Il “trattamento delle ossa” rinvenute in occasione di operazioni cimiteriali – 2/2

In merito alla strategia comunicativa della Municipalità, una volta ricordata la Legge n. 69/2009 con i suoi obblighi istituzionali in capo ai Comuni, si potrebbero anche prevedere un Comunicato stampa che informi i cittadini della circostanza (estinzione concessioni temporanee, esumazioni e loro effetti sullo status delle tombe); oppure ricerche piuttosto mirate[1], a mezzo ufficio anagrafe, di eventuali familiari ancora viventi degli originari intestatari.

Va ricordato come, prima con la suddetta Circ. Min. n. 10 del 31 luglio 1998 , poi con il D.P.R. n. 254/2003, i resti mortali (esiti da fenomeno cadaverico di tipo trasformativo-conservativo per effetto di saponificazione, corificazione o mummificazione) possano essere:
* nuovamente interrati (o, eventualmente ritumulati a discrezione del comune, anche se la ritumulazione nello stesso o in nuovo loculo sembrerebbe esclusa dalla lettera dell’Art. 86 comma 2 DPR 285/90);
* cremati, se non si registra l’opposizione dei famigliari.
Conviene, così, per facilitare l’effettivo esercizio del diritto a disporre dei cadaveri e delle loro trasformazioni di stato (ossa, ceneri, resti mortali) fissare un tempo tecnico di attesa prima di porre in essere trattamenti irreversibili come dispersione delle ossa nell’ossario comune o delle ceneri nel cinerario comune.

È consigliabile collocare i resti ossei nelle cassette resti di zinco di cui all’art. 36 del DPR 285/90 e mantenerle, per un adeguato periodo di tempo (ad esempio 2-3 anni) in camera mortuaria o in specifica sepoltura[2], a disposizione di eventuali aventi titolo che fossero venuti a conoscenza tardivamente della scadenza del periodo legale di sepoltura (ad es. emigrati all’estero).
Non esiste, in merito, nessuna norma di diritto positivo, tuttavia è prassi consolidata che le ossa, prima di esser avviate all’ossario comune (e, quindi, smarrite in mezzo a centinaia di altre tibie, femori, mandibole…), sostino qualche tempo in camera mortuaria, proprio per permettere agli aventi titolo di esercitare il loro diritto di pietas, anche se con qualche ritardo.
Ricordo che allo scadere del periodo di sepoltura legale il gestore del cimitero agisce di propria iniziativa per liberare le tombe.
Tutti questi passaggi debbono esser formalizzati nell’ordinanza del sindaco che regola le operazioni cimiteriali ai sensi dell’Art. 82 comma 4 D.P.R. 285/90.

È, infatti, con l’ordinanza che si estrinseca il potere discrezionale dell’autorità amministrativa nel governo del cimitero, per decidere con quale forma e procedura avverrà lo smaltimento di ossame e resti mortali.
Le ossa, se non richieste per una successiva tumulazione con cassettina zincata,  sono avviate all’ossario comune, o cremate su richiesta dei famigliari del de cuius, mentre le ossa già conservate nell’ossario comune possono esser calcinate su disposizione del sindaco (paragrafo 6 Circ. Min. n.10/1998).
Nel caso in esame, con ogni probabilità si tratta di una leggerezza, essa non ha certo la gravità di un reato, tutt’al più si configura come un’infrazione al regolamento cittadino ed alla stessa ordinanza sindacale di cui sopra.
Se il fatto è stato causato da semplice trascuratezza o indolenza (deve comunque esserci l’elemento soggettivo della colpa) sarà passibile di sanzioni amministrative, in osservanza con il dettato dell’art.107 del Regolamento di polizia mortuaria DPR 10 settembre 1990, n. 285.

Alla circostanza oggetto di questo breve studio, in quanto violazione dell’articolo 85 del medesimo regolamento, si applica l’art. 358 del testo unico delle leggi sanitarie R.D. 27 luglio 1934, n.1265. Tale articolo così recita: “I contravventori alle disposizioni del regolamento generale e a quelle dei regolamenti speciali da approvarsi con decreto reale sentito il Consiglio di Stato ed eventualmente occorrenti per l’esecuzione delle varie parti delle precedenti disposizioni, sono puniti, quando non siano applicabili pene prevedute nelle disposizioni medesime, con la sanzione amministrativa da lire tremilioni a lire diciottomilioni[3], salvo che il fatto costituisca reato”. La sanzione amministrativa prevista dall’art.358 cit. si configura come residuale, in quanto risulta applicabile solamente alle violazioni regolamentari che non costituiscano reato ed alle violazioni di norme regolamentari, per le quali non è prevista una specifica sanzione.
Per eventuali infrazioni al regolamento municipale di polizia mortuaria, l’entità dell’ammenda deve esser calcolata in base ai parametri definiti dalla Legge n.16 gennaio 2003, n. 3, la quale introduce l’art. 7-bis del D.Lgs n. 267/2000.

Ora, se tali violazioni sono il portato di azioni compiute in conformità ad ordini e direttive impartite dal dirigente del servizio, oppure sono state commesse in assenza di istruzioni da parte della medesima autorità, la responsabilità è da ascriversi a quest’ultima siccome ha diramato ordini illegittimi, oppure è rimasta inerte rispetto all’obbligo di organizzare e dirigere i suoi subalterni; risponde da solo dinnanzi alla legge chi[4], invece, avesse materialmente agito senza aver rispettato le consegne ed i comandi relativi alla procedura in esame, sollevando la posizione del proprio superiore[5] gerarchico da qualsivoglia responsabilità.
Si tenga presente che il Comune è tenuto al pagamento in solido della sanzione amministrativa con l’autore del fatto, se questi è dipendente ed ha agito nell’esercizio delle sue funzioni.
Si mediti per maggiori delucidazioni su questo pronunciamento della magistratura:
Cassazione penale, 13 marzo 1963 “Il delitto di vilipendio delle tombe richiede come elemento soggettivo, la cosciente volontà di commettere il fatto con la consapevolezza del suo carattere vilipendioso in relazione alle tombe, sepolcri, urne, o alle cose destinate al culto dei defunti, senza che sia necessario alcun fine particolare né lo scopo di vilipendere. Pertanto, nel fatto di specie di aver strappato e diffuso per terra i fiori deposti sulla tomba, accertato l’elemento psicologico di cui sopra, sussiste il reato, essendo irrilevante che il movente dell’azione sia stato non già “l’intento di ledere il sentimento di pietà dovuto al defunto”, ma un sentimento di dispetto verso i congiunti dello stesso”.

Le ossa, per ovvi motivi, non debbono mai esser visibili al pubblico, l’ossario comune, infatti, deve esser costruito in modo da celare la vista dell’ossame ai visitatori del cimitero.
Esse possono esser collocate:
* nell’ossario comune in forma promiscua e distinta;
* in cassetta ossario da tumulare in loculo, celletta, cappella gentilizia.
Le ossa, quindi, per un certo tempo possono esser provvisoriamente “parcheggiate” in camera mortuaria[6] (il regolamento regionale lombardo n. 6/04, più correttamente, invece di camera mortuaria parla di deposito mortuario) ma la camera mortuaria/deposito mortuario deve esser chiusa e non accessibile al pubblico, così da scongiurare furti o trafugamento delle ossa.

È sempre d’obbligo la cassetta di metallo, perché l’ossame sia comunque celato allo sguardo curioso dell’utenza, anche se non vi sono rischi igienico-sanitari, come giustamente rilevato dall’Art. 36 DPR 285/90, tali da imporre l’adozione di sistemi di contenimento a tenuta stagna (la chiusura della cassetta potrà, pertanto, limitarsi a pochi punti di saldatura lungo il labbro perimetrale).
L’unico “imballo” in cui le ossa possano esser movimentate espressamente indicato dalla legge è, appunto, la cassetta in lamiera zincata di cui all’Art. 36 DPR 285/90 essa, poi, dovrà recare i dati anagrafici del de cuius, così da renderne agevole il riconoscimento.
C’è però una ragionevole eccezione: le ossa estratte dall’ossario comune per esser cremate possono esser riposte anche in uno scatolone[7] di cartone e quindi facilmente combustibile, oppure in un imballaggio di legno, pasta di legno, compensato, polimero plastico…
L’unica regola cogente da seguire è la loro inaccessibilità, ossia debbono, mi si passi la formula gergale, esser tenute “sotto chiave” perché la profanazione delle ossa o l’asportazione delle stesse per fini non ammessi dalla legge costituisce un reato.

Ribadisco il concetto: l’ingiuria sacrilega arrecata alle ossa, la loro asportazione clandestina (Art. 43 comma 3 DPR 285/90) o il commercio delle stesse (proibito dall’Art. 43 comma 4 DPR 285/90) costituiscono comportamento antigiuridico sanzionabile penalmente:
Cassazione penale, 2 febbraio 1960: “Parti del cadavere ai sensi dell’art. 411 C.P., devono intendersi quelle che richiamano alla mente di chi li vede l’idea del corpo umano come ad esempio un teschio”. Pertanto la sottrazione di un teschio da un ossario integra l’oggetto del delitto di cui all’art. 411 C.P.
Lasciare le ossa “posteggiate” in camera mortuaria senza avere l’avvertenza di chiudere a chiave la porta, invece, è uno svarione, punibile in via amministrativa (con un richiamo disciplinare o un’ammenda) ma privo dell’elemento del dolo (con “dolo” intendo la precisa volontà di commetter reato) proprio degli illeciti di natura penale.
Le sanzioni disciplinari sono atti interni all’amministrazione di appartenenza, la loro fonte deriva dal Contratto Nazionale di Lavoro.

Dai fatti narrati non si evince se il custode abbia assolto o tralasciato il suo precipuo compito di annotare sul registro delle sepolture le vicende relative alle ossa accantonate nella camera mortuaria in questione.
L’art.52 del DPR 10 settembre 1990, n.285, stabilisce, infatti, che il responsabile del servizio di custodia debba annotare molto diligentemente tutti i movimenti in ordine ai cadaveri, inumati ed esumati, tumulati ed estumulati, cremati, trasportate altrove, ecc. Anche qui si individua una violazione regolamentare sanzionabile ai sensi dell’art.358 citato.
La giurisprudenza, ossia l’orientamento dei tribunali italiani a tal proposito è piuttosto contraddittoria, la Suprema corte di Cassazione si è più volte pronunciata in merito.

In passato la Cassazione, più volte, ritenne cadavere il corpo umano sino al suo completo dissolvimento.
Cassazione penale, 6 giugno 1969 “Ai fini della tutela apprestata con le norme di cui agli artt. 407 – 413 c.p. nel concetto di “cadavere” deve non soltanto comprendersi il corpo umano inanimato nel suo complesso e nelle singole parti, ma anche lo scheletro dopo quindi che sia avvenuta la completa dissoluzione degli elementi putrescibili. Se la sottrazione delle sole ceneri umane vale ad integrare l’ipotesi dell’art. 411 C.P., questa ricorre anche nel caso di asportazione di alcune ossa, allorché si accerti l’esistenza di uno scheletro sepolto e l’asportazione delle ossa dello stesso),  ma nel non lontano 1999 la Suprema corte di Cassazione non ha riconosciuto colpevole di vilipendio di cadavere un affossatore che, in un attimo di lucida follia, aveva disciolto nell’acido un esito da fenomeno cadaverico di tipo trasformativo-conservativo. In base a questa tesi: la tipologia medico-legale dell’inconsunto non è assimilabile a quella di cadavere, poiché ogni cadavere, ai sensi della Circ. Min. n. 10 del 31 luglio 1998, (richiamata, poi, in seguito dalla Legge 130 del 30 marzo 2001 e soprattutto dal DPR 254 del 15 luglio 2003) ancorché indecomposto dopo i 10 anni dall’inumazione ed i 20 dalla tumulazione, non è più cadavere, ma solo un esito da fenomeno cadaverico di tipo trasformativo-conservativo.

 

[1] Occorre adottare criteri molto selettivi, magari contemplati dallo stesso regolamento cittadino di polizia mortuaria, altrimenti c’è il rischio concreto di infilarsi in un vicolo cieco, con grande ed inutile dispendio di tempo e risorse.
[2] L’amministrazione del cimitero, ad esempio, potrebbe riservarsi un loculo oppure alcune cellette ossario per tumulare provvisoriamente le cassettine ossario dei “ritardatari”
[3] La formulazione dell’Art. 358 Testo Unico Leggi Sanitarie è stata novellata dall’Art. 16 del Decreto Legislativo n.196 del 22 maggio 1999 che ha elevato l’importo della sanzione da oggi compresa fra un minimo di tre milioni ed un massimo di diciottomilioni di lire.
[4] Cassazione penale, Sez. VI, 4 febbraio 1999 n. 443 Il custode del cimitero, pur se formalmente inquadrato nell’ambito della III qualifica funzionale del pubblico impiego (riservata a soggetti con autonomia limitata “all’esecuzione del proprio lavoro nell’ambito di istruzioni dettagliate”), svolge tuttavia funzioni non riconducibili al livello di “semplici mansioni di ordine” e di “prestazione di opera meramente materiale” ed è pertanto da qualificare, ai fini penalistici, come incaricato di pubblico servizio.
[5] Cassazione civile, 31 luglio 1945 n. 650 Il Comune risponde dei danni cagionati ai titolari delle tombe esistenti nei cimiteri comunali per l’irregolare esumazione di salme o per l’irregolare seppellimento nelle tombe stesse di salme senza il consenso di chi ne abbia il diritto, ad opera del personale da esso dipendente.
[6] T.A.R. Umbria, 18 novembre 1985 n. 623 Ai sensi dell’art. 64 D.P.R. 20.10.1975, n. 803, la camera mortuaria costituisce parte essenziale dei servizi cimiteriali e deve essere ubicata all’interno del cimitero, più esattamente all’interno della recinzione che ne determina lo spazio; pertanto, è illegittima la concessione edilizia rilasciata per la costruzione di una camera mortuaria all’esterno dell’esistente cimitero
[7] In alternativa, ai sensi del paragrafo 6 Circ. MIn. n. 10/98 si può ricorrere alla più collaudata cassetta di zinco, con l’avvertenza di rimuoverla prima di introdurre le ossa nella cella crematoria, poiché impianti di cremazione, infatti, sono predisposti a bruciare la lamiera di bare e cassette per resti ossei.

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