Inumazione: alcune esperienze peculiari

È abbastanza noto come negli ambiti cimiteriali siano presenti denominazioni locali spesso differenti, varianti da zona a zona.
Si pensi, per i posti feretro a tumulazione individuale, alle denominazioni (locali) variamente presenti: loculo, colombaro, avello, forno, cassettone, maddalena, ecc.
A volte la diversità terminologica non produce criticità, come accade altre volte: ne può essere esempio il termine “tomba” che in alcune realtà ha il significato di edicola funeraria, precipuamente a sistema di tumulazione, mentre altrove quello di “fossa” – a sistema d’inumazione” – che può assumere anche la qualificazione di “tomba di famiglia”, in presenza di alcuni requisiti di durata, di criteri e modalità d’uso, di dimensione, ecc., come avviene nella provincia (qui usato nel senso meramente geografico e non nel senso di indicare la Provincia Autonoma) di Bolzano e/o in altre zone del nord est. Quanto interessa non è il nomen quanto la sostanza.

In alcune zone sono presenti esperienze di sepolture ad inumazione che si discostano dalle inumazioni c.d. in campo comune, quali individuate dall’art. 58 D.P.R. 10 settembre 1990, n. 285 e s.m. e, per le caratteristiche delle fosse, dai successivi artt. 72 o 73.
Altro elemento, anche questo sostanziale, è dato dal fatto che, proprio per il discostarsi dalle inumazioni appena considerate, hanno natura di “sepolcri privati nei cimiteri” (Capo XVIII) essendo oggetto di “concessione”, debitamente tariffata, e, spesso se non sempre (altrimenti risulterebbe meno percepibile la loro differenza rispetto alle inumazioni in c.d. campo comune), di durata diversa (superiore) a quella del turno ordinario di rotazione (es.: 15, 20 anni), magari anche prevedendo un’area leggermente maggiore (a volte bastano pochi centimetri per far apparire una differenza) rispetto a quella che si avrebbe considerando solo la superficie d’ingombro della fossa o con altri elementi di differenziazione, per quanto lieve.
Talora, questa maggiore durata è esplicitata nelle denominazioni localmente in uso, altre volte sono presenti altre denominazioni (es.: giardini, giardinetti e simili).
Altro elemento da considerare è il fatto che questa tipologia di sepolture può, magari per ragioni storiche connesse all’epoca della loro introduzione o per altro, non essere del tutto rispettosa di quanto prevede l’art. 90, comma 1 D.P.R. 10 settembre 1990, n. 285 e s.m., nel senso di non essere dotate di “adeguato” ossario, sul presupposto originario di essere destinate all’accoglimento di un solo feretro, per quanto per una durata superiore al turno ordinario di rotazione, per cui, non essendovi ossa da conservare nella concessione una tale presenza è (stata) ritenuta non necessaria.

In alcune realtà sono presenti (e, spesso magari assenti in comuni confinanti) anche pratiche più o meno risalenti in cui sono presenti (o, state presenti ab origine) modalità operative e di caratterizzazione.
Ci si riferisce al fatto che l’area oggetto di concessione sia, o possa essere, maggiore rispetto a quella derivante da una mera applicazione delle misure prescritte dall’art. 72 D.P.R. 10 settembre 1990, n. 285 e s.m. (trascuriamo quelle indicate all’art. 73 in quanto rarissimamente impiegate in questa prospettiva), l’ammissibilità di installazione di copri fossa (art. 62 D.P.R. 10 settembre 1990, n. 285 e s.m.).
Non solo, ma in quale realtà la realizzazione delle fosse era/è eseguita ad una profondità maggiore di quella prevista: es.: 2,50 m., consentendolo la profondità della falda idrica in piena (Cfr.: art. 57, commi 5 e 7 D.P.R. 10 settembre 1990, n. 285 e s.m.) in luogo di 2 m. La profondità dei 2 m. è poco discussa, ma alcune esperienze fatte, a mo’ di test, in un comune emiliano, avrebbero portato a considerare che l’inumazione ad una profondità minore (es.: 1,5 m., o meno), risultando maggiormente aerata, otterrebbe il risultato di favorire i normali processi trasformativi cadaverici.
Certo, occorrerebbe analisi di maggiore diffusione per consentire proposte in questa direzione, che al momento difettano.

Il ricorso ad una tale, maggiore, profondità delle fosse ha trovato, all’origine, la propria ratio nella valutazione di opportunità di permettere l’inumazione non di un unico feretro, bensì di due (il secondo posto al di sopra dell’altro, in verticale (sic!) e non l’uno a fianco dell’altro, in orizzontale, ipotesi quest’ultima ammissibile se l’area complessiva in concessione lo consenta, anche sotto il profilo della distanza inter-fossa).
In tal modo, veniva de facto ad aversi un sepolcro “familiare”, potendo essere utilizzato da più persone della medesima famiglia. Ovviamente, questa prassi (della verticalità) non è ossequiente delle norme in materia, non solo di quelle oggi vigenti, ma neppure di quelle precedenti, incluse quelle di riferimento al momento dell’introduzione di queste tipologie di sepolcri.
Per inciso (e mera curiosità aneddotica) si può osservare come questa prassi, originariamente e poi costantemente attuata col costantemente favorevole placet dell’allora Ufficiale Sanitario – figura che, pre-L. 23 dicembre 1978, n. 833, era, nei comuni con popolazione superiore ai 20.000 abitanti, dipendente, apicale, dei comuni; negli altri le funzioni di tale figura erano assolte da medico convenzionato per l’assistenza sanitaria ai poveri, poi divenuti indigenti (terminologie d’epoca), cioè un medico condotto, sia che il comune ne disponesse di uno solo o avesse più condotte mediche, caso questo in cui tali funzioni erano attribuite ad uno di essi – sia stata rilevata (dopo all’incirca una novantina d’anni dalla sua introduzione in sede locale) dall’ASL essere in contrasto con la normativa in materia solo da meno di una ventina d’anni, con la conseguenza che è stata progressivamente “dismessa”.
Altro elemento di aneddotistica può essere quello che l’inumazione del secondo feretro è stato (fino a che la prassi era stata seguita) soggetto a specifica tariffazione (chiamata “maggiore profondità”), che poteva essere corrisposta fin dall’inizio, al sorgere della concessione dell’area, oppure anche successivamente, magari al momento di eseguire la seconda successiva inumazione.
A chi chiedeva come ciò fosse possibile, veniva risposto che la materiale escavazione della fossa veniva eseguita sempre alla maggiore profondità dei 2,5 m., non essendo, come ovvio, pensare ad un’escavazione ulteriore in presenza già di altro feretro (in qualche modo, considerando che il personale del cimitero, per quanto provetto, non è nelle condizioni di operare come le … talpe), per cui il pagamento della prevista tariffa, sia che avvenisse al sorgere della concessione dell’area o al momento della successiva seconda inumazione assumeva il carattere di un “diritto” che consentiva, in termini di legittimazione, la fruizione del sepolcro per un’ulteriore inumazione, come sepolcro di famiglia.

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Sereno Scolaro

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