La ricerca ha utilizzato modelli suini con una biomassa microbica molto simile alla nostra, sia per dimensioni che per composizione, le cui carcasse si decompongono secondo uno schema paragonabile a quello degli esseri umani.
Ciò è dovuto al fatto che contengono una biomassa microbica simile a quella umana sia per dimensioni che per composizione. In Italia, inoltre, la legislazione vigente non consente l’uso di cadaveri umani a fini sperimentali e i suini sono considerati il miglior proxy dei corpi umani per gli studi tafonomici.
Lo scopo di questa ricerca è stato quello di accertare il grado di decomposizione delle carcasse di suino, sepolte in due diversi sistemi di sepoltura e di catalogare gli artropodi associati alle sepolture in tre diverse serie di estumulazioni (dopo 6-12-24-36 e 60 mesi).
Sette suini domestici (Sus scrofa L), del peso di 70 kg, sono stati ottenuti da un allevamento commerciale di Ferrara. Ogni suino è stato ucciso mediante stordimento, eviscerato, e posto in un sacchetto di plastica nero subito dopo la morte per evitare la contaminazione da parte di insetti.
Per replicare la tumulazione, ogni carcassa di maiale è stata posta individualmente in bare di legno di pino, poi sigillate all’interno di un loculo.Tre suini sono stati tumulati con le caratteristiche proprie della tumulazione stagna. Altri tre con le caratteristiche proprie della tumulazione aerata. L’ultimo è stato tumulato con caratteristiche proprie della tumulazione aerata per sperimentazioni. Infine, un loculo, vuoto, è stato utilizzato per prove tecniche.
Ogni sepoltura è stata esposta alle stesse fluttuazioni di temperatura ambientale e la vicinanza dei siti di sepoltura ha garantito che ognuno di essi ricevesse circa la stessa quantità di luce solare diretta durante il giorno. Nessuna delle piante circostanti aveva un’altezza tale da ombreggiare le sepolture e anche le ombre degli edifici non costituivano un problema.
Gli artropodi raccolti dalla sepoltura esterna e dalle carogne al momento dell’estumulazione sono stati posti in fiale di vetro contenenti etanolo al 70% per la conservazione, la conferma della specie molecolare e per le successive elaborazioni.
Inoltre, al termine dei cinque anni di sperimentazione, sono stati eseguiti campionamenti micro-biologici mediante tamponi effettuati su diverse regioni del corpo, quali la bocca, la testa, la gola, la pelle toracica e addominale, l’arto posteriore e il lato ipostatico. Due tamponi sono stati eseguiti sul liquido presente all’esterno di due casse di legno, definiti residuo esterno umido e residuo esterno secco.
La ricerca microbiologica è successivamente stata eseguita su diversi terreni di coltura, incubati in aerobiosi e anaerobiosi a 37 °C, e incubati a 25 °C per la crescita di funghi, lieviti e muffe e per le analisi molecolari. Complessivamente il tasso di decomposizione delle carcasse nei loculi stagni, rispetto a quello nei loculi aerati, è risultato molto più lento.
E, nei loculi aerati, i campioni hanno raggiunto uno stadio secco dopo 12 mesi, mentre quelli sepolti con tumulazione stagna hanno continuato a mantenere l’umidità dei tessuti molli, mostrando, altresì, la progressiva formazione di adipocera.
Contrariamente alle sepolture in terra a sistema di inumazione e alle tombe aerate, le tombe a sistema di tumulazione stagna – che prevedono la sepoltura con doppia bara (legno + metallo) – agiscono come sistemi chiusi, in assenza di scambi con l’ambiente esterno e creano all’interno della cassa metallica un microclima umido che, non soggetto ad evaporazione, causa solo una risibile perdita di peso ed una lenta decomposizione.
I tre risultati chiave, evidenziati dalla ricerca, sulle condizioni che favoriscono la scheletrizzazione dei corpi umani sono stati in primis la riprova che funghi e batteri si presentano come facilitatori essenziali dei processi iniziali di decomposizione delle carogne.
Secondariamente, la conferma che l’inumazione, associata al drenaggio di acqua e liquidi, all’accesso di insetti decompositori e alla disponibilità di ossigeno, si caratterizza come l’ambiente più ideale per la decomposizione più rapida, pervenendo ad una completa scheletrizzazione della carcassa.
Infine, come già evidenziato da studi precedenti, un’elevata attività microbiologica aerobica e anaerobica è in grado di favorire la rapida decomposizione della materia organica.
Gli insetti colonizzatori primari utilizzano la risorsa carogna come nutrimento, accoppiamento o sito di ovodeposizione. Il loro successivo sviluppo larvale può essere fattore di disturbo per le comunità microbiche consolidate.
Alcuni insetti, come la Musca domestica (Diptera: Muscidae) nell’attività di colonizzazione delle carogne possono introdurre una propria comunità microbica esogena, in grado di trasportare oltre 100 microbi patogeni.
In aggiunta, le comunità microbiche possono, a loro volta, influenzare la comunità degli insetti. Ad esempio, la putrescina – noto volatile associato ai resti in decomposizione – attrae i mosconi ma è un repellente per i maschi di carogna (Coleoptera: Silphidae).
Nello studio, la maggior parte degli insetti è stata campionata in bare presenti nel loculo aerato, ma alcune specie sono state reperite anche nelle bare in ambiente stagno, anche se la colonizzazione può essere stata influenzata dall’integrità della chiusura e della bara.
Due specie di ditteri, Hydrotaea capensis e Megaselia scalaris, sono state le specie più reperite, a conferma dell’ipotesi che gli insetti siano in grado di colonizzare le carogne in un sistema di sepoltura aerato.
Rispetto alle larve di mosca carnaria e di mosca soffiata, queste due specie, essendo di dimensioni molto più piccole, risultano facilitate nello spostamento attraverso i ridotti spazi interstiziali per raggiungere una carcassa.
Tra l’altro, dopo un anno dall’inizio della sperimentazione, le bare utilizzate per la sepoltura aerata presentavano delle crepe, molto probabilmente dovute all’attività delle carcasse in decomposizione, che probabilmente hanno facilitato la colonizzazione da parte delle larve di M. scalaris.
L’attitudine di questa specie a tollerare l’oscurità, unita alla sua capacità di scavare, induce una colonizzazione cadaverica di popolazioni estremamente grandi di insetti. Si è anche osservata una contaminazione post-estumulazione nelle bare che sono state aperte.
La maggior parte degli insetti, arrivati in questo momento, sono risultati appartenere ai necrofagi delle carcasse esposte, in presenza di tessuti completamente asciutti; mentre altri potevano essere iscritti alla categoria di parassiti dei prodotti conservati, più attratti dal legno, dai tessuti e dai resti degli insetti pionieri associati agli scheletri.
In sintesi, quindi, la sperimentazione ha confermato che nei corpi sepolti in ambiente stagno, con la bara collocata all’interno di un loculo sigillato, la scheletrizzazione avviene molto più lentamente rispetto ai corpi tumulati in uno stesso ambiente, ma aerato.
In ultima analisi, il microambiente creato dalla tomba stagna favorisce una conservazione quasi indefinita del corpo. La ricerca ha confermato che maggiori condizioni di aerazione favoriscono, al contrario, una più rapida decomposizione dei corpi, sia per l’aumento della circolazione dell’aria che per la predisposizione di un ambiente consono all’entomofauna.
Entrambi questi elementi concorrono in modo significativo alla progressiva degradazione, in un tempo più ridotto, della materia organica.
In conclusione, il sistema di sepoltura aerata si propone come significativa opportunità per una nuova opzione di tumulazione più ecologica, garantendo una sostenibilità ambientale, indotta da una più igienica e rapida decomposizione dei corpi rispetto alle tecniche tradizionali per l’Italia di tumulazione stagna. Ed infine, last but not least, presenta un’indubbia valenza gestionale, nelle strategie di intervento nelle politiche cimiteriali, per la possibilità offerta di contenere le tariffe all’utenza, riducendo considerevolmente i tempi di concessione del manufatto cimiteriale.