Le norme in divenire sui prodotti del concepimento, feti abortivi, nati morti

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Le cronache di questi giorni di campagna elettorale mostrano una certa ripresa di interesse tra le forze politiche del tema riguardante la destinazione dei prodotti del concepimento e/o dei feti. Sulla materia risultano presentati vari ddl:

  • l’AC 2761 recante “Disposizioni sulla sepoltura dei feti umani” il cui testo non risulta disponibile;
  • l’AC 3596 recante “Disposizioni sulla sepoltura dei feti umani” che verte sull’informazione obbligatoria da rendere ai “genitori o chi esercita la responsabilità genitoriale sulla possibilità di presentare domanda di seppellimento all’azienda sanitaria locale competente e sulle disposizioni applicate dalla stessa azienda in mancanza di tale domanda” nei casi di “espulsione od estrazione dell’embrione o del feto, la cui presunta età di gestazione sia inferiore a 20 settimane”, investendo il Governo ad apportare entro “trenta giorni dalla data di entrata in vigore della presente legge, [..] le modifiche necessarie all’articolo 7 del regolamento di cui al decreto del Presidente della Repubblica 10 settembre 1990, n. 285”;
  • l’AC 1639 recante “Disposizioni in materia di sepoltura dei bambini non nati” che contiene “disposizioni in materia di polizia mortuaria con specifico riguardo al riconoscimento del diritto alla sepoltura dei bambini non nati di età gestazionale inferiore a 28 settimane.” ed i cui contenuti sono in gran parte confluiti nell’AS 2455 con il quale si propone una profonda revisione del citato art. 7 del dpr 285/90



Poiché viene annunciato da uno dei presentatori che quest’ultimo ddl verrà ripresentato il nuovo Parlamento paiono opportune alcune considerazioni preliminari.

Per iniziare è bene ricordare che l’integrale testo dell’articolo è stato trasposto nel regolamento vigente da norme che erano originariamente contenute nel dpr 803/75.
Si tratta quindi di disposizioni che meritano di essere aggiornate alla luce non solo di migliori evidenze sul piano della formulazione scientifica e statistica del loro oggetto ( di volta in volta variamente definito ‘aborto’, ‘prodotto del concepimento’, ‘prodotto abortivo’, ‘feto’, ‘feto abortito’) e del calcolo della durata della gestazione ( non è chiaro perché, ad esempio, viene aggiunto un nuovo termine di ‘età presunta del concepito’ [..] ‘pari o superiore a 90 giorni’), ma anche rispetto alle mutate sensibilità in seno alla coscienza civile e sociale del Paese che fanno sì che vi siano almeno due aspetti dirimenti da approfondire preliminarmente alla proposizione di nuove norme.
Il primo riguarda i soggetti ai quali viene data la facoltà di decidere la destinazione dei prodotti abortivi/feti.
Non possiamo non rilevare, già nella norma vigente, una certa confusione (‘genitori’, ‘parenti’, ‘chi per essi’) sulle figure chiamate ad avanzare domanda di loro sepoltura particolare. Nel ddl 2455 l’elenco si amplia e quindi avremo il ‘genitore’ (quale?), i ‘genitori’ (1 e 2?) e i ‘parenti’ (1,2 …x?) a cui viene data non solo la facoltà di provvedere con mezzi propri al trasporto, anzi si estende la nozione di parentela fino ‘al secondo grado’ (nonni, nipoti, fratelli e sorelle) – senza distinguere se essa vada calcolata per il prodotto del concepimento/feto o per la madre o il padre o per entrambi. Costoro assieme a ‘chi per essi’ (xxx?) possono avanzare domanda e, in quanto ‘soggetto interessato’ devono ricevere informazioni sulle disposizioni di legge.
Singolare questo elenco pletorico, anche perché la normativa da decenni sembra essere andata in senso contrario al punto che, in caso di interruzione volontaria di gravidanza -IVG-, perfino il padre risulta avere limitate e residuali capacità e solamente ove la madre ‘lo consenta’.
Ancorché si tratti di norme del 1975, scritte quindi in un contesto giuridico antecedente alla l. 194/78, la loro riproposizione in un nuovo ddl desta non poche perplessità, anche perché, come recentemente chiarito dalla Cassazione (sent. 8459/2020) non sussistono sanzioni penali per la madre che non voglia informare l’altro genitore dell’avvenuto concepimento (se non una eventuale e tutta da provare responsabilità civile), per converso è pienamente assicurata alla donna la riservatezza (come nel caso essa decida una IGV), tutela che prevede sanzioni penali per gli eventuali trasgressori, riservatezza che verrebbe meno qualora essa dovesse spartire con altri l’esercizio di un suo peculiare diritto.
Né dal ddl si intende se la facoltà di decidere si estenda al padre o ai diversi parenti (o a ‘chi per essi’) per delega espressa della madre o in caso di sua morte sopravvenuta.
In tal modo la centralità della donna che subisce il trauma dell’interruzione di gravidanza viene diluita fino a sparire, sia nei casi non infrequenti in cui l’interruzione volontaria abbia luogo oltre il 90 giorni, che negli altrettanto sfortunati eventi di aborto spontaneo.
Si rimanda per la dimensione quantitativa alla sottostante tabella, basata su dati di fonte ISTAT.

Anni 2016 2017 2018 2019 2020
IVG >=91gg 3.366 3.238 3.041 2.817 3.104
Aborti spontanei >12 sett. 6.183 5.486 4.135 4.708 4.384

Il secondo aspetto concerne il ‘diritto all’oblio’ di un aborto, per valutare il quale sarebbe opportuno chiedersi se la pervicace rammemorazione della perdita rappresenti un elemento imprescindibile della elaborazione del lutto o se invece ne costituisca una patologia. La materia è sicuramente complessa e ognuno avrebbe il diritto di elaborare un proprio percorso di guarigione.
Sotto questo profilo, tuttavia, sarebbero auspicabili nuove norme intese a rimuovere non solo gli ostacoli economici alle scelte di sepoltura o cremazione e successiva destinazione individuale dei prodotti abortivi/feti (prevedendone la gratuità nei casi di indigenza), ma anche consentendo l’espressione di opzioni ugualmente significative per i richiedenti, che vogliono dimenticare la perdita, di collocazione anonima in sepoltura collettiva nel cimitero o, al limite, di nessuna sepoltura.
In assenza di queste previsioni, stante il carattere pubblico del cimitero, è facile constatare come il mantenimento di aree espressamente destinate alla sepoltura d’ufficio dei prodotti abortivi/feti o delle loro ceneri e a cui, per di più, vengano date visibilità e risonanza, produca (come si vuole disporre) una non richiesta violenza nei confronti di coloro che non si fossero espressi in tal senso. Oggettivamente appare arduo sostenere tutti coloro che hanno sofferto una perdita intendano le iniziative di inaugurazione di nuove aree cimiteriali, con il loro portato di simboli e cerimonie, come volte alla “tutela della vita umana, fin dal suo inizio, da parte dello Stato”.
Ultime due osservazioni:
– sicuramente meritoria è la volontà di assicurare ai ‘soggetti interessati’ le migliori informazioni riguardo all’esercizio del loro diritto di scegliere, tema che tuttavia, come abbiamo visto, dovrebbe essere soggetto ad una riflessione ulteriore tanto riguardo ai destinatari, quanto sulle modalità di comunicazione prevedendone una diffusione/accompagnamento personalizzati da parte di operatori pubblici specializzati.
– altrettanto sicuramente sono da rivedere, o quanto meno da armonizzare, i tempi per l’esercizio di questo diritto: solamente le 24 ore per presentare domanda di una destinazione particolare (comma 4) paiono davvero un termine troppo limitante quando, di converso, 15 giorni per richiedere o provvedere (comma 4.bis) possono essere ragionevoli sia per la programmazione ospedaliera, che per assicurare ai (alle) richiedenti un congruo lasso di tempo dalla perdita, a condizione vengano assicurate condizioni di mantenimento dei prodotti del concepimento e dei feti.

Pur apprezzando l’intendimento di investire il nuovo Parlamento di questi temi corre l’obbligo di segnalare come al posto di rammendare norme quasi cinquantenarie, sarebbe consigliabile, per la revisione e aggiornamento della materia, una più organica iniziativa governativa.
In tal modo si potrebbe procedere sia alla armonizzazione di norme sulla base delle evidenze scientifiche e statistiche nel frattempo maturate, anche in sede europea, sia alla profilazione di eventuali diritti/doveri nei confronti di coloro che, con il consenso della madre, fossero abilitati ad esprimersi o a facilitare le scelte di destinazione, sia infine per la definizione degli aspetti procedurali ed economici di raccordo tra istituzioni sanitarie e cimiteri e crematori.
In vista di ciò sarebbe opportuno che sulle questioni sollevate si aprisse già da subito una riflessione pubblica non solo tra le forze politiche, ma anche in seno alle varie comunità di operatori interessati.

Written by:

Antonio Dieni

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