Un Comune riferisce di aver stipulato negli anni molteplici atti di concessione di area cimiteriale per la durata di 99 anni, con la clausola, in ciascuno di essi, del passaggio, specificamente, del diritto di uso relativo alla tomba di famiglia, alla morte del concessionario, agli eredi, con le modalità all’uopo previste. Il Comune chiede, dunque, se sia necessario reintestare il contratto specifico all’erede o se, invece, il contratto con il ‘de cuius’ operi nei confronti degli eredi senza necessità di variazione della titolarità.
Un problema di non poco conto riguarda la necessità di garantire, nel tempo, l’adeguata manutenzione e cura del manufatto sepolcrale, anche giusta il principio di imputazione sul risarcimento del danno ingiusto causato dall’eventuale rovina dell’edificio sancito dall’Art. 2053 Cod. Civile; ebbene questo obbligo grava in primis sul fondatore concessionario del sepolcro; al fine di assicurare la continuità dell’osservanza di tale dovere giuridico anche in seguito alla morte del fondatore/concessionario primo del sepolcro, è opportuno che gli aventi causa (o meglio i discendenti https://www.funerali.org/?p=283) del fondatore stesso si avvicendino al de cuius nella posizione del concessionario originario mediante il c.d. subentro o voltura della concessione amministrativa .
Autorevole dottrina ritiene che, ove l’istituto del subentro nella posizione del concessionario originario non sia contemplato in sede di regolamentazione comunale ovvero nell’atto di concessione del sepolcro, la morte del fondatore farebbe venir meno ogni figura di soggetto obbligato in base alla concessione.
Mentre il diritto al sepolcro in senso stretto (cioè diritto di natura patrimoniale sul corpus compositum di cui il sepolcro consta) con connessi oneri manutentivi, alla morte del concessionario, si trasferisce agli aventi diritto, non altrettanto accade per la concessione cimiteriale, cosicché si potrebbe determinare “una situazione per la quale il concessionario sia deceduto e non vi sia altro concessionario, mentre la proprietà” superficiaria dei manufatti si trasferisca agli aventi causa “i quali vengono ad avere l’onere della manutenzione, indipendentemente dal fatto che abbiano o meno acquisito diritti sulla concessione cimiteriale, primo dei quali lo jus sepeliendi”., ossia lo jus sepulchri attivo e passivo.
Si è, quindi, condivisibilmente rimarcata la centralità delle previsioni contenute nel regolamento comunale di polizia mortuaria, atteso che si potrebbero ipotizzare due schemi, tra loro alternativi, dalla cui scelta discendono conseguenze assai diverse:
1. «la limitazione del subentro per il solo diritto di jus sepulchri, ferma restando la posizione del concessionario (leggi, fondatore del sepolcro) nella persona originariamente individuata, cosicché l’individuazione delle persone destinate alla sepoltura nel sepolcro privato ex Art. 93 DPR n. 285/1990 è sempre valutata sulla base delle relazioni di parentela intercorrenti con il concessionario (fondatore del sepolcro) originario»;
2. ricorso al subentro nella posizione del concessionario, apparendo questa l’opzione da preferire poiché permette di ricondurre a unità il complesso di posizioni giuridiche che già facevano capo al concessionario originario, anche se finirebbe col dilatare a dismisura la platea degli aventi titolo di accoglimento nel sepolcro, i quali, in ogni caso, potranno esercitare questo loro diritto (o…legittima aspettativa) in base alla cronologia degli eventi luttuosi e sino al raggiungimento della massima capacità ricettiva del sepolcro stesso, stante il combinato disposto tra gli Artt. 87 e 93 comma 1 DPR n. 285/1990.
Sarebbe pertanto opportuno che i regolamenti comunali così come i singoli atti di concessione prevedessero che, alla morte del fondatore, subentrino nella posizione di concessionario dello spazio cimiteriale uno o più dei titolari dello jus sepulchri in senso stretto, su domanda degli stessi; decorso inutilmente un dato termine, ad es. di un mese, la P.A. concedente dovrebbe provvedere d’ufficio.
In giurisprudenza, si osserva che lo Jus Sepulchri origina dalla concessione amministrativa e attiene ad una fase di utilizzo del bene che segue lo sfruttamento del suolo mediante edificazione della cappella (Cons. St., n. 1330/2010).
In senso lato lo Jus Sepulchri sorge anche in forza di una concessione amministrativa avente come oggetto non già la mera area cimiteriale su cui erigere o, comunque, impiantare un sepolcro (a sistema di inumazione o tumulazione), ma il solo diritto d’uso su edificio sepolcrale o porzione dello stesso costruito dal comune, si veda a tal proposito, sotto il profilo tariffario da applicarsi estensivamente l’Art. 4 D.M. 1 luglio 2002 adottato conformemente all’Art. 5 comma 2 Legge 30 marzo 2001 n. 130.
La concessione di area per la costruzione di un sepolcro a sistema di tumulazione individuale instaura tra comune e concessionario un rapporto avente ad oggetto il diritto di uso dell’area, allo scopo di costruire il manufatto finalizzato, a sua volta, all’uso di sepoltura (artt. 90 e ss., D.P.R. n. 285/1990). Dalla concessione amministrativa derivano, infatti, diritti aventi significato oggettivo, specificamente il diritto di uso dell’area, il diritto cioè di erigere sulla superficie concessa manufatti sepolcrali e diritti di natura personale, specificamente lo ius sepulchri, ossia il diritto ad essere tumulato (o tumulare altri) nel sepolcro.
Il subentro nella concessione cimiteriale può essere circoscritto al solo diritto di ius sepulchri, ferma restando la posizione del concessionario (fondatore del sepolcro) nella persona originariamente individuata, ovvero può consistere nel subentro nello ius sepulchri ed anche nella qualità di concessionario, ampliando, di conseguenza, il novero delle persone titolari dello jus sepulchri.
Nell’operare l’una o l’altra scelta, risulta fondamentale il ruolo del regolamento comunale, anche per consentire un ottimale impiego di tutto il patrimonio cimiteriale già costruito
Autorevoli commentatori parlano di sistema ‘a concessionario “fisso” e di sistema “a concessionario mobile” o “scorrevole”.
La disciplina della concessione cimiteriale è attualmente contenuta nel D.P.R. n. 285/1990, il cui art. 90 dispone che ‘il comune può concedere a privati e ad enti l’uso di aree per la costruzione di sepolture a sistema di tumulazione individuale, per famiglie e collettività.
La concessione di area per la costruzione di un sepolcro a sistema di tumulazione individuale instaura tra comune e concessionario un rapporto avente ad oggetto il diritto di uso dell’area, allo scopo di costruire il manufatto finalizzato, a sua volta, all’uso di sepoltura (art. 93, D.P.R. n. 285/1990).
Dalla concessione amministrativa, osserva la dottrina derivano diritti aventi significato oggettivo, specificamente il diritto di uso dell’area, il diritto cioè di erigere sulla superficie concessa manufatti sepolcrali, di installare monumenti, lapidi e altri elementi decorativi, e diritti di natura personale, specificamente lo ius sepulchri, ossia il diritto ad essere tumulato (o tumulare altri) nel sepolcro.
Ciò premesso, venendo al quesito posto dal Comune concernente il subentro nella concessione cimiteriale, alla morte del concessionario e, specificamente, la necessità o meno di una nuova intestazione della concessione in capo all’erede, il ragionamento muove dalla gestione dell’istituto del subentro, rispetto alla quale in dottrina[5] si prospettano due soluzioni: la prima consistente nella limitazione del subentro per il solo diritto di ius sepulchri, ferma restando la posizione del concessionario (fondatore del sepolcro) nella persona originariamente individuata; la seconda consistente nel subentro nello ius sepulchri ed anche nella qualità di concessionario.
Nella prima ipotesi, il concessionario rimane il fondatore del sepolcro e sulla base delle relazioni intercorrenti con questo, anche se deceduto, vanno individuate le persone destinate alla sepoltura (titolari dello ius sepulchri), alle quali si trasferiscono gli oneri manutentivi/conservativi del sepolcro. Nella seconda ipotesi, invece, tali oneri si trasferiscono dal concessionario (fondatore del sepolcro) ai concessionari subentranti in occasione dei decessi dei concessionari ascendenti.
Per la scelta dell’una o dell’altra soluzione, la dottrina sottolinea il ruolo centrale e dirimente del regolamento comunale di polizia mortuaria, il cui silenzio dovrebbe far propendere per la il “meccanismo” successorio del fondatore originario quale unico concessionario, figura alla quale, anche nel post mortem si farà riferimento per stabilire la cosidetta “riserva” ex Art. 93 comma 1 DPR n. 285/1990, sempre che, questa, non sia già rigidamente definita e perfezionata nell’atto di concessione.
Nel caso di specie, l’espressa previsione (riferita dall’Ente), nei singoli contratti di concessione stipulati dal Comune, del passaggio del ‘diritto d’uso’ dal concessionario, al momento della sua morte, all’erede sembra far ritenere che l’Ente Locale abbia optato per la prima strada, e cioè per il subentro degli eredi nel solo diritto di uso, ferma restando la posizione del concessionario originario (fondatore del sepolcro). Sulla base di una regolamentazione comunale in tal senso, non sembrerebbe doversi procedere da parte dell’Ente alla voltura/nuova intestazione della concessione.
Sussiste una cappella gentilizia costruita dal sig. X, in occasione della morte di sua moglie, nel 1930.
Il sig X si risposa con la sorella del nonno del mio cliente.
In tale date la cappella era già stata realizzata ed all’ interno vi sono già altri parenti defunti del sig. X.
Alla sua morte, non avendo figli lascia tutto in eredita ad un Ente ecclesiastico.
Tale cappella gentilizia, però non viene donata all’ Ente ecclesiastico, perchè evidentemente non si poteva donare.
La seconda moglie del sig. X, successivamente, quando muore, viene anche essa ospitata in tale cappella, come come pure suo fratello, ovvero il nonno del mio cliente.
La cappella è a 2 piani, di cui al primo piano ospita la prima moglie del sig. X ed altri suoi parenti, completamente scollegati da asse parentale con il mio cliente, mentre al piano terra vengono messe le tombe della seconda moglie del sig. X e di suo fratello, ovvero il nonno del mio cliente.
La cappella, nella parte superiore del secondo piano, comincia a deteriorarsi.
Pertanto il comune richiede al mio cliente di procedere con urgenza, con la sua ristrutturazione, per motivi di sicurezza pubblica.
Nella parte superiore di tale cappella, sono tumulate persone che non centrano nulla con il ceppo parentale del mio cliente, perché si tratta della prima moglie ed altri parenti del sig. X, i quali hanno tutt’altro ceppo parentale.
Le persone in vita di tale ceppo parentale, risiedono in altri zone di Italia, ed attualmente sono irreperibili, per il comune.
Pertanto il comune intima al mio cliente ed i suoi parenti in linea retta, di procedere entro una certa data, con il ripristino immediato di tale cappella, non riuscendo a contattare gli altri parenti dell altro ceppo parentale.
Il mio cliente, si rifiuta di procedere, perché non esiste nessun titolo, che attesta dei diritti proprietari, su tale cappella.
E nel caso un domani si presentano i parenti dell’altro asse parentale, molto pi vicini al sig X, potrebbero anche esporre denuncia per aver fatto delle opere su un bene senza averne titolo.
I lavori vengono comunque svolti con qualche mese di ritardo, dai parenti n linea retta del mio cliente.
Ma il Comune invia lo stesso al Giudice una denuncia per ritardo nell’ esecuzione dei lavori, il quale dispone di una multa per il mio cliente ed i suoi parenti.
A tale multa il mio cliente fa ricorso, perché non esiste nessun titolo che attesta che il mio cliente ha dei diritti, su tale cappella, se non il fatto che nel piano inferiore, è deposto suo nonno ed inoltre il Comune avrebbe prima dovuto inviare la richiesta di ripristino di tale cappella all’altro ceppo parentale, molto pi titolato e vicino al sig. X, nonostante difficilmente reperibili.
Il giudice a risposta di tale ricorso, emette processo breve con condanna penale, da eseguirsi a fine anno, per il mio cliente ed i suoi parenti, perché con il ritardo hanno messo in pericolo la collettività, non ristrutturando entro i termini stabiliti del comune, tale cappella.
E’ possibile incardinare una difesa, da tale condanna penale prossima ?
E’ pervenuta una comunicazione da parte di una signora titolare di due distinte concessioni di loculi perpetui con la quale si indicano per ciascun loculo i nipoti quali eredi.
E’ legittima e sufficiente tale comunicazione affinché il Comune provveda a variare la l’intestazione dei contratti a nome dei beneficiari indicati?
X Comune di XYZ
No, la risposta è tassativamente negativa: ex Art. 823 Cod. Civile i sepolcri tutti, quali beni demaniali sono sottratti agli atti a contenuto negoziale per acta inter vivos o persino mortis causa, l’Art. 71 commi 2 e segg. del R.D. n. 1880/1942 con cui il legislatore lasciava ancora spazio ad un’interpretazione in chiave patrimonialistica delle tombe con conseguente legittimità degli atti di disposizione su quest’ultime è infatti stato abrogato dal DPR n. 803/1975 le cui norme, incompatibili con la precedente disciplina e dunque prevalenti in quanto successive sono replicate dal vigente Regolamento Nazionale di Polizia Mortuaria approvato con DPR n. 285/1990.
L’unica forma di successione mortis causa ammissibile per la voltura di una concessione cimiteriale è rappresentata dall’istituto del subentro, se contemplato dal regolamento comunale di polizia mortuaria, il quale, però, opera di default, senza quindi necessitare di una particolare volontà in questo senso da parte del concessionario primo.
Si rammenta come l”avvicendamento nell’intestazione di un sepolcro privato, quali sono le tumulazioni tutte, trattandosi lo Jus Sepulchri di un diritto personalissimo, possa avvenire solo per linea di consanguineità e sia completamente disgiunto dalla sorte del patrimonio del de cuius.
Certo, il testatore potrebbe disporre del diritto di sepolcro in sé, ossia della componente materiale sui loculi (lapidi, arredi votivi…) lasciando così in eredità NON il diritto d’uso sugli stessi, ma solo gli oneri manutentivi, cioè gli aspetti passivi ed obbligazionari del rapporto concessorio.
Secondo la Suprema Corte di Cassazione, almeno, lo Jus Sepulchri da famigliare – jure sanguinis- si tramuta in ereditario, seguendo le ordinarie regole del trapasso patrimoniale, solo “quando” e “se” si sia estinta la famiglia, secondo la definizione datane dal regolamento comunale, dell’originario concessionario.
X Angelica,
domandone da 1.000.000 di $: Suo zio è deceduto, ma il Suo comune come disciplina l’istituto del subentro? Lo ammette o no? Ossia c’è stata la voltura della concessione, se sì, a favore di chi? Il rinvio d’obbligo è alla regolamentazione comunale, perché solo in questa sede si possono ponderare i possibili effetti di un eventuale subentro.
L’intestazione di un sepolcro, di norma, non segue l’asse ereditario, cioè le classiche regole della successione mortis causa, perché essendo lo jus sepulchri un diritto prima di tutto personale (e, poi anche reale e patrimoniale, come spesso ci ricorda la Suprema Corte di Cassazione) l’avvicendamento nella titolarità di quest’ultimo avviene prevalentemente jure sanguinis o jure coniugii e non jure haereditatis.
Dai fatti esposti, leggo così la Sua situazione (posso anche prendere una cantonata mostruosa, ma il mestiere di leguleio beccamorto, che indegnamente esercito, m’impone di rischiare): la morte del fondatore del sepolcro ha prodotto uno “spacchettamento” in frazioni eguali (tra il coniuge superstite e le figlie nate dal primo matrimonio del de cuius) nella titolarità della concessione, dalla quale origina pur sempre una comunione indivisibile e solidale tra i coo-intestatari ed ora le due figlie di cui sopra forti del loro jus inferendi mortuum in sepulchrum, vogliono traslare la spoglia mortale della madre, nella tomba costruita dal padre, ma durante il suo secondo matrimonio. Innanzi tutto l’ingresso di un feretro in un sepolcro privato e gentilizio, ex Art. 102 del Regolamento Nazionale di Polizia Mortuaria, è sempre subordinato a previa autorizzazione comunale, nel senso che l’ufficio della polizia mortuaria deve prima verificare, attraverso apposita istruttoria, la sussistenza del titolo d’accoglimento. A questo proposito, chiedo io, il comune si è già pronunciato? Sarebbe utile conoscere l’orientamento della locale Autorità Amministrativa. Le due figlie, se e solo se sono divenute coo-titolari, pro quota, della concessione, hanno il diritto di tumulare la loro defunta madre nella tomba paterna che a questo punto sarebbe legittimamente anche loro, in quanto subentrate all’originario concessionario, com’è naturale, però, lo jus sepulchri ex Art. 93 comma 1 II Periodo DPR 10 settembre 1990 n. 285 si esercita sino al raggiungimento dalla massima capacità ricettiva del sacello mortuario, oltre la quale si estingue, proprio per la mancanza di spazio. E’ sempre importante rispettare la cosiddetta lex sepulchri, ossia la destinazione (famigliare o ereditaria) che il concessionario primo, ovvero il fondatore del sepolcro, ha voluto imprimere alla tomba, attraverso la stipula dell’atto di concessione. Anche il Giudice, se adito, in sede civile, per dirimere la controversia, non potrebbe prescindere da questi aspetti sostanziali e non solo procedurali.
Mi perdoni ma mi è appena sorto un dubbio. Un domani quando non ci sarà più nemmeno mia zia, nn avendo avuto figli con mio zio, noi nipoti possiamo far rispettare il volere di mio zio è di mia zia di nn far portare dalle figlie la loro madre nel sepolcro?
Non si tratta di un’eventualita’ma di una tragica realtà in quanto le figlie appellarsi al diritto di essere eredi del padre deceduto vogliono spostare la salma della madre deceduta ormai da più di 30anni nel sepolcro costruito dal padre e dalla seconda moglie. Volevo precisare che nell’ atto di concessione lo zio fece scrivere che costruiva il monumento per i propri famigliari. A questa precisazione allego tutto quello che le ho detto prima circa la concessione ottenuta dopo la morte della prima moglie e prima di convogliare a nozze con la seconda moglie con la quale ha poi provveduto alla costruzione. Le chiedo inoltre se esiste una normativa alla quale far riferimento. La ringrazio per la sua tempestività nella risposta è per la sua chiarezza.
Il solo concessionario è lo zio. Ma essendo stato concessionario dopo la morte della prima moglie e avendo costruito durante le seconde nozze con mia zia, la prima moglie deceduta, ad oggi può essere essere spostata per volere delle figlie e nn per volere del padre deceduto e di mia zia ancora in vita?
X Angelica,
no, non è possibile. Le figlie nate dal primo matrimonio non hanno questo potere, che, in primis, spetta al coniuge superstite, cioè a Suo zio, almeno sino a quando non dovessero subentrare, alla morte del padre, nella titolarità del sepolcro o di quote dello stesso, quando si dovesse addivenire ad uno “spacchettamento” in frazioni dello Jus Sepulchri. L’ipotesi è remota, perché, anche in caso di morte di Suo zio sarebbe, comunque, la seconda moglie a succedergli nel rapporto concessorio instauratosi. E poi perché dovremmo proprio pensare a questa tragica eventualità?
Salve, volevo altri chiarimenti riguardo il problema prima da me esposto. Abbiamo rilevato i documenti circa la concessione del terreno cimiteriale. Questo terreno è sta dato in concessione allo zio dopo la morte della prima moglie e costruito poi durante le seconde nozze con mia zia. Cosa spetterebbe dunque a mia zia?
X Angelica,
Esordisco, a mia volta, con una domanda “pettegola”! Dall’attenta lettura dell’atto di concessione che Lei avrà senz’altro consultato chi risulta nominalmente titolare della concessione: magari solo Suo zio?
Sarebbe interessante sapere questo dettaglio non di poco conto, perché al momento costitutivo della concessione di cui all’?art. 90 dPR 10 settembre 1990, n. 285 non sussistono difficoltà al fatto che essa possa avvenire nei confronti di più persone, anche se non appartenenti ad un’?unica famiglia, ma in tal caso occorrerebbe avere l?’avvertenza di regolare i rispettivi rapporti, tra i diversi concessionari, o di prevedere, meglio se espressamente, la loro titolarità indistinta, lasciando che l?’utilizzo sia determinato dagli eventi luttuosi. In tale evenienza, le persone che possono essere accolte nel sepolcro privato così concesso sono pur sempre le persone dei concessionari e dei membri delle loro famiglie, quali definite a tale fine dal Regolamento comunale e/o dall’?atto di concessione. Dalla situazione rappresentata sembra, però, che la concessione sia già stata rilasciata, altrimenti non avrebbe senso parlare cappella cimiteriale già edificata si deve, allora, considerare come essa non possa più essere modificata, almeno unilateralmente da parte dei concessionari, se non attraverso una novazione, di comune accordo con l’Autorità Amministrativa concedente, delle obbligazioni sinallagmatiche contratte.
Nella fattispecie, se Sua zia ha materialmente contribuito alla realizzazione del sepolcro, sostenendo parte delle spese necessarie all’effettuazione dei lavori, anche se nominalmente la concessione è intestata solo al coniuge (= Suo zio) si dovrebbe ragionare in termini di contitolarità sul manufatto cimiteriale, dalla quale origina, ad ogni modo, una particolare forma di comunione; in questo frangente, invero nemmeno troppo remoto Sua zia sarebbe anche, per la quota di propria spettanza, proprietaria, in quanto concessionaria al pari del marito, del bene sepolcrale, o meglio del corpus di opere murarie e degli arredi votivi che compongono la tomba, con annessi oneri manutentivi ex Art. 63 DPR n. 285/1990. Agli effetti concreti, se non per un problema di vile denaro (chi, tra moglie e marito, a questo punto, pagherà i costi di eventuali riparazioni?) non cambia niente, siccome Sua zia, in quanto a sua volta concessionaria, o in forza del rapporto di coniugio che intrattiene con il fondatore del sepolcro, è pur sempre portatrice dello Jus Sepulchri, inteso nella sua duplice facoltà di esser sepolti o dar sepoltura in quel determinato sacello mortuario.
È stato gentilissimo e molto chiaro! La ringrazio
X Angelica,
A l’alta fantasia qui mancò possa, come direbbe l’Alighieri dinanzi al mistero divino…quesito bello “tosto” il Suo, anche perché l’ultima integrazione ha mutato non poco il quadro di riferimento. Non saprei come risponderLe, se non che quel demone funerario che da sempre mi tormenta l’anima, senza consentirmi tregua di sorta nel mio eterno peregrinare lungo le strade tutte curve dello scibile mortuario oggi mi ha condotto sino all’abisso di sovrumana quiete e profondissimi silenzi ove per poco il cor non si spaura secondo il celebre verso leopardiano, così vagando per un cimitero del suburbio, in attesa delle ennesimo excessus mentis (=sballo metafisico!) di dantesca memoria, mi sono sovvenute (in stile tempesta ed impeto tanto caro alla poesia romantica tedesca) queste considerazioni:
Nella fattispecie concreta, il problema da Lei Posto verte su questo punto di diritto: come si interpreta il paragrafo 14.2 della Circ. Min. n.24/1993 da leggersi estensivamente non solo per la cremazione, ma per tutti gli atti di disposizione del post mortem? Mi spiego meglio: X e Y sono sposati regolarmente: X premuore e Y, quale coniuge superstite, contrae legalmente nuove nozze. Ora Y mantiene oppure no, secondo principio di poziorità, la potestà decisionale sulla sorte della spoglia mortale di X?
Io in archivio ho reperito una sola sentenza del 1930, quindi un po’ vetusta, e soprattutto precedente sia l’approvazione del Cod. Civile attualmente in vigore, sia della riforma sul diritto di famiglia del 1975, secondo cui lo jus sepulchri, se ci si risposa dovrebbe automaticamente decadere.
Mi spiego meglio: Al momento del decesso della prima moglie, Suo Zio era il coniuge (situazione che, per ovvie ragioni, difficilmente muta).
Il fatto che si sia risposato o altro ha cambiato la sua personale posizione giuridica attuale, ma non il fatto che questi fosse il legittimo coniuge al momento del decesso dell’altra moglie oggi deceduta.
Conseguentemente, la titolarità a disporre della salma della prima moglie , o di quanto ne rimanga, sarebbe pur sempre di Suo zio, escludendo i parenti, anche quelli nel grado più prossimo (Le figlie). Ma se Suo zio è fermamente contrario a traslare la spoglia mortale della prima moglie nella nuova tomba di famiglia costruita anche con l’apporto economico del attuale moglie la questione non si pone e le figlie nate dal primo matrimonio non hanno titolo alcuno per esercitare lo Jus Sepulchri, almeno sino a quando non subentrino al padre, jure sanguinis o jure haereditatis, nell’intestazione della cappella divenendo a loro volta coo-titolari della concessione o, comunque, di quote dello Jus Sepulchri qualora quest’ultimo dovesse esser “spacchettato” in più frazioni.
La ringrazio per la risposta ma nel quesito precedente nn mi sono spiegata bene. Mio zio si è risposato con mia zia in seconde nozze ma era già vedovo, aveva perso la moglie 5 anni prima di sposare mia zia. A questo allego il quesito precedentemente proposto. La ringrazio