune].

Ma restava però il resto della lettera g) e quindi anche che bastava la maggioranza degli aventi titolo ad esprimersi per la cremazione del resto mortale (numero 3 della lettera b) dell’art. 3 L. 130/2001).
Poi però sono intervenute le regioni, alcune seguendo determinate indicazioni, altre no.
E siccome vale il dato normativo, il diritto positivo (potestà legislativa e di regolamentazione) da applicare è quello delle Regioni in materia (salvo esse non invadano competenze statali, tra le quali ci sono tutt’ora sia lo stato civile, sia l’ambiente e quindi il D.P.R. n 254/2003 è una solida garanzia di stabilità)…
Dopo tutto è diventato più complicato a causa di una certa deriva anarcoide, delle Regioni. C’è sempre riserva di legge statale assoluta sui diritti civili e sociali, tra i quali rientrano senza dubbio alcuno anche gli atti di disposizione del post mortem.

Invece per l’affido ceneri di problemi non ci sono mai stati. Non c’è una scelta di campo della legge 130/2001 e quindi a disciplinare l’istituto, in sè molto controverso, sono sempre state le Regioni e in coda i regolamenti comunali di polizia mortuaria.
Ora qui si avrebbe l’ardire di azzardare una interpretazione logica e corretta. Non è facile!
Si potrebbe anche tornare alla primaria impostazione della legge n. 130/2001 e quindi per i resti mortali l’autorizzazione alla cremazione (non al trasporto, ecc.) sarebbe dell’ufficiale di stato civile del luogo di disseppellimento però (non di ultima residenza del defunto).
Si perderebbe qualche soldino, ma tutto sarebbe molto più razionale e corretto, in linea con la legge n.130/2001, anche alla luce del fatto che ormai le gestioni cimiteriali sono sempre meno pubbliche e sempre più private.
Allo stato attuale, tuttavia, servirebbe una profonda modifica del D.P.R. 254/2003 o quanto meno l’attuazione piena della legge 130/2001 con un novella del D.P.R. n. 285/1990 aggiornato, così su tutta la linea, capace, forse, anche di superare le leggi regionali contrarie, essendo così materia di stato civile.
L’optimum sarebbe sempre la famosa ed agognata legge di settore (cimiteri e cremazione). Ma sappiamo quanto sia complicato pensare a soluzioni legislative.
Ci è parso utile narrare la lunga storia della L.n.130/2001 per chi non la conoscesse completamente o per niente.
Ma il colpo di genio non è né semplice, né logico!

Written by:

Carlo Ballotta

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