In difesa del diritto di sepolcro: tra proprietà e possesso

Lo Jus Sepulchrisi fonda essenzialmente su un substrato materiale (l’opera muraria con il corredo delle suppellettili funebri) senza il quale verrebbe meno la sua stessa ragion d’essere e la possibilità di un pieno ed effettivo esercizio.
Si potrebbe, pertanto, asserire che Jus Sepulchri e diritto reale, nonché patrimoniale, sul manufatto funerario non possano non essere valutati se non in stretto collegamento fra loro.
Allo stesso modo, l’ammissibilità di una circolazione separata dell’uno dall’altro deve senz’altro escludersi, siccome – fra l’altro – non trova giustificazione economica il diritto reale sul mero sepolcro, se e quando spogliato del diritto di sepolcro primario e personalissimo.

Lo Jus Sepulchri è principalmente diritto della persona, perché si acquisisce appartenendo ad una famiglia (per ragioni, quindi, di coniugio ex Art. 29 Cost., o di D.N.A.!) ed in quanto discendenti del primo titolare.
In altre parole “[…] come portatore di un interesse morale e spirituale alla conservazione del bene stesso, a motivo della tumulazione nel sepolcro delle mortales exuviae dei più stretti congiunti, il singolo avente diritto è titolare di una posizione giuridica soggettiva di carattere sostanziale che abilita ad agire per la difesa, la conservazione e il ripristino dell’interesse stesso, ove se ne prospetti l’illegittima lesione da parte di chiunque” (Musolino 2001, 472).

Abbiamo visto, dunque, che il diritto di proprietà (ma non quello d’uso!) sulla costruzione sepolcrale è soggetto alle norme generali del Codice Civile, ed è trasferibile per via ereditaria tramite successione legittima o testamentaria, almeno per quanto riguarda gli oneri manutentivi e di conservazione in solido e decoroso stato ex Art. 63 comma 1 D.P.R. 285/90.
Si rammenta come, in merito l’istituto dell’eventuale subentro nella titolarità dello Jus Sepulchri, e dei diritti di gestione afferenti alla tomba, l’Ente Locale abbia ampio potere di regolamentazione, in sede locale, attraverso lo strumento principe del regolamento municipale di polizia mortuaria.
Siffatto diritto di natura reale e patrimoniale, come spesso ci ricorda il supremo giudice della nomofilachia, assimilabile, per alcuni giuristi (ma non per altri!) al diritto di superficie, è opponibile, su iniziativa del concessionario, agli altri privati ed è tutelabile con esperimento dinanzi all’autorità giudiziaria ordinaria di tutte le azioni petitorie solitamente spettanti al proprietario per la difesa del diritto dominicale, ivi compresa l’azione di rivendica.

Tale competenza trova supporto nel costante indirizzo della Cassazione, secondo la quale il giudice ordinario conosce di ogni controversia tra i privati concernente i rapporti di natura privatistica che accedono alla concessione relativa a beni demaniali.
Infatti, i caratteri di inalienabilità e di imprescrittibilità dei beni demaniali non impediscono al concessionario di esercitare nei confronti degli altri privati, jure privatorum, appunto, sia l’azione di spoglio (art. 1168 Cod. Civile) che l’azione di manutenzione (art. 1170 Cod. Civile) per la tutela delle facoltà che compongono l’oggetto dell’atto di concessione.
Pertanto, qualora la tomba fabbricata dal concessionario subisca turbativa o molestia per effetto della trasgressione alla distanza minima tra costruzioni funerarie limitrofe prevista dal comune concedente nel piano regolatore cimiteriale, lo stesso potrà agire con actio negatoria servitutis per assicurarsi il ripristino dello stato dei luoghi, compreso l’arretramento del nuovo manufatto di quella misura sufficiente per far cessare la situazione lesiva.

È valida, dunque, per il titolare del diritto sul sepolcro, vista la sostanziale coincidenza della posizione giuridica soggettiva, la stessa possibilità che l’art. 949 Cod. Civile riconosce al proprietario di un fondo di difendersi dal pregiudizio derivante dalle pretese o molestie altrui.
Ciò legittima il concessionario ad agire anche contro i concessionari delle aree confinanti per ottenere la cessazione delle situazioni, che arrechino pregiudizio al contenuto del proprio diritto, poste in essere dagli stessi ed il conseguente ripristino dello stato dei luoghi, qualora tali comportamenti (indebiti?) non siano conformi al titolo rilasciato a siffatti concessionari e non richiedano, quindi, il preventivo annullamento (in autotutela, con atto di riesame ex L.241/1990?) del relativo provvedimento amministrativo di concessione.
Diverso sarebbe, invece, il problema se l’attività posta in essere dai concessionari vicini rientrasse, eventualmente, nell’ambito dei poteri loro concessi.
In questo caso, il titolare danneggiato non potrà rivolgersi al giudice ordinario, ma dovrà far ricorso al giudice amministrativo territoriale per far dichiarare l’illegittimità di suddetti provvedimenti.

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