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Il DPR 285/1990, all’art. 82 comma 1 fissa il tempo ordinario di inumazione in campo comune di cadaveri (si veda anche il paragrafo 7 Circ.Min. 31 luglio 1998 n. 10) e dà al Sindaco la competenza di displiplinarla (art. 82 comma 2).
Con l’Art. 86 comma 3, e per le salme tumulate da più di 20 anni, è statuito un tempo ridotto di inumazione (5 anni). Questi erano, fino alla emanazione della circolare Min. Sanità n. 10/98, gli unici riferimenti di Legge.
Da questa norma positiva si era dedotto ed applicato in diversi Comuni (con regolamento di polizia mortuaria comunale o più semplicemente con ordinanza del Sindaco) che le salme inconsunte (da esumazione ordinaria) dovessero essere reinumate per almeno 5 anni.
In taluni Comuni, registrandosi tempi di scheletrizzazione abbreviati, si erano determinati anche periodi inferiori (ad es. 3 anni), per consuetudine (di fatto) o con gli strumenti normativi anzidetti (regolamento, ordinanza).
Ora, in presenza della circolare del Min. Sanità n. 10/1998, ordinariamente i tempi di reinumazione sono “stabiliti” in 5 anni se non si fa uso di sostanze biodegradanti ed in 2 anni se se ne fa uso. Detti limiti minimi sono, comunque, sempre derogabili in caso di comprovata capacità scheletrizzante accelerata.
Oggi, dopo il DPCM 26 maggio 2000 l’autorizzazione a variare la durata del periodo di sepoltura legale (non, comunque, inferiore a 5 anni ex Art. 82 comma 3 DPR 285/1990 e paragrafo 7 Circolare Ministeriale 31 luglio 1998 n. 10) è della regione o del comune, laddove sia intervenuta una subdelega.
Dopo l’entrata in vigore del DPR 15 luglio 2005 n. 254, per il principio di cedevolezza tra le fonti del diritto tutta la normativa locale deve esser adeguata, soprattutto nella parte (Art. 86 comma 3 DPR 285/1990) relativa alla diretta cremazione dei resti morali provenienti da estumulazione.
Così, già in passato dove regolamento comunale od ordinanza non indicassero diversamente, sarebbe bastata la circolare n.10/1998 a definire i due limiti minimi anzidetti per il turno di rotazione in campo di terra.Laddove invece vi siano limiti prefissati diversi sono da adeguare gli strumenti normativi (regolamento, ordinanza) e fino a tale data valgono i precedenti limiti e non quelli della circolare, la quale, per sua intima natura, è solo un atto istruttivo interno alla Pubblica amministrazione e non una fonte del diritto.Le norme debbono esser adattate al nuovo assetto di polizia mortuaria delineato dalla suddetta circolare 31 luglio 1998 n. 10 e soprattutto dal DPR 15 Luglio 2003 n. 254: dopo il DPR 254/2003, infatti, la duranta della tumulazione non è più legata all concessione (con il paradosso dell’inestumulabilità dei feretri sepolti in tomba perpetua), bensì ad un minimo di 20 anni, anche se trascorsi in diversi avelli. Non importa, dunque, il tragitto percorso dal feretro se quest’ultimo è stato anche più volte traslato. Ovviamente, per l’irretroattività dela norma giuridica, le concessioni già poste in essere continuano a produrre pienamente tutti i loro effetti, compresa la perpetuità (Consiglio di Stato, sez. V, 11 ottobre 2002, n. 5505; TAR Emilia Romagna, sez. di Parma, sentenza n. 298 del 23/10/1991).
Molti comuni, quindi, comunciano a considerare ordinarie (al fine della ricognizione sullo stato di mineralizzazione del cadavere) le estumulazioni compiute dopo i 20 anni di sepoltura.
In attesa di novellare il regolamento comunale di polizia mortuaria sempre soggetto ad omologazione ex Art. Art. 345 Regio Decreto 27 luglio 1934 n. 1265 (si veda anche il D.M. 18 novembre 1998, n. 54) il gestore del camposanto è legittimato ad applicare già fin d’ora i limiti di 5 anni e 2 anni di reinumazione, senza necessità di ordinanza sindacale.
Basta un semplice ordine di servizio interno che richiami la circolare ed ancor più l’Art. 3 comma 1 lettera b) del DPR 15 Luglio 2003 n. 254.
lo stesso Ministero della Sanità ha, però, riconosciuto come data la natura del fenomeno cadaverico di tipo tirasformativo- conservativo per effetto di adipocere, mummificazione e corificazione spesso il prolungamento del tempo di inumazione non servirebbe ad altro che a rendere indisponibili ulteriormente fosse per successive inumazioni”. Per maggiori approfondimenti è opportuno consultare relazione svolta dal Dr. Leonardo Toti. Direttore dei servizi di igiene pubblica del Ministero della Sanità (ANTIGONE 3/91 pag. 12 e segg.) ed agli articoli di Massimo Massellani e Giovanni Pierucci (ANTIGONE 4/91)
Si concorda, pertanto sull’opportunità di emettere una ordinanza sindacale per congelare la possibilità di inumazione in un cimitero “saturo”, in cui il terreno abbia progressivamente perso la sua capacità mineralizzante, e che indichi anche in quale altro cimitero “convogliare” le inumazioni della zona. La disponibilità di campi d’inumazione di adeguato dimensionamento (Ex Art. 337 Regio Decreto 1265/1934, Art. 49 DPR 285/1990, anche per accogliere gli inconsunti (Art. 58 comma 2 DPR 285/1880 e paragrafo 10 Circ,Min. 24 giugno 1993 n. 24) si ritiene ormai soddisfatta anche quando le quadre di terra nell’ambito della pianificazione cimiteriale siano individuate in un unico camposanto.
Si potrebbe però assumere anche una ordinanza che tenda a risolvere il problema alla radice, anche ai sensi dell’Art. 3 comma 5 DPR n. 254/2003 con cui si è parzialmente abrogato l’Art. 86 comma 2 DPR 285/1990, laddove il Comune abbia o stia per dotarsi di impianto di cremazione, anche attraverso accordi di sistema con un vicino crematorio.Nel silenzio del DPR 10 settembre 1990 n. 285 la Circolare 31 luglio 1998 n. 10, nell’impossibilità di autorizzare la cremazione dei feretri estumulati, resa possibile solo con il successivo DPR 15 Luglio 2003 n. 254, suggerisce anche una soluzione da adottare per risolvere i problemi di carenza di posti nei cimiteri e di alta incidenza di inconsunti dopo periodi di tumulazione anche rilevanti (30-40 anni). La circolare, visto l’art. 86/2 (inumazione per non meno di 5 anni), individua una alternativa recependo ed adattando quanto nei fatti viene praticato in molti cimiteri d’Italia ( definita in gergo tecnico come “verifica feretro”). Dopo 20 anni di tumulazione siamo in presenza di resti mortali (anche tumulati) e quindi si agisce su questi con sostanze biodegradanti: il risultato è che anziché occupare terra per 5 anni, si occupa il tumulo per altri 2 anni.
Sembra quindi una pratica, tutto sommato, ragionevole. La questione del rifascio solo in caso di presenza di parti molli è una conseguenza dei motivi che stanno alla base della constatazione delle perfetta tenuta o sistemazione del feretro (Art. 88). I motivi della tenuta o sistemazione del feretro sono per preservare da miasmi, contagio (nei primi tempi dopo il decesso), contenimento (sia per favorire la traslazione, sia per occultare alla vista dei frequentatori del cimitero il cadavere). Se non si hanno parti molli le uniche funzioni occorrenti sono quelle dette di contenimento. Laddove il feretro presenti caratteristiche di contenimento (e quindi di occultamento del cadavere) è superfluo il rifascio di zinco. Se invece sussistono pericoli per la salute (sia degli operatori che del pubblico) è l’ASL che lo verifica e determina le cautele da adottare.
Come acutamente osservato dalla giurisprudenza, Cassazione civile, 29 marzo 1957 “Il regolamento di polizia mortuaria, R.D. 21.12.1942 n. 1880, dispone che quando è trascorso un decennio dalla inumazione dei cadaveri ovvero è scaduto il periodo di concessione per la tumulazione dei feretri (salvo che si tratti di sepolture private a concessione perpetua), il custode del cimitero deve provvedere alla rimozione dei resti mortali destinando le ossa esumate all’ossario comune, ed inumando i feretri estumulati: tale adempimento non è condizionato all’assenso dei congiunti del defunto. Pertanto non costituisce reato (né nella forma di violazione di sepolcro, art. 407 C.P. né in quella di sottrazione di cadavere, art. 411 C.P.) il fatto del custode del cimitero che provvede all’adempimento suddetto senza l’assenso dei congiunti del defunto”.
Alla scadenza del turno di rotazione per le quadre ad inumazione o della concessione per le sepolture private il gestore del sepolcreto deve procedere d’ufficio alla rimozione delle tombe, per la raccolta dei resti ossei o il trattamento previsto qualora si rinvengano esiti da fenomeno cadaverico di tipo trasformativo-conservativo.
Di solito le operazioni cimiteriali di esumazione ed estumulazione sono regolate da un’ ordinanaza del sindato impostata secondo lo chema della circolare ministeriale n. 10 del 31 luglio 1998.
Nell’ordinanza di cui sopra si dettano criteri e modalità operative per lo smaltimento degli inconsunti che possono esser:
nuovamente inumati (nella stessa fossa o in campo indecomposti) non con la stessa cassa, ma con un contenitore più leggero, magari di cellulosa, pasta di legno, pialla, cartone per favorire la ripresa della scheletrizzazione.(Art.86 comma 2 DPR 285/90 e Circ.Min. n.10 del 31/07/98)
Tumulati in loculo, nicchia muraria o cappella gentilizia, occorre il rifascio della cassa solo se si rileva la presenza di parti molli, conn copnseguente percolazione di liquidi postmortali.
Avviati direttamente a cremazione ai sensi del DPR n.254/2003.
Di questa disposizione deve esser data pubblicità-notizia attraverso pubbliche affissioni nell’albo pretorio, all’ingresso del cimitero oppure direttamente sui sepolcri interessati da esumazone ed estumulazione almeno per due ragioni.L’ordinanza del sindaco si configura come una scelta discrezionale (perchè c’è l’opzione tra cremazione dei resti mortali o loro interro), deve, dunque, esser formalizzata in un’atto di diritto positivo quindi scritto, pubblico e consultabile da parte della cittadinanza.
Ai sensi della Legge n. 26 del 28 febbraio 2001 anche il disseppellimento del feretri e la nuova destinazione di ossa o resti mortali all’ossario comune ovvero ad altra forma di sepoltura (cremazione compresa) sono divenuti servizio a titolo oneroso, quindi è importante individuare i soggetti che abbiano titolo a disporre dei cadaveri anche dopo il periodo di sepoltura legale e delle loro trasformazioni di stato (ceneri, semplice ossame, resti mortali) per riscuotere le relative tariffe. Solo in caso di disinteresse (= mancanza di soggetti aventi titolo o loro inazione volontaria e prolungata) il costo sarà a carico del comune.
I famigliari hanno il diritto di opporsi alla cremazione di ossa e resti mortali deliberata d’ufficio dal comune (in caso contrario vale il principio del silenzio assenso), quindi per esercitare questo loro potere che si configura come un diritto della personalità (decidere di sè stessi e dei propri cari anche per il periodo successivo alla morte) debbono esser preventivamente informati con i modi ed i tempi di cui sopra.
Anche quando sia già avvenuta l’operazione cimiteriale senza che nessuno abbia richiesto di poter disporre di ceneri oppure ossa conviene non procedere subito con lo sversamento delle ossa nell’ossario comune o la dispersione degli esiti da cremazione (le ceneri) nel cinerario comune, poichè il diritto a disporre di cadaveri e lor trasformazioni di stato nopn si esaurisce dopo il periodo legale di sepoltura.
Ossa e ceneri potranno sostare per un congruo tempo nel deposito mortuario del cimitero, trascorso infruttuosamente questo lasso di tempo ai sensi del combinato disposto tra gli Art.. 85 comma 1 ed 80 comma 6 verranno depositare in forma indistinta e promiscua nei due spazi (ossario e cinerario) adibiti ad accoglierle.
Le ceneri, laddove non sia intervenuta apposita norma regionale per iomplementare gli istituti della Legge 130/2001 (dispersione in natura o nel giardino delle rimembranze) possono solo esser:
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Sigillate in urna e tumulate ex Art. 80 comma 3 DPR 285/1990 e Art.343 Regio Decreto 1265/1934
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Sversate nel cinerario comune (Art. 80 comma 6 DPR 285/1990).
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Ai sensi del DPR 24 febbraio 2004 potrebbero anche esser custodite presso un domicilio privato, ma per ceneri provenienti da un primo periodo di sepoltura (ceneri precedentemente tumulate in cimitero, ceneri prodotte dalla cremazione di resti mortali oppure ossame esumati o estmulati) occorre una disciplina di dettaglio da individuare nel regolamento comunale di polizia mortuaria.
Le ossa possono solo esser:
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raccolte in cassettina ossario e tumulate (Art.85 DPR 285/90)
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Disperse in osario comune (Art. 85 comma 1 DPR 285/1990)
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cremate su istanza dei famigliari del de cuius (Circ. Min. n.10 del 31 luglio 1998, meglio non ricorrere alla cassetta di zinco perchè molti impianti non sono predisposti per bruciare il metallo)
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incinerate su disposizione del sindato ex Paragrafo 6 Circ.Min. n. 10/1998 (limitatamente a quelle ossa che erano già collocate nell’ossario comune).
Buonasera. Quali sono i titoli/o per eseguire una estumulazione, o meglio chi deve (valutare, verificare ) dopo l’estumulazione la mineralizzazione della salma?
X Giorgio,
il titolo per eseguire un’estumulazione, già autorizzata dall’ufficio polizia mortuaria/servizi cimiteriali è…essere gestore del cimitero stesso.
L’art. 86 comma 5 del vigente regolamento nazionale di polizia mortuaria parrebbe richiamare la presenza, come soggetto verbalizzante e sovrintendente all’operazione, di figure o profili sanitari, riconducibili alla medicina pubblica di competenza della locale A.USL (o comunque denominata). Oggi, forse, per maggior economicità nell’intervento (gli organigrammi sono sempre più risicati e vi sono – obiettivamente – ben altre attività sanitare di maggior rilievo strategico) si tende a “DE-medicalizzare” i cimiteri, abrogando con Legge o Regolamento Regionali quest’obbligatorietà di sorveglianza e controllo da parte delle AA.UU.SS.LL.. Nel silenzio della normazione regionale, di solito si può ovviare con lo strumento dell’ordinanza sindacale (o anche dirigenziale???) che, secondo il combinato disposto tra gli artt. 82 comma 4 e 86 comma 1 D.P.R. 10 settembre 1990 deve disciplinare nel dettaglio le esumazioni/estumulazioni dettando particolari protocolli operativi.
In questo ambito c’è una riserva di parere vincolante da parte dell’A.USL. Essa, in effetti, può prevedere determinate disposizioni tecniche o medico-legali cui i necrofori adetti dovranno scupolosamente attenersi. Risolto il problema della fonte del diritto cui appellarsi, per giustificare questa scelta sul piano gestionale, nella struttura del personale cimiteriale s’attribuisce sempre più tale responsabilità di VERIFICA SULL’AVVENUTA MINERALIZZAZIONE DEI TESSUTI ORGANICI, in capo:
a) al responsabile del servizio di custodia (art. 17 D.P.R. n. 254 del 15 luglio 2003)
b) al caposqudra necroforo, individuato anche con ordine di servizio, spesso nei campisanti di grandi dimensioni, dove l’organizzazione del lavoro è già più complessa ed articolata.
DUILIO per Carlo dovendo provvedere alla bonifica di un campo comune destinato all’inumazione di fanciulli di cui gli ultimi decessi risalgono ai primi anni 60 di conseguenza i resti che saranno rinvenuti salvo il caso di quelli rivendicati dai familiari per quelli destinati nell’ossario comune si possono usare sacchi di iuta che una volta chiusi vengono deposti nell’ossario comune è corretto come procedura: E può essere affidata ad una ditta che prevalentemente esegue lavori edili stradali?
X Duilio,
tutto l’ossame rinvenuto durante le operazioni di esumazione massiva deve esser diligentemente raccolto entro sacchi speciali per il trasporto (possibilmente abbastanza resistenti e chiusi per evitare fuoriuscite accidentali delle ossa o il loro involontario sparpagliamento nella quadra di terra soggetta ad esumazione ordinaria, o ancora per impedirne l’inquietante vista ai frequentatori abituali o occasionali del cimitero.
Le ossa non richieste per una nuova sepoltura privata e dedicata a sistema di tumulazione sono inevitabilmente destinate allo spargimento in forma promiscua, anonima ed indistinta in ossario comune, vanno quindi estratte, prima dello sversamento, dai sacchi in cui sono state deposte durante la loro raccolta dal campo di terra, in funzione del solo trasporto alla volta dell’ossario comune.
Chi esegue lavori cimiteriali deve esser iscritto alla Camera di Commercio anche con questa qualifica.
Questo commento è la naturale evoluzione semantica del testo pubblicato su “I Servizi Funerari n. 1/2008” dedicato, proprio al confezionamento di contenitori per “resti mortali”. Alcune riflessioni di postmaturità funeraria mi hanno indotto a qualche ripensamento.
Un elemento importante, emerso molto chiaramente anche in un recentissimo seminario, per un sincero rinnovamento di tutto il sistema funerario e cimiteriale, è la massima razionalizzazione delle procedure.
La “ratio”, ovviamente presuppone l’uso dell’intelligenza, non dell’intutile brutalità, spesso pure “contra legem”.
Proviamo a delineare qualche ambito d’intervento.
Oggi, spesso, per reali esigenze di logistica (mancano i posti salma e molti cimiteri sono prossimi al collasso) se, dopo il periodo legale di permanenza nel sepolcro, il cadavere non è scheletrizzato ed all’apertura del tumulo o della fossa si rinviene un fenomeno cadaverico di tipo trasformativo-conservativo, si invia direttamente il resto mortale a cremazione, ai sensi del DPR 254/2003, e molti comuni prevedono anche cospicui incentivi per incentivare questa pratica.
Perchè, allora, se la destinazione dell’inconsunto cimiteriale estumulato è l’incinerazione, non usiamo, durante il trasporto sino all’impianto di cremazione, la stessa cassa in cui originariamente la spoglia fu racchiusa?
La modalità operativa sarebbe piuttosto semplice:
Nella camera mortuaria (e non all’aperto davanti a tutti!) per la ricognizione sull’avvenuta o meno completa mineralizzazione dei tessuti organici si apre la bara senza doverla, per forza, sfasciare, tagliando lungo il labbro perimetrale il coperchio in lamiera.
Spesso, infatti, le bare murate anche per lungo tempo entro nicchie di mattoni o cementizie, presentano un ottimo stato di conservazione ed hanno mantenuto intatte la loro proprietà di tenuta stagna.
La verifica è piuttosto facile, e, Art. 86 comma 5 DPR 285/1990 permettendo, può esser svolta anche da personali non sanitario, meglio, però, se su espressa delega dell’ASL o in forza di una qualche disposizione di legge o provvedimento regionale: se il resto mortale presenta parti molli, con percolazione di liquami e perfusione di miasmi ancora in corso, secondo le direttive della Circolare Ministero della Sanità n. 10 del 31/07/98 e della più recente risoluzione p.n. DGPREV-IV/6885/P/I.4.c.d.3 del 23/3/2004, bisogna valutare soprattutto la tenuta della vasca metallica, dove, per gravità, si raccolgono gli umori organici.
La sullodata risoluzione p.n. DGPREV-IV/6885/P/I.4.c.d.3 del 23/3/2004 è molto chiara, per maggior completezza ne riportiamo un ampio stralcio: “[…] Il contenitore di resti mortali deve avere caratteristiche di spessore e forma capaci di contenere un resto mortale, di sottrarlo alla vista esterna e di sostenere il peso. Il contenitore di resti mortali, all’esterno deve riportare nome cognome, data di nascita e di morte; c) nel caso in cui la competente autorità di vigilanza (A.U.S.L. o Comune in funzione delle specifiche normative regionali o locali) abbia rilevato la persistenza di parti molli, è d’obbligo per il trasporto dei resti mortali, l’uso di feretri aventi le caratteristiche analoghe a quelle per il trasporto di cadavere”.
I soli odori, sempre se la vasca è integra, possono esser tranquillamente abbattuti con apposite sostanze (a base batterico-enzimatica o di sali quaternari di ammonio) da nebulizzare e spargere entro il feretro, mentre più difficile sarebbe il contenimento dei liquidi cadaverici.
Quando la cassa risultasse idonea al trasferimento (non ci sono, quindi, perdite) si chiude almeno il coperchio ligneo (per ovvi motivi di rispetto e pietas) e si trasporta la bara così confezionata verso l’ara crematoria.
Se, invece, il fondo o le pareti della cassa denunciano fessurazioni, si provvede ad un avvolgimento provvisorio, magari all’interno un contenitore rigido e riutilizzabile oppure si racchiude il resto mortale in un sacco impermeabile di plastica facilmente biodegradabile e combustibile e lo si traduce, nella stessa bara, alla volta del crematorio. Su, quest’aspetto, però, nutro forti perplessità di cui dirò dopo.
I dispositivi ad effetto impermeabilizzante infatti, ex art. 31 DPR 285/90 (e relativi D.M. 7 febbraio 2007 e D.M. 28 giugno 2007) possono perfettamente sostituire il rivestimento in lamiera zincata in determinate situazioni (quando l’impermeabilità deve avere limitata durata nel tempo, quasi coincidente con il trasporto stesso.)
La grande novità, tuttavia, sarebbe (il condizionale non è solo di rito) appunto l’utilizzo in tutte e due le situazioni della medesima cassa, senza costi aggiuntivi per nuovi cofani.
Per ottenere questo risultato bisognerebbe, con un certo pressing, convincere i gestori degli impianti crematori ad accettare l’inserimento nei forni anche di feretri confezionati con il nastro metallico.
I motivi di quest’opzione strategica sono molteplici:
I rifiuti derivanti dalle operazioni cimiteriali (zinchi, assi lignee, stracci, residui di veli ed imbottiture…) devono comunque esser smaltiti, secondo le procedure contemplate dal DPR 254/2003 e con ogni probabilità, siccome il loro recupero è particolarmente esoso, andrebbero distrutti comunque
Ardere invece, la bara assieme al resto mortale nella cella crematoria significherebbe risparmiare diverse fasi (stoccaggio e trasporto), con notevoli vantaggi monetari per il cittadino e la stessa direzione del cimitero. Le casse zincate, poi, non possono esser riciclate senza un previo passaggio in fonderia perchè, spesso, risultano deformate dalla pressione dei gas putrefattivi ed il loro spessore minimo previsto dalla legge è stato pesantemente intaccato ed aggredito dall’acidità dei liquami cadaverici o da aggressioni elettrolitiche come dimostra la frequente presenza di buchi o cedimenti nello sviluppo della superficie metallica. La stessa fusione è piuttosto problematica perchè il nastro di zinco dovrebbe esser prima ripulito e deterso dai sedimenti di materiale putrefattivo. Questi residui della decomposizione organica se immessi nel crogiolo altererebbero la stessa struttura chimico-fisica del metallo, riducendone la qualità e la resistenza.
Gli affossatori non sarebbero costretti ad operazioni piuttosto pericolose per l’igiene come l’estrazione dei cadaveri dalla duplice cassa in cui furono deposti prima della sepoltura, o la manipolazione di lamiere taglienti ed incrostate, con rischio di tagli ed infezioni, perchè, in ogni caso, anche la bara, compresa la vasca di zinco, sarà cremata.
L’utente non è tenuto a sostenere spese folli e la cremazione mantiene la sua peculiarità di essere una pratica economica anche se con la Legge n. 26 del 28 febbraio 2001 essa è divenuta per l’utenza un servizio pubblico a titolo oneroso.
Un’estumulazione, in effetti, ad di là della sua intrinseca e dolorosa violenza sulla pietà verso i defunti e la loro memoria, tra oneri amministrativi, tariffe per la cremazione, trasporto ed acquisto di nuova cassa potrebbe riuscire abbastanza dispendiosa.
C’è, però, unineludibile criticità da affrontare: quasi nessun impianto di cremazione, a causa di norme sulle emissioni sempre più severe, è ormai abilitato a bruciare lo zinco, perchè occorrerebbero costosissimi filtri per trattenerne il particolato.
Si veda, a tal proposito, la filosofia adottata della Regione Lombardia con l’Art. 19 comma 2 del Regolamento Regionale Lombardo, implementato, poi, dalla D.G.R. 4 maggio 2007, n. 8/4642.
Diventa, così, inutile la pretesa di non cambiare la cassa. Il Ministero, spesso, anche giustamente, accusato di non intervenire e di disinteressarsi ai problemi della polizia mortuaria, con la risoluzione di cui sopra ha preso posizione esprimendo una norma semplice ed immediatamente eseguibile, anche perchè nel più assoluto vuoto normativo spesso le AASSLL imponevano procedure farraginose, come, appunto, il “rifascio” temporaneo con cassoni di zinco o altro materiale facilmente lavabile e disinfettabile.
Se non si può inserire tutto il feretro nel forno, ma bisogna tognierne una parte, la questione si ripresenta nei medesimi termini, e si rimarca, ancora una volta l’anigienicità dell’atto, perchè durante la movimentazione, pure in crematorio e non solo in cimitero, possono accadere accidentali sversamenti di liquidi postmortali e poi i resti mortali sono maleodoranti e percolano ovunque, non solo in cimitero.
La stessa Regione Lombardia, con l’Art. 20 comma 9 del Reg. Reg. 9 novembre 2004 n.6 aveva dettato istruzioni piuttosto macchinose in merito al trasporto di resti mortali ed ha rettificato il proprio orientamento (ora volto alla semplificazione) con la nuova formulazione del sullodato Art. introdotta con il Reg. Reg. 6 febbraio 2007 n.1.
Senza entrare in una battaglia del tutto ideale e “politica”, spesso sono gli stessi necrofori-affossatori (perchè, poi, non si chiamano più “necrofori-affossatori”, ma con termine politically correct, “operatori cimiteriali”?) ad opporsi a pratiche poco simpatiche come appunto il trasbordare un corpo da una cassa ad un’altra, in quanto, in tutta onestà, mummie, adipocere e carcasse corificate sono piuttosto disgustose, mais c’est la vie. Sono inconvenienti tipici del mestiere e rischi che il candidato becchino, in fase di assunzione, deve accettare.
Forse nessuno ricorda la guerra tra imprese funebri e gestori dei cimiteri (Sindaco di Firenze, ordinanza n°2004/00730 del 13/09/04, Comune di Venezia, ordinanza n. 92 del 21/01/92, Commissario Straordinario del Comune di Milano con disposizione del 14 maggio 1993) sulla cassa di zinco esterna nei primi anni’90, culminata con il solenne pronunciamento del Ministero contenuto dalla circ.Min. 24 giugno 1993 n. 24 al paragrafo 9.1 ed l’ordinanza n 1735/95 del 3 novembre 1995 del TAR Emilia e Romagna, con la quale si chiariva l’assoluta illegittimità di obbligare le imprese funebri a confezionare determinati feretri (specie quelli destinati all’inumazione) con la bara metallica “tutta fuori”, così da consentirne una rapida neutralizzazione, senza sporcarsi le mani. Tutta la dottrina dimostrò, con amplissimi riscontri scientifici, come il taglio della lamiera non fosse affatto pericoloso, a patto di applicare davvero ogni misura in tema di sicurezza dettata dalla normativa vigente.
Qui, come al solito, siamo alla guerra tra poveracci: necrofori contro necrofori!
Contratti di lavoro, e relative retribuzioni a parte, converrebbe meditare su questo punto: i “fortunati”, ovvero i dipendenti delle imprese funebri (pubbliche o private poco importa) sono soggetti alla reperibilità notturna (su questo blog sono reperibili a tal proposito i post del Segretario Genaerale FeNIOF Alessandro Bosi in risposta ad alcuni quesiti posti dai lettori) ed, in particolare, al cosidetto “recupero salme”, meglio conosciuto in dottrina quale “trasporto necroscopico”, ex paragrafo 5 Circ.Min. 24 giugno 1993 n. 24.
Raccogliere un cadavere (ex Art. 8 DPR 285/1990) “”spappolato” (non serve nemmeno il periodo d’osservazione per determinare l’avvenuto decesso) dopo un incidente stradale non è piacevolissimo…eppure, bisogna andare avanti, raccattando le varie parti anatomiche (riconoscibili o no), magari schiacciate dalle ruote di un TIR.
Vestire un morto (ho scritto troppo su quest’argomento, dunque… omissis, almeno per oggi) non è sempre una passeggiata, soprattutto se in presenza dei famigliari, però non ci si può esimere da questo compito, ancorchè gravoso e nessun lavoratore dipendente può macchiarsi d’insubordinazione verso gli ordini dei propri superiori… sulla vitaccia degli addetti all’obitorio/deposito d’osservazione, tra autopsie, schizzi di sangue e scalottamenti del cranio…omissis.
Sarebbe il momento giusto per intavolare una seria discussione sul burn-out di chi lavora nella polizia mortuaria, altrimenti i veti incrociati ci condurranno solo alla paralisi, ma per oggi ho finito con i miei discorsi seri ed inopportuni!