I grandi movimenti del mercato funerario italiano

Riportiamo, dato l’interesse per l’argomento, l’articolo con pari titolo, pubblicato a firma Daniele Fogli, su OLTREMAGAZINE di novembre-dicembre 2023.

I GRANDI MOVIMENTI DEL MERCATO FUNERARIO ITALIANO


Quest’anno la corposa raccolta di dati statistici su mortalità e cremazioni, diffusi dalla SEFIT Utilitalia, si è arricchita di un’analisi approfondita, mese per mese, della variazione percentuale a livello di singola provincia della mortalità residente.
Un ottimo lavoro che permette di capire, al semplice sguardo grazie alle scale cromatiche usate, le zone e i periodi dell’anno in cui in ogni provincia si è assistito ad un eccesso di mortalità rispetto alla media del quinquennio ante pandemia.
Sì, perché il 2022 è stato un anno di grande mortalità, il secondo di questi ultimi decenni, dopo l’annus horribilis del 2020 di piena pandemia. E, questa volta, i motivi vanno ricercati soprattutto nella coda pandemica nei primi mesi 2022, nella forte ondata di calore estiva e poi nell’anticipo degli effetti dell’influenza stagionale che, tra l’altro, è stata particolarmente virulenta.
E così, nel 2022, a livello nazionale abbiamo avuto ben 713.499 decessi.
Da menzionare anche che durante l’anno sono entrati in funzione 2 nuovi crematori, che quindi in totale sono ora 91, i quali hanno effettuato in totale 259.915 cremazioni di cadaveri, cui sono da sommare 45.986 cremazioni di resti mortali. Abbiamo superato le 300mila cremazioni annue!
Da questo si denota come cresca fortemente l’incidenza della cremazione di cadaveri, ora al 36,43% dei decessi, quando l’anno precedente era al 34,44%, mentre numericamente resta praticamente immutata l’incidenza di quella di resti mortali.

Gli italiani scelgono sempre più la cremazione e sempre meno la tumulazione.

Dopo anni in cui si è dimezzato il ricorso alla inumazione in terra (19,50%), registriamo un sempre minor ricorso alla sepoltura in loculo e tomba di famiglia di feretri (stimate nell’insieme al 44,07%).
Incide su questo fenomeno sia la riduzione delle disponibilità economiche delle famiglie da destinare ai funerali, sia un cambiamento delle abitudini: una sorta di sdoganamento del ricorso alla cremazione.
Vi è una ricerca di funerali “semplici” e poco costosi, frutto della maggiore tendenza alla cremazione e quindi con facilità di collocazione dell’urna cineraria (ormai sempre più in affido o collocata assieme ad altre spoglie mortali al cimitero).
È una tendenza che crescerà sempre più, la quale ha ed avrà effetti sempre più evidenti anche sul mercato funerario:

  • Meno tumulazioni di feretri significano minori entrate da concessioni cimiteriali per i gestori cimiteriali e quindi un enorme calo di disponibilità economiche per la ordinaria e straordinaria manutenzione e operatività. Ma l’effetto incide pure sul mercato dei marmisti che vedono calare il loro giro d’affari, e su quello dei “bronzisti”, per non parlare degli “zincari” che vedono calare anch’essi le proprie vendite;
  • Maggiori cremazioni portano a più entrate per i gestori dei crematori e dei fornitori di servizi correlati, ma parallelamente a minore qualità di bare vendute, sia per le essenze richieste, sia per la “semplicità” del cofano che ormai è visibile per il poco tempo della cerimonia funebre nel luogo di commiato. E anche gli arredi della bara diventano sempre più essenziali e compatibili con la destinazione per la cremazione;
  • Assume invece più importanza la componente del commiato (casa funeraria) che trova minore concorrenza con il tradizionale “funerale in chiesa” anche per il calo dei sacerdoti disponibili e quindi il bisogno di “surrogati” civili, i cosiddetti “cerimonieri”, che svolgano la funzione di commiato;
  • Perde importanza la componente floreale, spesso ridimensionata al solo copribara voluto dai parenti più stretti sul feretro e a qualche mazzo di fiori degli amici del defunto. I social sono diventati un mezzo di informazione anche per i funerali, attenuando l’importanza degli annunci funebri e delle pubblicazioni di necrologie. Aumenta invece la tendenza ad effettuare offerte in memoria per innumerevoli associazioni benefiche;
  • Il carro funebre di classe (il Mercedes non basta più, ormai), che per decine di anni è stato il fiore all’occhiello dell’impresa funebre alla moda, resta ancora utile per far esprimere degli “Ohhh” da parte degli intervenuti al funerale, ma ci si chiede concretamente quanto possa continuare questa tendenza quando si è alle prese con un riassetto economico del comparto di questa entità. Probabilmente l’immediato futuro sarà dominato dal passaggio dai vecchi autofunebri a motore termico a nuove soluzioni “full electric”, dove il vano sottostante la zona di collocazione del feretro diventa un luogo di stivaggio importante delle batterie. Auguriamoci solo che si cerchino soluzioni un po’ più sobrie di quelle, talvolta stucchevoli, che si vedono oggi.

Se questo è quanto già avvertibile (con sfumature diverse tra Nord e Sud e tra città e campagna) nel funerale italiano, ben più complesso è quanto si sta percependo tra chi fornisce i servizi al dolente.
L’esperienza di HOFI, primo grande player italiano aggregatore di imprese funebri, è decisamente decollata. Al momento in cui scriviamo, HOFI è il numero uno nel nostro Paese, con una scelta gestionale fortemente orientata all’acquisizione di imprese funebri e fornitura di servizi e prodotti collegati. Ha una fetta di mercato medio-alto compresa tra i 12 e i 15 mila funerali annui.
Il gruppo HOFI è stato costituito da Augens Capital e dal coinvestitore BMO Global Asset Management partendo nel 2019 da Impresa San Siro American Funeral Spa e via via aggregando diverse aziende del settore. Nel capitale di HOFI sono poi recentemente entrati anche Antin Infrastructure Partners e Columbia Threadneedle, a cui si affiancano anche i manager-imprenditori di molte delle società acquisite, tra cui Andrea Cerato e le famiglie Lorandi, Oliva e Pedretti.
Alla data in cui si scrive questo articolo, i marchi del settore funebre elencati sul sito della HOFI sono 23, con ben 22 case funerarie e imprese funebri principalmente operanti in Lombardia, Emilia Romagna, Veneto, Marche ed Umbria. Vengono poi elencati 5 impianti di cremazione, tra gestione in project financing e gestione tecnica (Lombardia e Toscana).
HOFI ha evidenziato un fatturato 2022 dell’ordine di 54 M€, previsione di crescita che il management stima a circa 150 milioni annui in 5 anni.
Se HOFI punta all’acquisizione di spazi di mercato principalmente con l’aggregazione di imprese funebri, l’altro grande player, ALTAIR FUNERAL, deriva dall’aggregazione di gestioni di crematori e cimiteri. Dal sito del gruppo si legge che Altair Funeral è “la sub-holding che controlla il gruppo leader in Italia nel settore delle cremazioni; più di 20 impianti in concessione e numerosi servizi di conduzione” (compresi gli ultimi in fase di realizzazione si sta parlando di quasi 30 impianti) “che hanno portato il gruppo a superare nel 2021 il 25% della richiesta di cremazione a livello nazionale; con la fusione avvenuta ad inizio 2022 con Funecap (ora Altair Funecap) è nata la prima holding paneuropea nel settore funeral”. Vengono inoltre dichiarate 13 gestioni cimiteriali in Italia.
Altair Funecap, come è noto, è controllata dai private equity Charterhouse Capital Partners e Latour Capital.
Charterhouse aveva inizialmente acquisito la francese Funecap nel 2018 affiancandosi ai due fondatori, Thierry Gisserot e Xavier Thoumieux, mentre Latour Capital ha poi investito nell’azienda nel 2021.
La forte disponibilità finanziaria ha permesso un’aggressiva attività di acquisizioni con l’idea di consolidare il frammentato mercato europeo dei servizi funebri.
Dalla sua costituzione, Funecap ha portato a termine quasi 190 acquisizioni, tra cui due di grande portata nel 2022, cioè quelle dell’italiana Altair Funeral e quella dell’olandese Facultatieve Group, leader nella gestione dei crematori nel Nord Europa e secondo fornitore di attrezzature e manutenzione per crematori a livello globale.
Il fondatore di Altair Funeral, Paolo Zanghieri, prima proprietario al 100% del gruppo, ha reinvestito in Funecap Groupe, al fianco dei due soci francesi e dei due fondi di private equity.
Cosicché, a differenza di HOFI, Altair Funeral è partita dalla gestione cimiteriale e dei crematori per integrarsi con un grande gruppo specializzato anche nel campo funebre (non solo in Francia, dove è il secondo player).
E ora Funecap Funeral Service, la sub holding dedicata ai servizi funebri di Altair Funecap, punta ad entrare nel mercato funebre italiano con l’iniziale acquisizione della quota di maggioranza di Centro Funerario Bergamasco (CFB), la principale società di onoranze funebri attiva nella provincia di Bergamo. E vari sono i rumors di contatti per l’acquisizione di diverse altre imprese funebri.
Come si può notare è un panorama dominato dalla grande finanza, che si avvale di competenze gestionali e tecniche di primaria importanza.
Ma quale può essere la risposta dell’imprenditoria italiana restante?
Dopo rilevanti investimenti per il passaggio dall’impresa funebre, per così dire, tradizionale a quella detentrice di casa funeraria, ma pur sempre ben attenti a mantenere il controllo della propria attività locale, sta affacciandosi l’idea di aggregazione – soprattutto al Nord – di medie imprese funebri per dar vita a un rassemblement di imprese, sulla base di esperienze francesi, come risposta alla sempre maggiore penetrazione nel mercato dei grandi gruppi con alle spalle forti finanziatori.
È un’idea che potrebbe essere interessante, ma necessita di velocità di traduzione dal progetto alla realtà ben maggiore di quella che si sta vedendo e, al tempo stesso, di un modello di conduzione che deve discostarsi da quello familiare per avvicinarsi a quello della grande impresa.
Parallelamente, altra ipotesi di interesse può essere quelle di creazione di una rete di imprese operanti nel settore cimiteriale e cremazione, anche con possibilità successiva di costituzione di un gruppo misto pubblico-privato, quale risposta delle gestioni a partecipazione maggioritaria pubblica alla evoluzione del mercato.
Come al solito, in questo settore, vi sono le grandi difficoltà date dal campanilismo comunale e dalla lentezza decisionale politica. Elementi negativi che possono far fallire sul nascere l’unica operazione capace di risollevare la gestione sempre più deficitaria del settore cimiteriale italiano, se non interviene a breve una legge di settore capace di favorire le aggregazioni.
Pare, a chi scrive, che questa possa essere l’unica risposta credibile alla evoluzione di mercato in corso, con il contemporaneo investimento per dotare di impianti crematori l’area del Centro Sud Italia, ancora scoperta e poco allettante per l’investitore non istituzionale.
Resta infine da vedere se i Comuni proprietari vorranno (anche alla luce delle sempre più complicate norme gestionali per le partecipate dettate dal nuovo TUSPL) disfarsi delle gestioni delle imprese funebri “pubbliche” vendendole al migliore offerente e a quel punto quali possano essere i giocatori in campo.
Dal punto di vista finanziario comunale, la soluzione che avrebbe il massimo di convenienza sarebbe quella di operare una aggregazione preventiva della maggior parte delle imprese funebri pubbliche e poi metterle come “sistema” sul mercato, strappando così condizioni più vantaggiose, ma cercando anche acquirenti capaci di dare adeguate soluzioni di socialità (funerali a basso o comunque giusto prezzo anche per i meno abbienti) che diversamente sarebbe difficile ottenere.
Insomma, il 2023 potrebbe riservare ancora qualche sorpresa, ma l’anno più importante per il futuro del sistema funerario italiano si annuncia essere il prossimo.

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