Il fine ultimo della permanenza dei cadaveri nel sepolcro, almeno per il tempo minimo di sepoltura legale, è la loro auspicabile e completa mineralizzazione.
Si tratta di un principio fondamentale e per tale ragione implicito, dell’ordinamento italiano di polizia mortuaria, anche se alcune tecniche di destinazione per i cadaveri, come, ad esempio, la tumulazione sembrano contraddire questo fondamento della legislazione funeraria, siccome mirano piuttosto alla conservazione dei cadaveri e non alla loro naturale consunzione.
Versare sui resti mortali o, ancor peggio, sui cadaveri sostanze corrosive (calce[1], acidi) si configura come un atto illegale sempre perseguibile almeno in via amministrativa ai sensi dell’Art. 107 DPR 285/90 che rinvia, come noto all’Art. 358 TULLSS, in quanto viola il comma 1 dell’Art. 87 DPR n.285/90 (divieto di ridurre con la forza o con metodi violenti cadaveri o esiti da fenomeno cadaverico di tipo trasformativo conservativo in contenitori di misura inferiore rispetto al cofano in cui il corpo esanime fu collocato al momento della prima sepoltura). Sulla distinzione, ai fine dell’applicabilità della norma penale, tra cadaveri e resti mortali si veda Cassazione, Sez 1^ Pen. n. 958/1999.
In effetti, su questo importantissimo pronunciamento giurisprudenziale occorre subito una chiosa: se oggetto di tale gesto illecito è un cadavere (corpo umano esanime dopo l’accertamento della morte e prima che siano trascorsi 20 anni dalla tumulazione e 10 dall’inumazione) si applicano di sicuro anche le sanzioni penali previste per vilipendio di cadavere, mentre più sfumata è la posizione giuridica dei resti mortali riguardo alla fattispecie di reato di cui sopra, almeno così, almeno, si è espressa la Corte di Cassazione in data 9/11/99 non la sullodata sentenza.
La situazione di grave crisi, per mancanza ormai cronica di spazio, vissuta dai nostri cimiteri ha, nel corso degli ultimi anni, suggerito modifiche normative capaci di intervenire sia dal lato preventivo, per ripristinare il criterio rotatorio del sistema cimiteriale italiano, sia con soluzioni che consentano di intervenire sull’attuale stock di salme inconsunte, frutto di mezzo secolo di trattamenti conservativi (siringazioni cavitarie antiputrefattive, obbligo della cassa metallica per trasporti oltre i 100 KM) e non scheletrizzanti.
Il paradigma per una nuova politica cimiteriale dovrebbe allora articolarsi sui seguenti punti programmatici:
rilancio della biodegradabilità con la definizione normativa di quale proprietà chimico-fisica si intenda per tale
contenimento degli spessori dei legni, che dovrebbe essere accompagnato da nuove tipologie di verniciatura più ecologiche
sostituzione, ove possibile, dello zinco con materiali biodegradabili.
Il ricorso a sostanze biodegradanti da apporre nella fossa, immediatamente attorno al feretro, oppure, addirittura, entro il cofano mortuario, a diretto contatto con il cadavere o il resto mortale non scheletrizzato è, allora, un argomento imprescindibile che da anni infiamma il dibattito tra i diversi orientamenti della più titolata dottrina.
Il DPR 285/90 sembra non considerare in modo approfondito questa possibilità ed affronta il problema della biodegradabilità soprattutto in termini ablatori e negativi vietando, con il comma 1 dell’Art. 75, per i feretri da inumare, l’impiego di materiali non facilmente aggredibili dai normali processi della decomposizione organica, mentre il comma 3 dello stesso articolo accenna all’uso di casse più “leggere” e, quindi, maggiormente biodegradabili, magari realizzate con fibre o plastiche naturali in sostituzione della più tradizionale cassa lignea.
Quest’ipotesi, tuttavia, seppur ragionevole, non ha prodotto nei quasi 15 anni passati dall’entrata in vigore del DPR 285/90 sostanziali cambiamenti o silenziose rivoluzioni nel comparto funebre e cimiteriale italiano, forse perchè la stessa industria funeraria non è mai stata davvero interessata ad esplorare nuove frontiere e metodologie per la costruzione dei cofani.
Il legno, tutto sommato, è un essenza nobile, antichissima che ben si coniuga con il concetto di “pompa” funebre, ossia di sfarzo e sontuosità funeraria.
Ben altro impatto, invece, hanno avuto i dispositivi plastici ad effetto impermeabilizzante alternativi, in determinate circostanze, alla bara a tenuta ermetica grazie all’involucro di lamiera zincata.
La circolare n. 10 del Ministero della Sanità, emanata il 31 luglio 1998, per la prima volta affronta il problema con il paragrafo 2 in cui, limitatamente agli esiti da fenomeno cadaverico di tipo trasformativo conservativo, si legittima l’utilizzo di prodotti enzimatici da inserire fuori o ancor meglio, dentro al feretro per assecondare la ripresa della lisciviazione cadaverica (la percolazione dei liquidi è una tappa fondamentale della putrefazione).
Dette sostanze, tuttavia (si tratta principalmente di ceppi batterici non nocivi) non debbono esser tossiche o inquinanti per le falde acquifere, come, ad esempio potrebbero esser acidi o solventi non naturali, al di là del gesto empio contro il sacrale rispetto verso i defunti.
Rimane, comunque, proibito trattare cadaveri mummificati, saponificati o corificati attraverso metodi non contemplati dalla Legge, ossia dai paragrafi 2 e 3 della Circolare n. 10 del 31 luglio 1998.
Né il DPR 285/90 né le successive circolari esplicative si focalizzano sull’immissione di sostanze biodegradanti entro il feretro al momento della prima sepoltura (appena dopo il funerale) ossia quando esse sarebbero più efficaci proprio per la temperatura relativamente stabile e l’alta presenza di parti molli e liquidi rilasciati in grande abbondanza dal cadavere nei primi tempi dopo la morte.
Il paragrafo 3 della circolare n. 10 del 31 luglio 1998 introduce, però un’importante novità, estendendo l’uso di sostanze biodegradanti, non solo sugli indecomposti da re-inumare, ma anche sui resti mortali nuovamente da tumulare, magari dopo il rifascio[2] del feretro
Durante questo nostro studio ci vengono, però, in soccorso:
Il comma 2 dell’Art. 30 DPR 285/90
la stessa circolare n. 24 del 24 giugno 1993 al paragrafo 9/2.
Secondo il sullodato comma 2 Art. 30 DPR 285/90 è del tutto lecito usare sostanze biodegradabili come assorbenti o materassini da collocare nell’intercapedine tra casse di legno e vasche di zinco, ma in questo caso lo scopo di tale strato è semplicemente quello trattenere le eventuali perdite di liquidi, o, se esso è addizionato con batteri ed enzimi, di biodegradare i fluidi post mortali, riducendo quella sgradevole formazione di odori acri e pungenti che spesso accompagna lo scoppio del feretro.
Il paragrafo 9/2 della circolare n. 24 del 24 giugno 1993 implementa l’Art. 77 comma 3 del DPR 285/90 offrendone una lettura di più ampio respiro: così, infatti, recita: “[…] per i feretri confezionati con la doppia cassa la cerchiatura è superflua se si dota la cassa metallica (in genere quella a diretto contatto con il cadavere) di valvola oppure altro dispositivo volto a contenere e neutralizzare il rilascio di gas putrefattivi.”
Quindi la Legge permette di inserire particolari soluzioni chimiche all’interno della bara (magari sotto l’imbottitura che accoglie morbidamente la schiena del cadavere) per evitare l’accumulo di sovrappressione dovuta ai miasmi della decomposizione, ma queste soluzioni chimiche potrebbero avere anche un’altra importantissima funzione: degradare più rapidamente la materia organica, componendola in tempi rapidi, così da non provocare l’eccessiva produzione di composti aeriformi dagli odori nauseanti se, per disgrazia, la lamiera zincata si dovesse fessurare in prossimità delle giunture.
Questo fine rientra, quindi, anche nella fattispecie presa in esame proprio dal comma 2 Art. 30 DPR 285/90 di cui sopra.
A tale indirizzo “strategico” si attiene anche il recente regolamento di polizia mortuaria n. 6/2004 emanato dalla regione Lombardia con il punto 5 dell’allegato n. 3 (requisiti costruttivi per le bare), nella parte in cui prescrive come il fondo dei feretri (confezionati senza la doppia cassa) debba esser protetto da una couvette impermeabile cosparsa con polveri assorbenti con altissimo potere biodegradante.
Si può, allora, ragionevolmente giungere a questa conclusione: nel silenzio del legislatore, è permessa, per analogia con quanto avviene per gli esiti da fenomeno cadaverico di tipo trasformativo-conservativo, l’introduzione nel feretro di ogni sostanza non inquinante o pericolosa per l’uomo capace di “addomesticare” la decomposizione cadaverica: accelerando la distruzione delle catene proteiche e inibendo, contemporaneamente, la fase gassosa della putrefazione.
Si registrano esperienze di questo tipo già in molti paesi europei, con ottimi risultati, sia sull’igiene nei sepolcreti sia sull’abbreviazione del periodo legale di sepoltura.
Di solito i composti enzimatici sono collocati in maniera “invisibile” tra la base della bara e l’imbottitura.
Per una ragione di mera opportunità morale è meglio non parlare ai dolenti di queste sostanze a base enzimatica capaci di digerire la materia organica (nella fattispecie il corpo del de cuius) non sarebbe bello nè elegante affrontare questo tema ed i famigliari già sconvolti da un lutto potrebbero non capire.
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[1] Ben altra funzione ha uno strato di calce all’interno del tumulo: serve ad assorbire la percolazione di fluidi post mortali prima che quest’ultimi riescano a filtrare all’esterno, insinuandosi nella tamponatura del loculo, per poi riversarsi all’esterno. [2] L’avvolgimento è richiesto quando sussistano ancora fenomeni percolativi e senza quest’ultimi gli enzimi non riescono ad attivarsi, siccome tali microrganismi vivono solamente in ambiente acquoso.
X Necroforo (evidentemente siamo colleghi anche nel nickname, qui sul web!)
Molte volte (ma non sempre) la mancata scheletrizzazione dei defunti, in tempi ragionevolmente certi) è un problema ab origine, dovuto ad un cattivo confezionamento del feretro, l’art. 75 comma 1 (ma la norma era già presente nel D.P.R. n. 803/1975) del vigente regolamento nazionale di polizia mortuaria vieta l’immissione nel ciclo dei campi di terra di materiali non biodegradabili e la stessa Circ. Min. 24 giugno 1993 n. 24 raccomanda per le inumazioni l’impiego di casse realizzate con essenze lignee tenere e facilmente decomponibili.
Il trattamento del terreno non solo è consentito, ma è addirittura richiesto dal comma 2 dell’art. 82, per ottenere le condizioni previste dall’art. 57 (in particolare dal comma 6), del D.P.R. 10 settembre 1990 n. 285 È quindi del tutto legittima la realizzazione di riporti di altri terreni (con o senza addizione di sostanze capaci di migliorare la struttura, tra cui ovviamente le sostanze biodegradanti).
Non è contemplato dall’attuale normativa speciale di settore un turno di “riposo” delle quadre ad inumazione sature affinché il terreno si purifichi naturalmente dai residui della lisciviazione cadaverica.
EX art. 82 D.P.R. n. 285/1990 può anche esser ammesso il rimedio, invero poco efficace, del prolungamento del periodo di sepoltura legale, ordinariamente fissato in anni 10, ora il provvedimento dopo il DPCM 26 maggio 2000 non compete più al Ministero della Salute essendo divenuto di spettanza regionale, laddove la Regione stessa non lo abbia sub-delegato ai Comuni ai sensi dell’art. 3 comma 5 D.Lgs n. 267/2000 se l’inefficienza persiste si avvierà il campo d’inumazione ad una diversa destinazione, pur sempre cimiteriale (concessione di lotti per impiantare sepolture private ex Capo XVIII D.P.R. 10 settembre 1990 n. 285)
Resta il fatto che – se non diversamente specificato da una riforma regionale – ogni cimitero, per esser qualificato come tale debba disporre di un reparto ad inumazione, come acutamente rilevato anche dalla giurisprudenza amministrativa, in caso contrario (la stessa, per altro, Legge n. 130/2001 ragiona di cimiteri per sole urne in rapporto alla riduzione della cintura sanitaria ex art. 338 T.U.LL.SS.) l’obbligo della quadra ad inumazione di idoneo dimensionamento ex art. 337 Testo Unico Leggi Sanitarie s’intenderebbe assolto quando il Comune potesse contare su un sistema articolato su più cimiteri, incentrando la funzione del campo comune di terra (l’unica necessaria e non facoltativa) in uno solo di essi.
Come si deve procedere, nella forma corretta, per poter richiedere la “correzione” del terreno destinato ad inumazione che non consente il normale processo di mineralizzazione?