I cimiteri visti da un necroforo – 1/2

Diario ed appunti disordinati di una giornata vissuta “pericolosamente” in cimitero, da un punto di vista assai privilegiato.

La gente normale mi guarderà anche sconvolta, ma non mi fa paura il servizio in cimitero, né lo ritengo una supervisione ultronea, superflua perché ormai ritenuta da tutti obsoleta, anacronistica.
Certo i “ragazzi” del cimitero oggetto di questo mio breve racconto sono alquanto bravi, e non hanno per niente bisogno del mio ausilio…quanto meno professionale.
Nella remota Provincia, la condizione più comune dei campisanti “scatolari” nel forese è quella di una bruttura unica da sub-periferia urbana degradata, dovuta alla saturazione di ogni metro quadro disponibile. Alveari per i vivi, loculi in batteria per i morti.
Manca la possibilità di abbracciare con lo sguardo tutto il perimetro del plesso sepolcrale, di seguire il corso ordinato dei viali, di apprezzare l’articolazione degli spazi, le loro naturali cesure ritmiche, la bellezza delle aree verdi, l’equilibrio tra campi di inumazione e volumi murari di tumulazione, forse ricavati nei claustri, costruiti a ridosso del muro di cinta.
Ci si insinua in fitte schiere di anonime tombe, smarrendo rapidamente la vista dell’ingresso: si prova un senso di oppressione, in tale ossessiva ripetizione seriale di moduli costruttivi.

Questo aspetto romantico sarebbe ininfluente se la funzione del cimitero fosse semplicemente quella di custodire dei cadaveri, affinché secondo i dettami dell’igiene e del sentimento di (almeno) umana pietas si compiano su di essi, in modo controllato ed in tutta sicurezza, i processi disgregativi tipici della materia organica dopo la morte, i cui miasmi, se liberi di spargersi nell’ambiente esterno sarebbero del tutto insalubri per la pubblica salute ed il decoro.
Come ricordò Don Antonio Santantoni sulle pagine de: “La Nuova Antigone”, il cimitero è un luogo di ciclici riti funebri. La sepoltura è un momento di grande importanza, che richiede un contesto adeguato, in grado di infondere serenità, per chi rimane…in questa valle di lacrime.
Un’altra autrice, Manuela Tartari, spiegò lo stretto rapporto fra svolgimento delle cerimonie e la reale disponibilità di spazi. Per il commiato al defunto, le persone che seguono il feretro devono sentirsi parte di un gruppo, una piccola comunità: purtroppo, man mano che ci si avvicina alla tomba prescelta, inoltrandosi in viali sempre più stretti, non si riesce neanche a mantenere la continuità visuale con il resto del corteo.
È difficile raccogliersi: la sensazione che ne deriva è uno “strano connubio funebre” di tristezza, fra incertezza e solitudine insana: è un intreccio inquietante, quasi diabolico.
Le considerazioni sopra riportate sono relative certamente al momento della sepoltura in senso stretto, ma anche nelle estumulazioni, ad esempio, ci sarebbe lo stesso bisogno di ritualità: specie quando si tratti di persone decedute in giovane età, o per morte violenta, l’impatto emotivo sui familiari è forte, indipendentemente dagli anni trascorsi.

Ci sono almeno due diversi approcci per l’assistenza alle operazioni cimiteriali, negli organigrammi più complessi basterebbe relazionarsi con il caposquadra necroforo designato direttamente dal responsabile di custodia, per programmare una mattinata di estumulazioni, magari. Prediligo, invece, il contatto diretto con ogni singolo operatore cimiteriale, entro i limiti del possibile.
Per evidenti ragioni di opportunità si comincia la mattina presto, a volte prima dell’apertura, quando l’afflusso dei visitatori è fisiologicamente molto basso.
Io preferisco osservare dal vivo il lavoro dei colleghi cimiteriali, con garbo e assoluta discrezione, come se la mia attenzione sul loro ingrato compito fosse quasi impercettibile, seppur sempre vigile e presente.
Mi interessa la loro tecnica e, soprattutto, l’aspetto organizzativo delle mansioni di necrofori, che ogni gestore dei servizi cimiteriali ha nel proprio know-how aziendale.
Non dimentichiamo come le c.d. Risorse umane, anche per noi vituperabilissimi becchini, fossori e vespilloni, siano un fattore imprescindibile, perché – ad oggi almeno – le macchine, utilissime per altro, non possono sopperire al capitale di relazione con i dolenti e competenze applicative costituito da ogni singolo “addetto”, se ben formato ed addestrato.
Concettualmente non sarà un lavoro impegnativo, in quanto prettamente manuale, non si sottovalutino, mai i risvolti pure di natura penale quando si interviene su una sepoltura o sulle spoglie mortali in essa deposte con troppa disinvoltura.

La prima impressione di efficienza spesso è data proprio dalla loro organizzazione: i ruoli in una buona struttura gestionale sono sempre ben distribuiti, e chi è momentaneamente inattivo si impegna subito per preparare l’operazione successiva.
Poi, c’è l’abilità manuale, quella che fa la vera differenza tra il movimentare un feretro e lo sballottarlo malamente.
Ciò risalta maggiormente quando si lavora in tombe vecchie, prive di spazi liberi di accesso, con diametri ristretti e dislivelli impegnativi.
La preparazione effettiva del personale necroforo si rivela anche in tanti piccoli dettagli: l’accortezza – ad esempio – nel non appoggiare mai il contenitore dell’acido (utilizzato per il decapaggio della lamiera e le successive saldature delle casse di zinco) sul marmo delle tombe, così da evitare macchie involontarie; la cautela di mettere sempre un telo sotto un loculo da smurare, per proteggere il pavimento dalla caduta dei calcinacci; il riguardo nello spolverare i feretri estumulati.
Fanno – obiettivamente – un lavoro male pagato e scarsamente apprezzato, ma sono dei professionisti.
Ci sono frangenti “estremi” e non prevedibili, se non astrattamente. I necrofori debbono saper fronteggiare anche queste evenienze.
Il percolamento di liquami cadaverici in un loculo epigeo è un evento molto doloroso per una famiglia. L’impatto olfattivo (l’odore viene purtroppo percepito a distanza, mettendo in notevole imbarazzo), l’urto visivo (compare in genere una macchia nella parete posteriore del loculo, data l’inclinazione del pavimento verso l’interno del parallelepipedo), la possibile infiltrazione dei loculi sottostanti ed adiacenti (l’impermeabilità pretesa dal regolamento di polizia mortuaria è pura teoria) sono inconvenienti che mettono a contatto con gli aspetti più sgradevoli della sepoltura in opera muraria.

In Nuova Antigone n. 5/97 fu pubblicato “Cause e soluzioni alla corrosione precoce delle casse di zinco tumulate”, di Dr.ssa B.Bassi e Prof. V.Risolo: gli autori raccomandavano l’aggiunta di magnesio nelle casse di zinco, per ritardare i fenomeni corrosivi ed evitare così le perdite di liquami.
Mi sono spesso chiesto perché un dispositivo talmente semplice non sia mai stato adottato a livello nazionale o adesso anche regionale.
Molte Regioni, infatti, seguono altre soluzioni per scongiurare lo “scoppio” delle casse, come l’obbligo di impiegare per ogni nuova tumulazione una vaschetta di contenimento, da collocare sotto alla bara.
Per quanto riguarda le traslazioni, qualche tensione può sorgere nel caso di feretri che non mostrano perdite in atto, al momento del disseppellimento ma evidenziano tracce di pregresse di abbondanti percolazioni, bloccatesi spontaneamente.
La prudenza consiglia di fare ugualmente apporre il rivestimento di zinco, con il c.d. rifascio, perché manca la certezza che il feretro non riprenderà a perdere dopo essere stato trasportato nel nuovo loculo. 
Alcune ditte di pompe funebri, invece, cercano di minimizzare questo rischio, sostenendo che “per una macchiolina” non sarebbe il caso di essere tanto fiscali.
È il tentativo maldestro di negare, di fronte alla famiglia, che la loro cassa non aveva mantenuto le aspettative. Insistenze inutili, perché tanto si decide d’ufficio autonomamente, secondo protocollo convenuto anche con l’autorità sanitaria.

Essere estranei al mondo dei cimiteri, di per sé molto chiuso e settario, può esser un vantaggio, non ci sono problemi a scontentare qualche ditta, di tanto in tanto.
Per riempire proficuamente le pause forzate (tempi morti, tra un ispezione feretro ed un altra) comincio anche ad interessarmi alle caratteristiche edilizie delle tombe: una passeggiata in cimitero, con occhio critico, è una buona opportunità per studiare i rischi lavorativi dovuti a manufatti regolarmente autorizzati ma inadeguati.
Mi riferisco a tombe ed edicole in possesso nominalmente dei requisiti previsti almeno dall’ultimo e vigente regolamento nazionale di polizia mortuaria (in ultima istanza procedura di deroga ex art. 106 D.P.R. n. 285/1990), ma progettate senza tenere conto delle reali difficoltà che comporta la mobilizzazione di un feretro: botole strette, diametri insufficienti, dislivelli, sono tutti fattori di rischio per gli operai.
Pur essendo digiuno in materia di edilizia sepolcrale (grave lacuna!) e di sicurezza sul lavoro (materia che invece non rientra fra le mie strette competenze) vorrei elaborare quanto rilevo facendomi aiutare anche da qualche volenteroso… Chi sa, parli!
Segnalo alcuni articoli già pubblicati da I.S.F., e presenti in banca dati qui su www.funerali.org, con proposte per un’edilizia cimiteriale più attenta alle ragioni dell’ergonomia. Solo saltuariamente ci tombe delle quali prendere nota, esclusi i reparti monumentali.
Con tanto tempo libero, allora, mi piace scambiare qualche parola con i familiari (sempre più rari), che assistono alle operazioni cimiteriali, senza essere invadente: se hanno voglia di parlare, li ascolto sempre..
Ammiro in modo particolare certi anziani sereni, concreti, bene attenti a predisporre le cose in previsione della propria morte. Un esempio prezioso, in una società velocissima pure a rimuovere costantemente questo pensiero.

Written by:

Carlo Ballotta

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