La Corte europea dei diritti umani ha condannato la Svizzera per aver violato il diritto di una richiedente l’asilo algerina di vedere seppellito degnamente il suo bambino nato prematuro.
Nel 1997 la donna, dopo 26 settimane di gravidanza, aveva partorito un bambino senza vita. In un primo momento, sotto shock, i genitori avevano rifiutato di vedere nuovamente il cadavere, che su iniziativa di due assistenti sociali era stato quindi seppellito senza cerimonie in una zona del cimitero di Buchs (AG) per neonati venuti al mondo morti.
Circa un anno più tardi la salma era però stata riesumate, trasportata al nuovo domicilio della coppia di Ginevra e lì seppellita di nuovo, con un funerale cattolico, il tutto su iniziativa della madre, che aveva anche coperto i relativi costi. In precedenza la donna aveva anche denunciato i funzionari per abuso di autorità e perturbamento della pace dei morti: il procedimento era però stato archiviato, perché gli interessati non avevano agito in mala fede. L’interessata aveva allora chiamato in causa la giustizia argoviese e in seguito il Tribunale federale, senza però ottenere successo.
Di altro avviso si sono mostrati invece i giudici di Strasburgo, che hanno ravvisato una violazione dell’articolo 8 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo (CEDU), che garantisce il rispetto della vita privata e famigliare. Secondo la corte i funzionari non hanno rispettato la legge e il regolamento del cimitero di Buchs, che impone una consultazione dei famigliari. Il fatto che abbiano agito in buona fede non libera comunque la Svizzera dal rispetto dalla CEDU, sostiene il tribunale. La ricorrente si è quindi vista attribuire 3000 euro di indennità di torto morale e 5000 franchi quale risarcimento per i costi preocessuali. (Sentenza nel procedimento 55525/00 del 14.2.2008).
Fonte: www.ticinonews.ch
E’interessante un esame a rime parallele” con la situazione italiana.
I punti da esaminare sono sostanzialmente:
1) fattispecie medico-legale del “nato morto”.
2) diritto di sepolcro per feti e prodotti abortivi.
3) trasporti mortuari correlati
Nella legislazione vigente in Italia la differenza tra “aborto” e “nato morto” è posta a 180 giorni di età gestazionale, mentre l’Organizzazione Mondiale della Sanità ha proposto di introdurre il limite di peso in sostituzione della età gestazionale, considerando per le statistiche di mortalità perinatale tutti i nati vivi o morti con peso eguale o superiore ai 500 grammi.
Il DPR 10 settembre 1990 n. 285 ricorre ad una terminologia piuttosto variegata ragionando in termini di “feti”, Q”prodotti abortivi” o ancora “prodotti da concepimento”.
L’art. 7 D.P.R. 10 settembre 1990, n. 285 non individua il termine di presunta età di gestazione di 22 settimane (termine presente in altre legislazioni, es.: quella francese), quanto tre ipotesi di presunta età gestazionale (meno di 20 settimane, tra le 20 e le 28 settimane, oltre le 28 settimane). Inoltre, tale disposizione attribuisce alla competenza dell’ASL le autorizzazioni al trasporto ed al seppellimento (comma 2), prevedendo la sola modalità della sepoltura ad inumazione, ciò sembrerebbe condurre alla sola possibilità del ricorso allo smaltimento tramite interro, escludendosi (sulla base del dato strettamente testuale) la pratica della cremazione, specie considerando come il D.P.R. 10 settembre 1990, n. 285 distingua nettamente la cremazione dalle altre forme di sepoltura, anche se una lettura più progressista del D.M. 1 luglio 2002 emanato per implementare alcuni disposti della Legge 30 marzo 2001 n. 130 sembrerebbe riconoscere pari dignità e libertà d’accesso a tumulazione, inumazione e cremazione.
Il discrimen fondamentale, allora, è: Feto o nato-morto?
Nella seconda eventualità (nato-morto) c’è la parificazione assoluta con il concetto di “cadavere” (ossia corpo umano privo delle funzioni vita), e si seguono le perculiarita’ dell’art. 73 dPR 285/1990, per la tipologia delle fosse.
Nel primo caso, si applica, invece, l’art. 7 DPR 285/1990 e l’inumazione dovrebbe avvenire nel comune di espulsione, anche se non puo’ dimenticarsi l’art. 50, lett. d) DPR 285/1990 o proprio tenendone conto: infatti, il feto va accolto in quanto ‘nel’ comune e non si puo’ fare riferimento alla residenza nel comune, la quale presuppone la capacita’ giuridica (art. 1 CC), non sorta e, mancando questa, non potrebbe essere accolto neppure in sepolcri privati esistenti nel comune, almeno secondo una certa parte della dottrina.
L’inumazione può addirittura esser massiva, venendo a mancare lo stesso presupposto di unicità ed individualità della tomba dettato dall’Editto Napoleonico di Saint Cloud e formalizzato in norma giuridica positiva dall’Art. 74 DPR 10 settembre 1990 n. 285.
Tra l’altro un prodotto abortivo non è oggetto delle registrazioni di stato civile, per cui non sussiste “titolo” probatorio della cittadinanza, al limite ci si potrebbe riferire alla madre (sussistendo con essa rapporto giuridico di filiazione).
Per la tumulazione si è più possibilisti, in quanto essa, quale sepoltura privata, il cui diritto origina da una concessione amministrativa, è pur sempre l’estrinsecazione di un atto di disposizione in termini di affetti famigliari, pietas e diritti ersonalissimi proiettati nel post mortem.
Per operazioni cimiteriali dopo l’avvenuta sepoltura, prescindendo, quindi, dalla correttezza amministrativa (un tempo, si parlava di “legittimita” …), se la sepoltura (si immagina, ad inumazione) sia avvenuta nel comune anche se diverso da quello di espulsione) dovrebbe (anzi: deve) risultare dai registri di cui all’art. 52 dPR 285/1990.
Comunque non vi e’ un periodo particolare di moratoria (fatto salvo l’Art. 84 DPR 285/1990) per provvedere all’esumazione richiesta, se non quella, solita, quando siano trascorsi ordinariamente i 10 anni
Altrimenti si e’ in presenza di esumazione straordinaria (art. 83 dPR 285/1990); in altre parole, puo’ mutare la misura della tariffa cui la richiesta dell’operazione sia sottoposta (in genere la tariffa dell’esumazione c.d. straordinaria e’ diversa, e maggiore, rispetto a quella stabilita per l’esumazione ordinaria, cioe’ per quella che avviene dopo i 10 anni del turno ordinario di rotazione.
A volte, pero, tali esumazioni possano non portare a debito esito, in quanto potrebbe essere possibile che, in sede di esecuzione dello scavo, non si rintracci nulla, se non rifiuti cimiteriali (ex Art. 2 comma lettera e) DPR 15 luglio 2003 n. 254) ben diversi e sempre distinti dalla spoglia mortale a seguito di una completa mineralizzazione di tutte le componenti organiche.
Per il trasporto e mezzi relativi impiegabili: non e’ possibile una risposta a priori, ma se si tratta di un cadavere opera sempre l’art. 20 dPR 285/1990; se fossero decorsi 10 anni e potesse considerarsi che quanto si rinvenga entri nella definizione di cui all’art. 3, 1, lett. b) dPR 15/7/2003, n. 254, si potrebbe anche ammettere che non siano necessari i mezzi di cui al citato art. 20 e che il contenitore possa non essere quello proprio previsto per il trasporto (e, quindi, sepoltura) di cadavere. Ma occorrerebbe anche vedere che, e in quali condizioni, si rinvenga.
Nei confronti del “nato morto” A norma dell’art. 7, comma1, del DPR 285/1990, si eseguono le medesime disposizioni, contenute negli articoli precedenti dello stesso DPR 285/1990, dunque per il trasporto si dovranno osservare le stesse modalità prescritte per gli altri cadaveri e quindi non potrà essere trasportato dai genitori o con altro veicolo non a norma. Per la dichiarazione di nascita occorre ricordare che l’art. 30 c. 5 del DPR 396/2000 prevede che debba essere resa esclusivamente all’ufficiale di stato civile del comune di nascita (con le modalità di cui al 1° comma del medesimo art. 30). Per la sepoltura dei prodotti abortivi occorre far riferimento all’art. 7, comma 2 e seguenti, del DPR. 285/1990 (G.U. n. 239 del 12/10/1990) ed al paragrafo 5.2 della circolare del Ministero della Sanità n. 24 del 24/6/1993 (G.U. n. 158 del 8/7/1993) che prevede che i trasporti di prodotti abortivi siano autorizzati dall’A.S.L.