Lo jus sepulchri, quale unico diritto proiettato nell’oscuro post mortem, quando cessa la capacità giuridica quindi, come ampiamente dimostrato in dottrina, si risolve solo in una legittima aspettativa, meglio, dunque, esser previdenti!
Di conseguenza, potrebbe ancora puntualizzarsi che diritto sul sepolcro ejus sepeliri costituiscano due sfaccettature, o passaggi di piano, strettamente correlati, della medesima posizione giuridica, fra l’altro essi s’estinguono entrambi, con riguardo a ciascun singolo titolare, al momento della morte, e cioè quando dovrebbe aversene l’esercizio nella maniera più completa, con la tumulazione della salma dell’avente diritto nella nicchia spettantegli.
Soccorre allora lo jus mortuum inferendi in sepulchrum, che consta delle capacità relative al compimento degli atti necessari affinché il cadavere sia tumulato o inumato nel sepolcro per lui destinato o prescelto.
Tale ultimo diritto (già sorto in vita, in forza della concessione rilasciata, in capo al soggetto – ora da seppellire, (in riferimento ai familiari che gli premuoiono) trova riscontro, all’atto dell’exitus del titolare del diritto primario, nei familiari ex lege sepulchri o, se il sepolcro è monoposto, nei medesimi soggetti titolari dello jus eligendi sepulchrum.
È notorio come il diritto a decidere del proprio corpo dopo la morte sia personale e le spoglie umane non siano considerate di proprietà pubblica.
La personalità del diritto è esercitata nel rispetto delle norme di salute pubblica, di morale e di ordine pubblico che diversamente inficiano l’efficacia della volontà del de cuius.
È ovvio, poi, constatare che il seppellimento attraverso l’incenerimento del proprio corpo richieda una più sicura e rafforzata volontà del defunto, da far emergere attraverso apposita istruttoria, rispetto alla modalità più classica di seppellimento ad inumazione, ove vige una presunzione assoluta per motivi igienici di interesse pubblico, o tumulazione, la quale ha, come premessa necessaria l’acquisto del tumulo, configurandosi sempre essa come un sepolcro privato nel cimitero ex Capo XVIII D.P.R. 285/1990.
Lo jus eligendi sepulchrum si rende, allora, nel potere di stabilire la località, il punto e la tecnica di sepoltura (pure per ignizione!) della salma di una determinata persona.
Tale diritto, che trova il suo fondamento nelle esigenze di devozione e di culto verso i defunti, compete innanzitutto alla stessa persona e, solo in mancanza di una precisa electio sepulchri, può essere fatto valere dal coniuge e dai congiunti più prossimi e in loro assenza dai successori jure haereditatis dello scomparso.
Diversi sono i profili di “cittadinanza” pleno jure che il nostro Ordinamento Giuridico accorda all’emozione etico-sociale della pietà verso i defunti ed in primo luogo al diritto che il corpo dell’estinto trovi giusta e pietosa collocazione in seno alla terra o in appositi manufatti, secondo i principi morali od il culto e la tradizione religiosa, senza dimenticare mai la cremazione con i suoi istituti corollario introdotti dalla L. 130/2001, e variamente declinati nelle diverse … e molto critiche, esperienze delle legislazioni regionali, come affido famigliare (o personale) delle ceneri o ancora la dispersione delle stesse in natura o all’interno del cimitero (cinerario comune o giardino delle rimembranze).
Ad avviso della dogmatica più illustre e preclara con il nomen juris, rigorosamente in lingua latina, di “jus sepulchri” si tratteggia una figura giuridica eclettica, poliedrica e sin anche eterogenea (… un diritto al plurale?), comprendente atti: sul sepolcro, nel senso di costruire, nel tempo, un dato sistema di successione nel sepolcro (ius eligendi legem sepulchri, leggasi: atti di gestione sul sepolcro), di seppellimento per sé, di inumare o tumulare i propri defunti (jus mortuum inferendi), di visitare la tomba e onorare i morti con gesti di pietà (diritto secondario di sepolcro), oltre al diritto di scelta del sepolcro per sé o per altri (jus eligendi sepulchrum), del quale ci occuperemo, brevemente, in questa sede.
Anche se appartiene allo stesso novero di riconoscimento e protezione legale, lo jus sepulchri non deve essere sovrapposto indebitamente o confuso con lo jus eligendi sepulcrum i cui figura, a volte, quale riverbero indiretto, si pensi, ad esempio, al sepolcro gentilizio fondato, dal concessionario primo, appunto sibi familiaeque suae o ancora sibi et haeredibus suis.
Questo secondo consiste nel diritto della persona di disporre della propria salma, libertà di cui il soggetto ancora vivente, in rapporto al proprio futuro cadavere inteso come res extra commercium, può servirsi nei termini del potere di deliberare circa il trattamento da riservare allo stesso (inumazione o tumulazione o cremazione) e le modalità e l’ubicazione della sepoltura, nel rispetto dei limiti imposti dalla Legge, dall’ordine pubblico (art. 340, comma 1 T.U.LL.SS.?) e dal buon costume.
In quest’ultimo caso lo jus eligendi sepulcrum può essere tradursi fattivamente in un atto tra vivi o nel testamento, mentre nel silenzio del de cuius, il diritto si trasmette ad alcuni congiunti superstiti, individuati, nell’ordine “pozioristico”, in base allo jus coniugii, allo jus sanguinis, secondo il rapporto di vicinanza col defunto ed infine, almeno secondo alcuni giuristi (ma altri studiosi si orientano su opinioni decisamente contrarie), come extrema ratio, ottemperando alle consuete regole della successione ereditaria.<7p>
Da ultimo, si deve ricordare che l’esigenza di assicurare il rispetto della memoria e della personalità del defunto induce ad assegnare rilevanza giuridica al comune desiderio delle persone di accedere alle tombe (sepolcri, cappelle, tumuli, loculi …), per esprimere la propria spiritualità e rendere omaggio alle spoglie dei propri congiunti.
Tale facoltà può essere esercitata in due modi.
Innanzitutto con la pretesa di far valere l’“iter ad sepulchrum”, cioè l’effettuale possibilità di recarsi sul luogo in cui siano inumate o tumulate le spoglie di un proprio congiunto, allo scopo di compiere atti votivi e di culto verso la salma.
In secondo luogo, con il potere di opporsi alle azioni che possono arrecare pregiudizio al rispetto dovuto alla salma medesima; esso nasce sua sponte in capo all’individuo (diritto personalissimo di godimento) in quanto portatore di un interesse morale e spirituale alla destinazione e conservazione delle spoglie.
Con la non più recentissima, ma pur sempre attuale, sentenza, n.12143 del 23 maggio 2006, la Cassazione è tornata a scrutinare e ad enucleare, con precisione “chirurgica” la fisionomia del diritto, che concerne ciascun soggetto, di definire liberamente, ma pur sempre secondun legem (solo tre, difatti, sono le pratiche funebri contemplate dalla Legge: inumazione, tumulazione o cremazione), il luogo e le modalità di sepoltura della propria spoglia mortale, identificato dall’Ordinamento in via sussidiaria e surrogatoria anche in capo ad alcuni congiunti del defunto.
Il decisum della Suprema Corte attiene ad una situazione nient’affatto rapsodica, estemporanea o isolata, che vede, sovente, scontrarsi, anche nelle aule dei Tribunali Italiani, i congiunti del de cuius tra loro, mentre, altrettanto spesso, sorge lite tra quest’ultimi legittimati jure sanguinis con il coniuge del deceduto e di riflesso, nell’aspra contesa, è coinvolta pure l’amministrazione cittadina, alla quale viene chiesto o, per converso, inibito – ad esempio – il rilascio dell’autorizzazione alla traslazione dall’originaria tomba ad un altro sepolcro.