L’allarme dell’imprenditoria funebre sulla paralisi dei funerali e sui relativi rischi igienico-sanitari

L’agenzia stampa  AdnKronos pubblica il grido d’allarme degli operatori del post mortem, per un concreto pericolo per la salute pubblica a causa di questa pandemia che sta degenerando, in una sorta di paralisi, anche dell’attività funebre.

 

“L’ultima circolare del ministero della Salute ha sicuramente colmato un gap di indicazioni su come comportarsi che era presente in alcune Regioni – riconosce il segretario di un importante federazione dell’imprenditoria funebre privata  – ma serve ancora un piccolo sforzo per quanto riguarda la burocrazia: non si possono chiudere gli uffici comunali alle 14 o pensare che se una persona muore venerdì pomeriggio bisogni aspettare lunedì per avere i documenti, per esempio.

Stiamo lavorando 24 ore su 24 correndo a 300 KM all’ora per poi essere obbligati, per la disorganizzazione di alcuni Comuni, a sostare davanti a un semaforo rosso che dura due giorni.

Tutti questi rallentamenti portano poi a concentrare il lavoro che si accumula in un unico momento, con gli effetti dello stress logistico di cimiteri e crematori che in alcuni casi non sanno più dove depositare i defunti“.

Un’attesa che crea due difficoltà. La prima è l’ammassarsi di casse che occupano chiese e depositi. “Il problema grosso sono i feretri in attesa di cremazione che all’interno non hanno lo zinco, ma un semplice involucro di materiale biodegradabile: se entro 2-3 giorni non si procede all’incinerazione, questo manufatto plastico può iniziare a deteriorarsi ed a far percolare i liquidi fuori del cofano di solo legno, e diviene un problema igienico-sanitario importante.

Dobbiamo preoccuparci di questo e non solo. Al di là delle esigenze sanitarie, non si può aggiungere dolore a dolore alle famiglie prima negando la cerimonia funebre e poi non dando loro informazioni su quando il loro caro verrà seppellito o cremato. Bisogna dare risposte certe, altrimenti l’elaborazione del lutto diventa oltremodo difficoltosa”, chiosa l’intervistato.

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Carlo Ballotta

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