Ho visto fare cose in cimitero…

Cari lettori,

con il titolo di questo post ovviamente ispirato al celebre monologo finale del film Blade Runner, vorrei sottoporre alla Vostra attenzione alcuni spunti di ragionamento scaturiti dalle mie solite quattro chiacchiere con un “collega” necroforo e conoscente (in bar s’incontra, infatti, brutta gente!) che ho bonariamente corrotto con qualche drink a forte gradazione, tanto così per rendergli più spigliata e facile la favella espositiva.
Mi segnalano, dunque, comportamenti discutibili, ma ahinoi necessari, ascrivibili genericamente al personale necroforo dei cimiteri sempre più costretto a condizioni di lavoro impraticabili.
Queste azioni seriali comportano ed implicano, a mio avviso non tanto un problema di legittimità operativa, anche se sono marginalmente contemplate anche dall’art. 75 comma 2 D.P.R. n. 285/1990, da leggersi molto estensivamente, bensì un enorme fattore di rischio per la salute lavorativa di tutti costoro.
Non mi riferisco più alla questione delle c.d. sogliole sì/no/forse, ne abbiamo già diffusamente trattato in redazione con articoli dedicati, ma ad una nuova zona grigia del protocolli per operare correttamente durante esumazioni ed estumulazioni.

La prima fattispecie è ravvisabile proprio nelle esumazioni, quando, molto in teoria, al compimento del turno ordinario di rotazione si dovrebbero rinvenire solo ossa, ed invece non è sempre così…
Già il legislatore è conscio di quest’evenienza tutt’altro che improbabile ed ha emanato la circ. min. n. 10/1998 e soprattutto il D.P.R. n. 254/2003, cui seguirono due importantissime risoluzioni ministeriali, la seconda riguarda tutt’oggi il cofano da utilizzare per il trasporto degli indecomposti.
Uno dei motivi per cui bisognerebbe supplicare, per una maggior collaborazione, tutti gli istituti di medicina legale ed anatomia patologica è proprio non tanto il contenitore (spesso si commettono errori usando bara inidonea e non biodegradabile se avviata a inumazione) questa volta, ma il modo in cui vengono trattati e poi confezionati reperti e parti anatomiche (nonché cadaveri) dopo i dovuti accertamenti clinici o per causa di giustizia.
Il caso più semplice è il metodo di conservazione: l’abuso di formalina, sistema invero più collaudato e sicuro ma dagli esiti disastrosi sulla decomposizione della materia organica.
In luogo della sostanza periossidante, sarebbe meglio ricorrere alla semplice e momentanea refrigerazione, come mi suggerì, a suo tempo, anche l’ing. Daniele Fogli in risposta ad un mio quesito querulo e pettegolo.
Se non si fa, però, qualche ragione forse molto pragmatica ma poco di buon senso, dovrà comunque sussistere, forse pure di ordine economico o di certezza del risultato da conseguire nell’immediato.

Sempre durante le esumazioni sovente si rileva ancora la presenza in fondo alla fossa, tra le assi della cassa sfasciata, di cadavere racchiuso ermeticamente nel sacco impermeabile da recupero salme in cui fu sommariamente ricomposto prima della sepoltura. Si rimarca l’assoluta tenuta del sacco, durante tutto il periodo legale di sepoltura.
Infetti? In prospettiva di un futuro remoto “codici Y” con defunto Covid-19 positivo? Cadaveri maciullati o in avanzato stato di putrefazione (transitati ovviamente da medicina legale) di cui non sia stata possibile una decorosa vestizione o l’esposizione rituale…???
Il contenuto del body bag è facilmente intuibile (resto mortale con parti molli e liquidi ristagnanti), dopo questa constatazione lapalissiana si apre la terra di nessuno, perché – mi spiegavano – qui da noi (Emilia Romagna) i cimiteri sono stati demedicalizzati, con la vigilanza sanitaria ormai rarefatta se non addirittura abrogata per L.R. n. 19/2004 e successivo regolamento di implementazione n. 4/2006, e ciò è pacifico, ma parallelamente non c’è nessun servizio cui affidarsi per dirimere il dubbio: come procedere? Forse si potrebbe interessare la locale struttura di medicina legale, essa in Emilia-Romagna ha competenze molto ampia sulla polizia mortuaria, in certi ambiti anche eccedenti il mero servizio necroscopico.

Ad onor del vero, in questo frangente, pure la sola supervisione da parte di personale sanitario potrebbe rendersi inefficace (qualcuno dovrà sporcarsi le mani nella terra fangosa…), fatto salvo il potere di vietare tout court interpretazioni troppo disinvolte del disseppellimento per determinate categorie di defunti, in attesa di nuove direttive, finalmente chiarificatrici.
Un rinvio dell’esumazione non sarebbe idonea misura, siccome prima o poi si dovrebbe porre mano all’operazione, così scavare più a fondo e reinumare nello stato in cui si trova il resto mortale, significherebbe solo nascondere l’evidenza: il body bag rimarrebbe integro e con esso il corpo in esso deposto.
Semmai, mi hanno insegnato, il piano di posa del nuovo “feretro” da re-inumare dovrebbe al contrario esser alzato rispetto al livello minimo fissato dal Reg. Reg, ancora di più, così da favorire l’ossidazione e conseguente disgregazione dei tessuti morti in tempi realisticamente certi.

Il crematorio, poi, qui nel mio Comune almeno – solleva parecchie obiezioni, foriere di potenziali contenziosi (da scongiurare subito!), pure per imprescindibili e tassativi motivi di salubrità dell’ambiente, quindi, in ultima analisi si debbono arrangiare quelli là, quelli del cimitero.
Le imprese funebri che effettueranno il trasporto verso l’impianto debbono consegnare solo contenitori mortuari… “a norma”. Il comando è imperativo. È curioso lo scarica barile tra la direzione del crematorio ed i principali gestori dei cimiteri, individuabili nel potenziale bacino di utenza territoriale.
Questo rimpallo continuo di responsabilità non favorisce certo un buon rapporto con il cittadino, fruitore vero ed ultimo dei servizi funerari.
E qui, pur di accontentare un po’ tutti, si assiste al festival dell’ingegneria necroforica applicata di pura sopravvivenza da parte degli sfortunati operatori cimiteriali che si debbono arrovellare non poco per improvvisare un rimedio fattivo.

Il body bag ancora integro (“tragicamente” simile allo zinco di cui all’art. 75 comma 2 D.P.R. n. 285/1990) va tagliato prima e svuotato poi, si spera in maniera ortodossa e rispettosa dei diritti di pietas e della salute dei vivi, aspetto da non dimenticarsi mai!
Dunque: se originariamente il feretro da inumare fu imbragato in un rete di contenimento (utilissima, per altro) tutto sembrerebbe leggermente più semplice, grazie al mezzo meccanico di movimentazione terra presente a bordo fossa, tuttavia bisogna procedere manualmente perché se durante il sollevamento il sacco dovesse per disgrazia rompersi o aprirsi altissima sarebbe la probabilità di perfusione di materiale putrefattivo guasto in tutto l’ambiente esterno circostante.
È allora giocoforza organizzarsi così: un affossatore si cala sul piano di posa del feretro, in fondo alla fossa e interviene materialmente sul sacco da recupero, per manometterne o, comunque, neutralizzarne l’impermeabilità.

Ecco – finalmente la mia prima domanda: queste operazioni, per giunta non codificate da nessuna procedura scritta non sono oggettivamente troppo pericolose, per la possibilità di effettiva contaminazione con agenti patogeni ed insani liquami post mortali?
Non mi dilungo volutamente nei dettagli più “macabri”, ma l’idea di un necroforo che scenda nella buca armato di lama o cutter per tagliare in più punti l’involucro flessibile e lasciar defluire ora sì liberamente il percolato cadaverico è davvero terribile, qui la sicurezza va davvero a farsi benedire!
Esagero io (trattasi pur sempre di lavori disagiati) o si potrebbero davvero intravedere coraggiosi margini di miglioramento per le condizioni di vita di chi lavora in cimitero, con le mansioni più umili e pericolose?
Quale la Vostra opinione in merito?

Written by:

Carlo Ballotta

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