Gli aventi causa del originario fondatore del sepolcro Jure Hereditatis richiedono l’autorizzazione ex Art. 94 DPR n.285/1990 per pesanti interventi edilizi su di una tomba. Costoro, a prima vista, non rientrano nel novero della famiglia del concessionario, così come delineata all’epoca della concessione stessa.
Ovviamente chiuque può richiedere lavori in base alle proprie quote di titolarità,
Innanzi tutto, tramite l’istituto del subentro, laddove contemplato, dovrebbero succedere i discendenti del fondatore del sepolcro, al concessionario originario, determinando una sorta di comunione indivisa e solidale.
Corte d’appello di Torino, 12 aprile 1935 n. 476 “Il rapporto che sorge fra Comune e concessionario di un’area nel cimitero comunale a scopo di sepoltura particolare ha carattere patrimoniale, che deve mantenere tutta la sua rilevanza giuridica fino a che non si esorbiti dai limiti di ordine pubblico nei quali deve essere contenuto l’oggetto della concessione. I diritti dei compartecipanti alla sepoltura, nei loro rapporti, sono regolati dalle disposizioni sulla comunione dei beni, per modo che deve intendersi vietata qualsiasi innovazione della tomba se manchi il consenso unanime di tutti essi partecipi. È però da riconoscersi la possibilità di una divisione dei loculi fra tutti i partecipanti in ragione dei relativi diritti al sepolcro”.
Cassazione civile, 1° giugno 1936 n. 553 “I sepolcri gentilizi o familiari, ammessi da una secolare tradizione, nonché dalla legislazione positiva (T.U. della legge sanitaria 27 luglio 1934, n. 1265, art. 340), seguono la destinazione data da colui che li ha costruiti, e pertanto non sono suscettibili di divisione fra i vari partecipanti in base alle norme del Codice civile relative allo scioglimento delle comunioni. Tuttavia, ciascuno dei partecipanti può apportare al sepolcro quelle modificazioni che non siano contrarie agli interessi della comunione e non pregiudichino l’esercizio del diritto degli altri partecipanti”.
Vedrei come inammissibile o eccezionale, ma in tal caso deve essere previsto dal Regolamento comunale, una divisione della concessione; almeno tenendo conto di alcune pronunce della Suprema Corte di Cassazione. Molto più semplice sarebbe una scrittura privata da notificare al comune, cui il comune, comunque, rimarrebbe estraneo con la quale regolare assunzione oneri e priorità di accesso alla tomba in base alla cronologia degli eventi luttuosi.
Tribunale di Torino, 7 luglio 1941 “Essendo il diritto di sepolcro ideologicamente indivisibile, deve ritenersi che il sepolcro familiare non sia passibile di divisione materiale. Conseguentemente i partecipanti al diritto di sepolcro non possono ottenere lo scioglimento della comunione in base alle norme che regolano questo istituto nel codice civile. Se però fra i contitolari del diritto sorge questione circa l’assegnazione e la distribuzione di loculi esistenti nella tomba, non sembra inconciliabile con la natura del diritto di sepolcro, che si addivenga all’assegnazione di una parte di essa, assegnazione che è in uso e non equivale a divisione, in quanto con l’assegnazione rimane fermo l’obbligo dei contitolari di osservare la destinazione familiare della tomba. Il disposto dell’articolo 9 della legge 15 gennaio 1936, n. 56, sul condominio delle case non è applicabile nel caso di comunione di sepolcro”.
).
Il diritto alla sepoltura (= ad essere sepolti) ha comunque un limite, quello dell’art. 93, 1 parte finale DPR 285/1990, ossa la reale capienza del sepolcro, essendo, per altro tassativamente vietati atti violenti volti a recuperar posti feretro attraverso la rottura di arti ed articolazioni di cadaveri e resti mortali.
Effettivamente, vi sono sentenze, anche della Suprema Corte di Cassazione, per le quali un sepolcro di famiglia (o, gentilizio) può divenire ereditario sono una volta che non si siano più discendenti del c.d. fondatore del sepolcro (cioè di appartenenti alla sua famiglia, ai quali è “riservata” la sepoltura). Ad esempio, Cass. 2^ sez. civile, n. 12597 del 29/9/2000, sent, 27.6.1974 n. 1920, 5.7.1979 n. 3851, 16.2.1988 n. 1672, 29.5.1990 n. 5015, 19.5.1995 n. 5547, 30.5.1997 n. 4830, 22.5.1999 n. 5020, sent. 30.5.1984 n. 3311, 29.5.1990 n. 5015, 19.5.1995 n. 5547, giusto per citarne solo alcune.
In assenza di discendenti, il manufatto edificato sull’area in concessione diventa ereditario, ma limitatamente agli oneri connessi alla proprietà, nel senso che gli eredi hanno gli obblighi di provvedere per la durata della concessione alla manutenzione ordinaria e straordinaria del sepolcro, fermo che non può sorgere in capo ad essi alcun diritto ad essere sepoltivi, né a seppellirvi (Jus Inferendi in Sepulchrum)
Altri giuristi, anche se con molta cautela, tendono ad esser più possibilisti ammettendo un’estensione dello Jus Sepulchrri tramite Jus Hereditatis e non solo Jus Sangiunis. Rimane comunque vietata, almeno dal 10 febbraio 1976 la cessione del diritto di sepoltura per atti inter vivos, per il loro specifico fine di lucro vietato dalla Legge (Art. 92 comma 4 DPR 285/1990)
La cappella e’ stata eretta con la precisa finalità di accogliere il primo defunto e la di lui moglie (concessionaria e fondatrice del sepolcro), allora, il diritto di usare di questa cappella e’ limitato alle salme a cui e’ stato destinato fin dall’origine.
Sull’esecuzione dei lavori, forse si potrebbe anche accedere ad accogliere la richiesta, nel rispetto delle previsioni del piano regolatore cimiteriale (art. 91 DPR 285/1990), fermo restando che il diritto di sepoltura persista riservato a favore delle persone di cui all’art. 93, 1 dPR 285/1990
Bisognerebbe, però, precisare se gli eredi siano solo onorati o anche subentrati nella posizione del titolare della concessione.
In quest’ipotesi la risposta è abbastanza semplice. Se l’area in concessione è perpetua, non vi è bisogno di alcuna novazione o rinnovo . Prosegue quella precedente, che deve essere volturata per l’intestazione. Questa necessità, potrebbe invece sussistere se vi fosse una cessazione dell’antecedente rapporto giuridico (per decadenza, per rinuncia, altro) e l’instaurare di una nuova concessione (novazione), sempre inerente a quel manufatto sepolcrale (ed alla superficie di terreno cimiteriale su cui insiste) con un nuovo regolare atto di concessione.
Quindi può essere autorizzata la realizzazione di sopraelevazione o di abbattimento di quella vecchia con costruzione di una nuova tomba con l’unico vincolo di: – non eliminare tombe di pregio storico-artistico, protette dalla legge sulla conservazione di opere d’arte; – garantire che la nuova struttura abbia almeno il numero dei posti sufficiente a seppellire le salme contenute in quella vecchia ex Art 94 comma 2 DPR 285/1990. Può essere effettuata una sopraelevazione che non ecceda in misura quella consentita dal piano regolatore cimiteriale, o in assenza di queste prescrizioni che non alteri significativamente la zona in cui si trova (ad es. se sono tutte tombe basse, questa non può essere l’unica alta). Ovviamente deve essere dapprima effettuata voltura (generalmente onerosa) della intestazione del a vecchia concessione perpetua e deve essere sicuro che questo è l’unico titolare della concessione. Se sono più titolari, occorre acquisire nel progetto la firma di tutti (anche di coloro che hanno un diritto di sepoltura nella vecchia tomba? Vedasi il punto di cui sopra). Infine devono essere osservate le norme attualmente vigenti per le misure minime dei posti salma dettare dalla Circ,MIn. 24 giugno 1993 n. 24.
Variare la capienza del sepolcro (soprattutto se in senso restrittivo, riducendo, quindi, il numero dei loculi) produce due conseguenze:
- mutamento dei fini nel rapporto concessorio ex Art.94 comma 2 DPR 285/1990, con conseguente ed implicita pronuncia di cadenza, la quale è atto dichiarativo e non costutuitivo, in quanto è frutto di inadempienza contrattuale e non di una decisione d’imperio del comune. Ciò potrebbe non avvenire se la modifica strutturale venisse apportata nel contesto dell’art. 106 DPR 285/1990 con allegato tecnico di cui al parafrafo 16 Circ.MIn. n. 24/1993 (anche senza grandi formalizzazioni sul provvedimento di autorizzazione (oggi e dal 1/1/2001, regionale per il DPCM 26/5/2000) trattandosi di un adeguamento a norme e prescrizioni tecniche estranee ai soggetti del rapporto (comune, quale concedente da un lato e concessionario dall’altro): in questo caso, l’esecuzione di opere che portino all’utilizzabilità del sepolcro, non produce decadenza. Esse sono a carico del comune prima della nuova concessione del sepolcro (l’inubizione della sepoltura di feretri dovrà esser specificata nello stesso atto di concessione) oppure contrariamente attengono al concessionario se i lavori di riadattamento avvengono dopo la stipula dell’atto di concessione.
- Ingiusta compressione dello jus sepulchri (da leggersi sempre come aspettativa potenziale in ordine alla cronologia dei decessi) di tutti gli aventi diritto, i quali, potrebbero anche non coincidere con i soggetti titolari della concessione (soprattutto quando vi sia stato subentro e quindi una certa dilatazione dello jus sepulchri e della titolarità sul manufatto, essi allora, dovrebbero pronunciarsi nel merito, rendendo, però, molto farraginosa tutta la procedura. Va rilevato come (dal 10 febbraio 1976 e secondo altri dall’entrata in vigore del libro III del codice civile) la titolarità del sepolcro non costituisca posizione soggettiva disponibile con atti a contenuto privatistico, ma il diritto di sepoltura derivi dall’appartenenza alla famiglia del concessionarioipotesi, l’unica disponibilità ammissibile riguarda la proprietà del manufatto sepolcrale, se eretto dal concessionario, fin tanto quando sussista la concessione, proprietà da cui derivano gli oneri, ad esempio di manutenzione (art. 63 D.P.R. 10 settembre 1990, n. 285). Non è obbligo del Comune effettuare ricerche sugli aventi titolo, a meno che non debba procedere ad ingiungere specifiche manutenzioni o per procedere a decadenza della concessione. La complessa procedura instaurata dal Comune per ritrovare intestatari di quote concessorie, in assenza di normativa nel regolamento di polizia mortuaria comunale, rischia di portare in un vicolo cieco. Ovviamente, i discendenti potrebbero avviare azione per ottenere, dal giudice civile, l’indennizzo dei danni (il comune rimanendo estraneo al contenzioso
Il comportamento illecito di terzi (non tanto la ristrutturazione,la quale in ogni caso richiedeva l’autorizzazione comunale, ma soprattutto la predisposizione di ulteriori posti salma) implica una situazione di “inadempimento contrattuale” che determina la decadenza. Il comune, che avrebbe dovuto vigilare sull’intervento (come ha fatto a non accorgersene? …), preso atto del comportamento indebito non ha ormai altro che dichiarare la decadenza.
SE privato possiede una edicola funeraria nel cimitero e nell’edicola adiacente a quella di sua proprietà sono stati effettuati alcuni lavori di manutenzione e di trasformazione che ne hanno aumentato l’ingombro in pianta (in specifico sono stati aggiunti sulle facciate laterali dei mattoni Si consiglia innanzitutto di valutare se esiste l’autorizzazione ai lavori da parte del Comune e se questi siano effettuati all’interno dell’area in concessione. Generalmente la questione delle distanze minime fra tombe è risolta a livello di strumenti attuativi del piano regolatore cimiteriale. In assenza di tale piano però fa fede il progetto approvato dal Comune e che non debordi dall’area concessa.
La costruzione di una tomba senza l’approvazione del progetto da parte del sindaco e della commissione edilizia come previsto dal regolamento di polizia mortuaria si configura come una violazione di norma regolamentare sanzionata dall’art.358 del RD 27 luglio 1934, n.1265.L’importo di tale sanzione amministrativa è stato di recente elevato dall’art.16 del D.Lgs. 22 maggio 1999, n.196 ed ha come minimo la somma di tremilioni di lire e come massimo la somma di diciottomilioni di lire. A nostro parere la soluzione migliore appare quella di applicare la sanzione prevista ex Art. 358 Regio Decreto 1265/1934, intimare la presentazione del progetto, poi procedere al collaudo. Non ci appare, invece, opportuno prevedere in un articolo del regolamento locale di polizia mortuaria una procedura volta al condono di situazioni illegittime.
Nel caso di opere di manutenzione straordinaria sul manufatto sepolcrale, la concessione continua a persistere quale sorta in origine, erchè, di norma, essa ha per oggetto l’area (diritto di superficie), e tra l’altro l’esecuzione di tali opere di manutenzione straordinaria (quale e’ il rifacimento, la ricostruzione) presuppone che la concessione (dell’area persista. Cio’ porta ad escludere l’ipotesi considerarat (fatta sempre salva diversa previsione del Regolamento comunale di polizia mortuaria).
Alcuni regolamenti comunali ammettono molto opportunamente la possibilità che quando vi siano più concessionari e, così si presuma che chi agisca lo faccia “in nome e per conto” di tutti gli aventi titolo e con il loro consenso: tali previsioni sono presenti, normalmente, in relazione alle concessioni già sussistenti, in quanto raramente si regola il momento in cui la concessione viene a sorgere, caso che importa dover fare riferimento alle norme di ordinaria applicazione in materia di stipulazione di atti da cui sorgono diritti, anche solo di mero utilizzo, su beni o simili, cioè le norme del codice civile.
Attenzione, però, È però da annotare ome di recente, in una importante città italiana, proprio su autocertificazioni che poi sono risultate non rispondenti a verità, sono state autorizzate operazioni cimiteriali e cambi di titolarità di tombe, poi rivelatesi illegittime. In questi casi il controllo a campione che ordinariamente si fa sulle autocertificazioni, a parere di chi scrive, dovrebbe essere comunque svolto, proprio per garantirsi da violazioni del disposto sia dell’articolo 92 che 93 del DPR 285/90 (Ing. Daniele Fogli).
Ho chiesto l’ autorizzazione al Comune per la tumulazione di un parente deceduto di recente in una vecchia tomba ipogea, già libera da parecchi anni, ma realizzata nel 1931.
Il comune non mi autorizza se non eseguo le opere di adeguamento in base al DPR 10 settembre 1990 n. 285, tutto ciò è legittimo o si tratta di una pretesa infondata?
X Jerry
Sì, la richiesta del Comune è giustissima e per nulla peregrina!
Sarebbe interessante sapere da quale Regione Lei scriva, perché il quadro normativo di riferimento varia, e non poco, in base all’area geografica (è l’effetto perverso della polizia mortuaria polverizzata su scala regionale!)
Ad ogni modo parto deduttivamente da questo presupposto di fatto: il Suo Comune le chiede di rispettare il D.P.R. 10 settembre 1990 n. 285, da ciò intuisco che nella Sua Regione, almeno su questi aspetti di edilizia cimiteriale valga ancora, ancorché residualmente, la norma statale rappresentata dal regolamento nazionale di polizia mortuaria.
Negli anni ‘30 del secolo scorso, all’epoca della costruzione della tomba de qua, vigeva, in tema di legislazione speciale in campo funerario il R.D. n.448/1892 che non vincolava espressamente alla presenza cogente del vestibolo nei tumuli (laddove “vestibolo” è concetto a volte “oscuro”, ma esso, poi, è più o meno traducibile nella necessità resa in termini linguistici più moderni dello “spazio esterno libero” prima di poter eseguire una tumulazione fissata dall’art. 76 del vigente regolamento nazionale di polizia mortuaria di cui al D.P.R. 10 settembre 1990 n. 285. ).
Inoltre l’obbligo di separare ogni feretro da un altro ( quindi una sola bara per ogni singola nicchia sepolcrale) era previsto già dall’art. 63 del R.D. n.448/1892: norma costante poi transitata e trasfusa nei diversi regolamenti statali succedutisi nel tempo, poi replicata, infine, nell’art. 76 dell’attuale D.P.R. n. 285/1990.
Nei primissimi anni 90 del XX Secolo, in sede di redazione del D.P.R. 10 settembre 1990 n. 285 consapevole, però, della persistente anomalia costruttiva di diverse tombe, il Legislatore, con l’art. 106 del D.P.R. 295/1990 ha inserito nell’Ordinamento di il meccanismo giuridico per sanare situazioni pregresse. dilata Poi con il par. 16 della circ. Min. Sanità n. 24/1993 emessa ad implementazione dello stesso (si consiglia di leggere anche gli allegati) vennero chiarite meglio alcune metodologie operative attraverso particolari norme tecniche atte a regolarizzare sepolcri non corrispondenti ai requisiti dettati dalla Legge.
Da poco tempo, tuttavia, in diverse regioni sono state emanate apposite discipline funerarie (disorganiche e disomogenee finché si vuole, ma questa mia considerazione molto polemica, qui non rileva!!) che sostituiscono in buona parte il D.P.R. 285/1990, sovrapponendosi ad esso o, in altre occasioni, discostandosi e non poco dal suo articolato.
In buona sostanza, il legislatore regionale dilata l’applicabilità dell’art. 106 D.P.R. n. 285/1990, recependone dunque l’importanza strategica per il buon governo del sistema cimiteriale cittadino, ma introduce una procedura di deroga più snella e semplificata (infatti, in regime di solo D.P.R. n. 285/1990 la relativa autorizzazione all’uso di sepolcri non a norma sarebbe stata addirittura ministeriale, poi il prefato provvedimento, almeno per le Regioni a statuto ordinario, giusta il DPCM 26 maggio 2000, è divenuto di spettanza regionale, ma a loro volta molte Regioni hanno demandato questo compito a Comuni stessi, quali cellula prima e cardine territoriale di tutta la polizia mortuaria.
Indicativamente, queste nuove norme, seguendo un comun denominatore logico (= ampliare, per il possibile, la capacità ricettiva dei sepolcri) consentono:
1) indipendentemente dalla presenza del feretro ed in relazione al posto disponibile, la collocazione di una o più cassette di resti ossei e/o urne cinerarie, sono alla naturale saturazione dello spazio sepolcrale.
2) Per sempre o, in alcuni casi limitatamente ad un periodo massimo di venti anni dall’entrata in vigore della norma regionale in questione, la tumulazione di nuovi feretri, anche in loculi, cripte o tombe privi di spazio esterno libero o liberabile per il diretto accesso al feretro, in presenza congiunta delle seguenti caratteristiche:
a) confezionamento stagno del feretro con le caratteristiche di loculo impermeabile munito di dispositivo interno atto a ridurre la pressione dei gas putrefattivi;
b) presenza di idoneo supporto separatore tale da scongiurare la sovrapposizione diretta dei feretri l’uno sull’altro.
3) Sono, comunque sempre ammesse le tumulazioni di urne cinerarie e di cassette ossari, anche senza lavori edili di riattamento del sepolcro, purché nell’ambito generale della capienza del tumulo, oltre il quale lo stesso Jus Sepulchri spira ex se, divenendo non più esercitabile…
T.A.R. Roma, Sez. II, n. 138/2009:
“Le concessioni perpetue non rientrano tra quelle disciplinate dal primo periodo del comma 2 dell’art. 92 del D.P.R. 10 settembre 1990, n. 285, che riguarda esclusivamente le concessioni cimiteriali a tempo determinato, di durata eventualmente eccedente i 99 anni; le concessioni perpetue sono richiamate dall’art. 98, comma 1, dello stesso D.P.R. che prevede, solamente in caso di soppressione del cimitero, l’unica modalità di trasformazione delle concessioni perpetue in concessioni a tempo determinato della durata di 99 anni. Deriva da quanto sopra che le concessioni perpetue rilasciate in data anteriore a quella di entrata in vigore del D.P.R. 21 ottobre 1975, n. 803, si trovano in situazione di diritti acquisiti e non sono soggette a revoca. Dette concessioni mantengono il carattere di perpetuità, mentre si estingue la potestà di esercitare il diritto di sepoltura una volta esaurita la capienza del sepolcro. Così qualora il titolare della concessione intendesse successivamente procedere a nuove tumulazioni nello stesso sepolcro, si dovrebbe procedere all’estumulazione di una delle salme presenti nel sepolcro, per le quali dovrebbe essere richiesta una nuova concessione, integrativa della precedente, di durata non superiore a 99 anni».
Sì, è proprio così
Di norma l’estumulazione si esegue all’estinguersi del rapporto concessorio (Art. 86 comma 1 DPR n.285/1990), parallelamente ex Art. 88 DPR n.285/1990 le bare possono sempre esser estumulate per il trasporto in altra sede o per verificare lo stato di mineralizazione del cadavere, così da ridurre i resti ossei in cassetta ossario (Art. 36 ed Art. 86 comma 5 DPR n.285/1990) e liberare spazio per nuove sepolture quando si verifichino queste due condizioni:
1) assenza di disposizioni in senso contrario del de cuius stesso o del fondatore del sepolcro (si consulti anche questo link: https://www.funerali.org/?p=858 in merito alla discrezionalità del provvedimento di estumulazione)
2) volontà di tutti i congiunti legati da jure sanguinis con il defunto (Artt. 74, 75, 76, 77 Codice Civile), individuati secondo il principio di poziorità di cui all’Art. 79 comma 2 DPR n.285/1990.
Il diritto di sepolcro, quando si è ancora vivi, degrada a mera aspettativa, seppur legittima, in quanto propiettato nel post mortem, quando, coiè cessa la capacità giuridica (essa, infatti, Art. 1 codice civile si acquisisce con la nascita e si estingue con la morte). E’tutto in paradosso, siccome lo jus sepulchri è un diritto potenziale (quando si è vivi) con riflessi nel post mortem, cioè quando non potrà più esser esercitato dalla persona stessa, ma avrà una ricaduta sulle sue spoglie mortali, solo perchè tutelate dall’ordinamento giuridico. I morti, infatti, non hanno la possibilità di far valere i propri diritti.
Buonasera. Piuttosto che scrivere un commento alle esaustive risposte degli esperti, vorrei chiedere, per capire se ho ben capito, la questione delle capienza all’interno di un atomba di famiglia.
Ai sensi dell’art. 93, D.P.R. non è possibile rimuovere le salme nella tomba familiare (con concessione avente durata pari a 99 anni), pertanto, qualora si verifchi, per uno degli aventi titolo(ius sepulchri), l’evento morte, sebbene quest’ultimo abbia espressamente e per iscritto chiesto di essere sepolto all’interno della tomba di famiglia, accanto al proprio coniuge premorto, la sua volontà non è sufficiente per determinare la riduzione, all’interno della stessa tomba, di una salma (quella del fratello del coniuge premorto) ostandovi l’articolo citato. Stando così le cose, la riduzione sarebbe possibile qualora vi fosse il consenso di tutti gli aventi diritto?
Spero nella vostra risposta per dirimere questo disagevole dubbio.
Manuela
Il desiderio è legittimo e riceve tutela dalla Legge, si tratta del cosiddetto Jus Eligendi Sepulchrum, tale norma, essendo un principio fondativo e, quindi implicito rispetto allo jus positum (la norma formale e scritta) è rinvenibile estensivamente nell’Art. 79 comma 1 DPR 10 settembre 1990 n.285; a tale conclusione, sintetizzata in morma positiva dall’Art. 79 comma 1 sopraccitato si addiviene anche attraverso un orientamento costante della giurisprudenza.
Si veda, ad esempio: Cassazione civile, Sez. I, 21 novembre 1970 n. 2475 “Lo ius eligendi sepulcrum rientra nella categoria dei diritti della personalità, e come tale non può formare oggetto di trasferimento mortis causa. Solo nel caso in cui, in base ad una valutazione complessiva delle risultanze probatorie, anche testimoniali e presunive, si escluda che il defunto abbia manifestato, in vita, la propria volontà circa il luogo di sepoltura, la scelta può essere esercitata dai prossimi congiunti. Nel caso in cui la electio non sia stata esercitata dal defunto durante la sua vita, la scelta del luogo di sepoltura può essere fatta dai prossimi congiunti, senza alcun rigore di forme, con prevalenza dello ius coniugii sullo ius sanguinis e di questo sullo ius successionis”.
Ovviamente l’Art. 79 comma 1 DPR n.285/1990 anche se nominalmente rubricato nel Capo XVI del DPR n.285/1990 dedicato alla cremazione si applica a tutte le forme di “sepoltura” previste dal nostro Ordinamento giuridico, ossia Inumazione (Capo IX), Tumulazione (Capo XV), Cremazione (Capo XVI) e, almeno secondo alcuni giuristi, anche imbalsamazione (Artt. 46 e 47 DPR n.285/1990), anche se, invero, questa pratica è del tutto residuale e rarissima.
Il titolo di accoglimento nei cimiteri italiani (per l’Estero valgono le rispettive norme nazionali dello Stato dove avverrà la sepoltura) è disciplinato dell’Art. 50 DPR 10 settembre 1990 n.285.
L’accettazione d’ufficio (in campo comune di terra, ex Art. 337 Regio Decreto n.1265/1934 ed Artt. 49 e seguenti DPR n.285/1934) si basa su due criteri tassativi e non altrimenti ampliabili: 1) comune di decesso, 2) comune di residenza siccome la sepoltura o, meglio, l’inumazione, dovrebbe avvenire naturalmente nel comune in cui si è consumato l’exitus, ossia il decesso(evitando al cadavere inutili peregrinazioni e costosi giri di valzer da un comune ad un altro), o, in alternativa nel comune di residenza, siccome la funzione cimiteriale, pubblica e strutturata su base comunale ( Art. 824 Codice Civile, Art. 49 DPR n.285/1990, Artt. 337, 343, 394 Regio Decreto n.1265/1934, D.M. 28 maggio 1993) è sevizio principalmente rivolto alla popolazione del comune stesso (Art. 13 Decreto Legislativo n.267/2000).
Lo Jus Sepulchri, invece, (composto da Jus Sepeliendi, cioè diritto ad aver sepoltura per sè steesi, e Jus Inferendi Mortuum in Sepulchrum, ovvero diritto a dar sepoltura a qualcun altro, seppur nei limiti della consanguineità dello Jus Sanguinis) è una fattispecie tipica di un altro istituto di cui al capo XVIII DPR n.285/1990, cioè le sepolture private nei cimiteri.
E’ sepoltura privata qualsiasi destinazione per cadaveri umani diversa dall’inumazione in campo comune, per la durata corrispondente ad un turno di rotazione in quadra di terra (solitamente 10 anni) affinchè si compiano i processi di mineralizzazione dei tessuti molli, sino alla raccolta delle ossa (esumazione ordinaria di cui al Capo VXII DPR n.285/1990).
Le sepolture private, differenti dall’inumazione in campo comune per: 1) periodo legale di sepoltura 2) confezionamento del feretro (la tumulazione, che, sempre, si configura come sepoltura privata e dedicata, richiede ai sensi dell’Art. 77 DPR n.285/1990 la doppia cassa di legno e metallo di cui all’Art. 30 DPR n.285/1990) possono esser parimenti a sistema di inumazione o tumulazione (Art. 90 commi 1 e 2 DPR n.285/1990), esse, per il comune, costituiscono solo una facoltà, e mai un obbligo, debbono, quindi, esser espressamente considerate dal piano regolatore cimiteriale (Art. 91 DPR n.285/1990), così da non sottrarre spazio ai campi d’inumazione.
Lo Jus Sepulchri sorge ed è disciplinato dall’atto di concessione che viene stipulato dietro il versamento di un canone (Artt. 95 e 103 DPR n.285/1990) siccome una sepoltura privata è sempre a titolo oneroso per l’utenza. Lo Jus Sepulchri si sostanzia in un diritto di superficie su suolo cimiteriale o in un diritto d’uso su edificio cimiteriale o porzioni di esso.
Ogni singolo comune governa le concessioni cimiteriali con due fondamentali strumenti il piano regolatore cimiteriale (Artt. 54 e Segg. DPR n.285/1990) ed il regolamento comunale di poizia mortuaria (di cui ogni comune deve dotarsi ex Regio Decreto 8 giugno 1865 n. 2222, Art. 345 Regio Decreto n.1265/1934 e, soprattutto Art. 117, comma 6 III Periodo Cost.) dei quali la declaratoria sulle tariffe vigenti è ovvio corollario (Art. 1 comma 7 bis Legge 28 febbraio 2001 n. 26 e D.M. 1 luglio 2002).
Sulla scorta di queste considerazioni (verbose e prolisse, delle quali chiedo scusa) è senz’altro possibile scegliere la propria tomba in un diverso comune, purchè sul territorio italiano. Le procedure, sostanzialmente sono due: il soggetto ancora in vita per il tempo successivo alla sua morte:
1) Prenota, secondo il dettato del regolamento comunale di polizia mortuaria, la tomba (loculo, edicola, cappella gentilizia, colombario, tomba a sterro) acquisendone già da ora il diritto d’uso, oppure ottiene in concessione un’area del cimitero su cui costruire, a proprie spese, un sepolcro sibi familiaeque suae, ossia per sè e per la propria famiglia (Art. 93 DPR n.285/1990).
2) Nella scheda testamentaria (Libro II Codice Civile) esprime il desiderio di esser deposto in una particolare tomba e nomina un esecutore testamentario (Artt. 700 e seguienti Codice Civile) incaricato di adempiere questa sua ultima volontà. Tale esecutore testamentario porebbe esser anche un famigliare.
posso sceglie il luogo della mia sepoltura in un cimitero che non è il mio ma vorrei essere seppellito li cosa devo fare per ciò .
ti ringrazio anticipatamente
Esatto, è proprio così. Se la sepoltura è avvenuta eccedendo i limiti legali della concessione sibi familiaeque suae, ovvero la cosiddetta “riserva” siamo dinnanzi ad una tumulazione illegittima, in quanto “sine titulo”.
Tale irregolarità, oltre all’estumulazione d’ufficio potrebbe anche produrre la pronuncia di decadenza per mutamento unilaterale dei fini nel rapporto concessorio.
Ringrazio ancora “Necroforo” per la cortese sua risposta ai miei quesiti.
In conclusione, se ho compiutamente compreso il senso delle risposte, a proposito di familiari del fondatore del sepolcro familiare, il Regolamento di Polizia Mortuaria del mio Comune, ancorchè approvato nel 1915, poichè all’art. 29 recita: “Si intendono far parte della famiglia il consorte, gli ascendenti e discendenti in linea retta ed i germani”, non sarebbe in contrasto con la sopravvenuta disciplina del codice civile, della riforma del diritto di famiglia del 1975 e dello stesso Regolamento DPR 285/90 (in particolare art. 93).
Di talchè, non sarebbe stato lecito tumulare nel sepolcro familiare la salma del coniuge di una sorella del fondatore (che era celibe e non aveva discendenti in linea retta), e quella del coniuge di un nipote (figlio di una sorella del fondatore del sepolcro familiare).
La voltura della concessione non ha riflesso sui rapporti jure sanguinis e, di conseguenza, jure sepulchri già posti in eccere e perfezionati nel tempo, ossia il nuovo concessionario non può “sfrattare” dalla tomba i defunti già
da decenni ivi sepolti per il principio di stabilità delle sepolture, e per
la regola generale del tempus regit actum.
Chi è stato sepolto legittimamente in un dato sacello, contimua a godere di tale diritto anche se titolarità della tomba sia eventualmente variata in seguito a successione mortis causa.
I diritti acquisiti, in quanto tali, non sono suscettibili di atti ablativi,
ma continuano a produrre nel tempo i propri effetti giuridici, così il nuovo
concessionario potrà disporre del sepolcro limitamente allo spazio ancora
libero al fine di assicurare la tomba per sè e la propria famiglia (Art. 93
DPR 285/1990). Esempio: una tumulazione perpetua non ha scadenza, come
stabilisce la stessa formula linguistica, essa, infatti, è a tempo
indeterminato, ebbene io, quale nuovo concessionario subentrato, mettiamo
l’ipotesi, a mio padre fondatore del sepolcro, non posso ad arbitrio,
ridurre il periodo di sepoltura per un defunto tumulato in tomba eterna, al
fine di recuperar spazio per nuove sepolture destinate ai miei famigliari i
quali potrebbero anche non coincidere con i famigliari jure sanguinis di mio
padre.
In altre parole, il nuovo concessionario non può chiedere nè tanto meno
ottenere d’ufficio l’estumulazione dei feretri già tumulati, se questi
defunti ricevettero regolare sepoltura in base ad un diritto allora vigente,
siccome tra loro ed il primo concessionario intercorreva un vincolo di
consanguineità.
Alla concessioni cimiteriali si applica lo jus superveniens solo se
quest’ipotesi sia contemplata dall’atto di concessione in primis, ed, in
seconda istanza, dal regolamento comunale di polizia mortuaria.. In difetto
di disposizioni a tal proposito continueranno a valere le norme, ancorchè
abrogate, in vigore, però, all’atto della stipula della concessione.
Il DPR 10 settembre 1990 n. 285 abroga sì le disposizioni contrarie al
proprio articolato, ma non è per sua intima natura retroattivo: esempio: la
cremazione delle persone morte prima del 27 ottobre 1990, data in cui entra
in vigore il DPR 285/1990, continua ad esser regolata dal DPR 803/1975,
mentre per c hi sia deceduto dopo tale data trovano applicazione le
disposizioni più aperturistiche, in tema di cremazione, del DPR 285/1990.
Il Regolamento Nazionale di Polizia Mortuaria approvato con DPR 10 settembre
1990 n. 285 è una fonte del diritto di rango secondario ed è stato emanato
in attuazione del Regio Decreto n1265/1934 recante il testo unico delle
leggi sanitarie.Si apre un dibattito interessante, perchè il concetto di famiglia, da
applicarsi allo jus sepulchri dettato dai vecchi regolamenti di polizia
mortuaria, è molto distante dalla nostra sensibilità moderna.
All’epoca dell’emazione del Codice Civile vigeva una visione patriarcale emaschilista della famiglia, dove la donna era completamente sottoposta alvolere prima del padre, poi del marito.
La riforma del diritto di famiglia (Legge 19 maggio 1975, n. 151) ha
cambiato radicalmente il quadro di riferimento.
Secondo la dottrina prevalente, ma vi sono opinioni discordanti, la vecchianormativa (nel nostro caso un regolamento di polizia mortuaria risalente al1915) è nulla quando leda dei diritti costituzionalmente garantiti, come,appunto, la parità tra i due sessi: esempio: io, fascistissimo come sono, nego
a mia figlia, in quanto donna, il diritto di sepolcro., ma con questa
scellerata decisione compio un gesto di volontaria discriminazione, passibile di nullità in
quanto inficiata dalla Norma Costituzionale, ancorchè sopravvenuta secondo il principio fondativo, nel nostro ordinaqmento, della gerarchia rigida tra le fonti del diritto.
Ringrazio “Necroforo” per l’esauriente risposta datami circa la definizione di famiglia ai fini dell’estrinsecazione dello ius sepulcri, anche con riferimento all’art. 93 del DPR 285/90.
Con particolare riferimento al caso da me segnalato, mi preme precisare che il fondatore del sepolcro familiare (che, ripeto, era celibe e senza discendenti), non ha lasciato testamento olografo, ma ha lasciato testamento pubblico, con il quale ha disposto in prelegato dei suoi beni a favore di tutti i suoi fratelli gemani, e non ha nominato nessuno di essi erede universale.
Inoltre, dopo il decesso del fondatore del sepolcro familiare ( avvenuto nel 1994), nel 1997 il Comune ha provveduto a volturare -d’ufficio- la concessione del sepolcro familiare a favore di uno dei suoi fratelli germani superstiti, affinchè li rappresentasse tutti in via amministrativa. E con ciò applicando un articolo del Regolamento di Polizia Mortuaria del 1915.
Tanto premesso, potrebbe essere dichiarato dal Magistrato il Regolamento di Polizia Mortuaria del 1915 superato ed abolito dal DPR 285/90?