Il concessionario (o, un concessionario) non ha titolo, una volta stipulato l’atto di concessione, a deliberare sulla sorte del sepolcro per acta inter vivos, o di singoli posti, meno ancora di consentire la tumulazione di persone terze, fatti salvi i casi di convivenza di cui all’art. 93 comma 2 D.P.R 285/90 (si trascura la classificazione di persone benemerite per il concessionario, trattandosi di deroga “calcolata” che interviene solo se ed in quanto il regolamento comunale di polizia mortuaria espliciti in via complessiva, ma altresì molto capillare, i relativi criteri per il riconoscimento di tale status ex Art. 93 comma 2 DPR 285/90). Il concessionario è semplicemente titolare del diritto di uso, con l’ulteriore restrizione del “sibi familiaeque suae”.
Egli può solo, con atto unilaterale, abdicativo e non ricettizio[1] (si tratta pur sempre di un diritto di rilevanza anche reale e patrimoniale, oltreché personale) rinunciare al rapporto concessorio, provocandone la prematura cessazione, con relativi oneri di riattamento del sepolcro a proprio carico, cosicché la tomba rientri nella piena disponibilità del comune, e questi possa nuovamente riassegnarla. Il diritto di decidere sulle spoglie mortali inerisce a tutt’altra relazione giuridica e si colloca sul piano dei diritti personali di pietas.
Quando non vi sia sovrapposizione tra queste due diverse legittimazioni, il concessionario non può ostacolare o, per converso, imporre l’atto disposizione sulle spoglie mortali verso chi ne sia titolare, coartando la sua libertà di agire. Sempre facendo salve eventuali particolari previsioni del regolamento comunale, specie per quanto riguarda gli aspetti del procedimento, il titolo a disporre della salma/cadavere/resti mortali, in quanto diritto della personalità, prevale sulle posizioni giuridiche concernenti il sepolcro (come mero manufatto) le quali sono solo funzionali al diritto (personale) di dare o ricever sepoltura. La salma che sia stata tumulata in un dato sepolcro privato (come sono tutte le tumulazioni) in quanto appartenente alla famiglia del concessionario non diventa, per questo, sottratta al titolo di disposizione dei familiari più stretti.
Forse, si dovrebbe separare lo stato del titolare del sepolcro rispetto ai diritti di disposizione della salma/resti mortali. Questi ultimi, in quanto diritti della persona, sono riconosciuti e riconducibili solo al coniuge superstite (jure coniugii) o, in difetto di quest’ultimo ai parenti secondo il grado di maggior prossimità e, quando costoro siano più di uno, tutti gli aventi diritto a pronunciarsi debbono esser attivamente coinvolti ex art. 79 comma 2 D.P.R. 285/90. Di solito il regolamento comunale attribuisce al concessionario un diritto di disposizione (autorizzazione) sullo Jus Sepulchri, rispetto alle persone appartenenti alla famiglia, solo ed unicamente “in ingresso”, ossia in relazione all’accoglimento dei feretri nella sepoltura stessa, si pensi estensivamente all’art. 102 D.P.R. 285/90 e tale autorizzazione deve esser accuratamente vagliata dal Comune, per impedire eventuali abusi. ai sensi dell’art. 92 comma 4 D.P.R 285/90.
Comunque, quando tra più familiari, parimente titolati (= aventi diritto, cioè portatori dello Jus Sepulchri) insorgano ostilità, spetta solo a quest’ultimi risolvere la controversia, magari dinanzi al Giudice, in sede Civile, rimanendo il comune estraneo ai contenziosi “endo-familiari”. La titolarità della cappella, dunque non ha necessariamente, ed in modo automatico, attinenza con la titolarità a disporre delle salme, che sono/saranno estumulate alla scadenza della concessione (art. 86 comma 1 D.P.R. 285/90) (oppure mai estumulate, se si tratti, come prima dimostrato, di concessione perpetua); anzi, questi diritti possono, spesso, divergere tra loro ed un’eventuale richiesta di riduzione dei resti mortali potrebbe anche essere percepita come una violazione al modus di conservazione delle spoglie mortali (c.d. “tomba chiusa”) imposto con una precisa clausola dell’atto di concessione: in capo ai nuovi concessionari persisteranno, fino alla scadenza della concessione, sine die, in questo frangente, unicamente tutti gli oneri di manutenzione ex art 63 comma 1 D.P.R. 285/90 e art. 2053 Cod. Civile).
[1] Sulla questione posta, tenderei a vedere la rinuncia come un atto personale, dove l’eventuale accettazione (o come possa chiamarsi) da parte del concedente assume un carattere meramente dichiarativo.