Istituto dell’immemoriale: aspetti endo-procedimentali – Parte I

I riferimenti che, in alcuni schemi di regolamenti comunali di polizia mortuaria, conducono a richiamare l’istituto dell’immemoriale (detto altrimenti: “immemorabile”) in relazione a termini temporali (spesso per rapporti concessori che possano essersi originati prima del 1942) non sono del tutto casuali o accidentali, in quanto tale fattore cronologico è in relazione al R.D. 21 dicembre 1942, n. 1880, anche se la sua entrata in vigore sia successiva, rispetto a quella  del 28 ottobre 1941, quando, appunto, entrò in vigore il Libro III del Cod. Civile, con cui è stata statuita e sancita dal Legislatore, in termini di norma positiva e del tutto intenzionale, la natura demaniale dei cimiteri (con quanto ne consegua) per altro già in precedenza affermata dalla prevalente giurisprudenza e dalla dottrina maggioritaria.

In vigenza del vecchio Cod. Civile del 1865 qualche difformità interpretativa si sarebbe potuta, comunque riscontrare, tant’è che il dibattito tra gli studiosi del diritto funerario fu molto intenso tra la fine del XIX Secolo ed i primi anni del Novecento, ma anche in conseguenza delle modifiche alle disposizioni sul registro e sulla tenuta dei pubblici registri immobiliari (1938-1939) con cui era stato ribadito, se necessario, che le concessioni cimiteriali comportavano, in tutti i casi, la sussistenza di un titolo di concessione pubblica amministrativa soggetto a registrazione (oggi, ai sensi del Testo Unico n. 131/1986, Art. 5 comma 2 parte I tariffa ed Art. 45) solo se l’importo supera la cifra pari a  6.455,71 Euro) ed a determinati requisiti di forma ad sustantiam (atto pubblico ai termini dell’Art. 2699 Cod. Civile), a pena di nullità.

Pertanto, lo spartiacque dell’anno 1942 si radica in questo contesto, con qualche margine, considerando che le citate modifiche possano avere richiesto qualche ulteriore tempo per esser compiutamente metabolizzate dalla Pubblica Amministrazione ed entrare a pieno regime, ma questa sorta di interregno è da considerare superato con sicurezza dopo tale data.
Ragion per cui si esprime qualche perplessità sulla corretta possibilità di un’applicazione di simili normative a periodi posteriori, pur senza accantonarla in toto e definitivamente.
Si tratta di un problema di particolare delicatezza che, in quanto tale, andrebbe attentamente ponderato, con estrema prudenza.

L’istituto dell’immemoriale, un tempo contemplato nello Jus Positum, da talune legislazioni Pre-Unitarie, come strumento di prova di diritti parimenti esercitati, ma senza titolo, è stato del tutto espunto dall’ordinamento giuridico italiano, nell’ambito del diritto privato, con la L. 20 marzo 1865, n. 2248 Allegato A, mentre è stato reputato, a certe condizioni, possibilmente persistente in alcune sfere del diritto pubblico (l’esempio “classico” che viene generalmente citato, a tal proposito, è quello dell’uso del cognome, nome di famiglia ed a questa fattispecie potremmo, probabilmente accostare, in via analogica ed estensiva lo Jus Nomini Sepulchri, con un’operazione, seppure molto astratta e “temeraria”, almeno per i puristi del diritto funerario, utile, però, a risolvere positivamente il quesito proposto).

Si mediti a tal proposito su questa giurisprudenza, anche se, invero, un po’ datata, vista anche la rarefazione dell’immemoriale, nella recente storia del diritto italiano:

  • Distinto dall’usucapione è l’istituto dell’immemorabile, il quale, previsto dal codice previgente, non esplica nei tempi attuali se non una limitata efficacia nell’ambito dei rapporti di diritto pubblico, valendo a costituire una presunzione di legittimità dell’attuale possesso da parte di un soggetto (Cass.Civ. Sez.I, 4051/83).
  • L’istituto dell’«immemoriale», e cioè il possesso che dura da tanto tempo (vetustas) da essersi smarrito il ricordo del suo nascere (presunzione di esistenza di un titolo corrispondente al diritto) è inapplicabile in materia di usi civici, sui quali non possono costituirsi proprietà private senza un titolo proveniente dall’autorità che ha il potere di disporne. Cass., sez. II, 25-05-1992, n. 6231, in Giust. civ., 1993, I, 116, in Rep. Fo. It., 1993, “usi civici” n. 42.

Data la sua intrinseca peculiarità (forse anche anacronistica?) l’immemoriale, si rappresenta come una risposta del tutto straordinaria ed extra ordinem, esso, ad ogni modo, si estrinseca in un procedimento cui, generalmente, si potrebbe ricorrere solo in termini di prova in sede di attestazione giudiziale della sussistenza di diritti esercitati senza titolo nominale, poiché l’azione amministrativa del Comune non può mai sconfinare nell’attività giurisdizionale propria, secondo Costituzione, della Magistratura, questa regola, anche se non più del tutto codificata, se non in via negativa, merita alcune ulteriori riflessioni, attinte dalla più autorevole dottrina:

Sereno Scolaro, infatti, (La Nuova Antigone, anno 2001) è di questo parere: l’effettivo rimando all’istituto dell’immemoriale da parte di alcuni Regolamenti comunali di polizia mortuaria avrebbe solo compito di “notazione di memoria” e opererebbe una scelta dirimente tra le due prevalenti teorie che lo riguardano, l’una come prescrizione acquisitiva e l’altra come presunzione “juris tantum”.
Il sullodato autore, propende decisamente per quest’ultima tesi; tale opzione di metodo sarebbe, allora dettata non solo da una valutazione di merito (l’istituto prende atto dell’esercizio fatto di un diritto, pur in assenza di titolo), ma anche perché in questo modo se ne agevolerebbe la reale e fattiva applicazione.

In linea generale, l’istituto (o i suoi riflessi postumi e reliquati?) si attiva indipendentemente da un suo recepimento in norme regolamentari e la funzione proposta è, per questo, “neutra” ed asettica.
Il regolamento comunale di polizia mortuaria potrebbe, peraltro, delineare e tipizzare procedimenti di concreta implementazione dell’immemoriale più dettagliati, fermi restandone tuttavia gli elementi sostanziali.
La caratteristica fondamentale dell’istituto consiste nell’esercizio di un diritto che si presume secundum legem in quanto fondato sulla vetustas, senza che, però, ne sussista un relativo titolo agli atti.
In altri termini, si presuppone un titolo di possesso del diritto, e che la situazione di fatto ne sia la logica conseguenza.
Il fulcro del contendere, a questo punto, si sposta sulla prova di legittimità del diritto in parola.

 

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Carlo Ballotta

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