Feretri non cremati: Senti chi parla.

Il 28 settembre, nel corso della trasmissione “Mi manda RAI3” è stata affrontata la situazione verificatasi nei dintorni di Roma di comportamenti “anomali” (non si usano altri termini, essendo in corso attività d’indagine giudiziaria) in materia di cremazione. In sostanza, è emerso come un certo numero di feretri conferiti ad un impianto di cremazione di Roma, anche da tempo, non siano state cremate, ma che alle famiglie sia stato fatto intendere che la cremazione fosse avvenuta normalmente. Già la situazione è, in sé grave, al punto che diventa difficile individuare aggettivi per qualificarla e richiede, a questo punto, solo l’accertamento (con quanto ne consegua) delle responsabilità nei diversi ordini, rispetto a cui non si può che “stare dalla parte” delle famiglie interessate, senza remore e distinguo.

Per altro, la trasmissione, che non da oggi imposta i propri servizi avendo già giudicato chi sia responsabile, voleva sostenere la tesi di una responsabilità dei soggetti istituzionali ed aziendali coinvolti, cioè che la situazione fosse imputabile all’AMA Spa, al comune di Roma (che mai c’entra?), al comune di Fiumicino. Punto. Si, vi è stato qualche cenno ad altri, come all’impresa (o, alle imprese) di onoranze funebri, ma sul punto il loro ruolo è stato fatto apparire quasi fosse eventuale, senza grandi sottolineature. In questo senso anche il legale cui si appoggia la trasmissione. Non si è voluto cogliere, al contrario, il fatto che, assieme alle famiglie, sono stati danneggiati, e non di poco (ovviamente, senza paragoni con il danno, anche esistenziale, dei familiari, cui va tutta la solidarietà e non solo), proprio questi soggetti in questa sede gabellati per responsabili (e, sia chiaro, non si discute delle responsabilità oggettive, come quella dell’azienda o dell’ente in relazione ai fatti illeciti commessi da personale dipendente (ma sarà la magistratura a valutare ciò), tanto che vi è, o vi sarà (dipende dalla fase del procedimento giudiziale) la costituzione di parte civile (che pure significa quale cosa).

Data l’impostazione pre-giudiziale, non è stato dato grande risalto al fatto che l’indagine della magistratura ha preso l’avvio, vedi caso, proprio dalla segnalazione dell’AMA Spa, che, affidataria del servizio, sta, e da tempo, ponendo in essere misure per il miglioramento dei servizi (si dovrebbe anche ricordare quale fosse la situazione prima dell’affidamento del servizio, tutte le misure che, mano a mano, sono state adottate dopo l’affidamento del servizio per interventi che rimuovessero le “anomalie”, l’esigenza tuttora presente (i mutamenti non si realizzano istantaneamente) di dare regole, attuate, “serie” nella direzione di tagliare le unghie ai comportamenti illeciti. E su tali obiettivi si sono impegnati, a volte scontandolo, i quadri dirigenti di vertice dei Servizi Funebri di AMA Spa (si dimenticano le intercettazioni telefoniche di precedenti vicende giudiziarie nelle quali emergeva la volontà di “far fuori” il direttore al tempo in funzione e chi avesse queste velleità?), fino ad arrivare all’attuale direttore, V.B. BORGHINI, direttore da non molto tempo, ma rispetto a cui la trasmissione ha sottolineato come provenisse da altro “ambiente lavorativo”, l’Arma dei Carabinieri in cui aveva il grado di colonnello, al punto da chiamarlo, in trasmissione, con quella qualifica di grado e non quale direttore attuale, quasi che la sua assunzione sia stata motivata dal CdA di AMA Spa per “avere i Carabinieri” in casa, come se il suo ruolo in azienda dovesse essere non quello del direttore, ma di colonnello dei Carabinieri. E l’intervento in trasmissione di BORGHINI non è piaciuto alla conduzione della trasmissione, perché, con chiarezza e trasparenza, ha smontato la tesi della responsabilità (che si voleva esclusiva) dell’azienda.

Si dovrebbe anche considerare come la conservazione dei feretri in attesa di cremazione costituisca, ed abbia costituito, un costo, il cui onere non può che essere posto se non a carico delle famiglie allo stato della legislazione (e su questo sembra proprio che AMA Spa non abbia preteso nulla, anche se le disposizioni sulla responsabilità patrimoniale operano anche nei riguardi delle aziende partecipate dai comuni), ma neppure si è considerato l’aspetto per cui la conservazione sia stata il prodotto dell’inerzia delle parti che dovevano provvedervi (ed è stato detto, esplicitamente, come i solleciti alle I.O.F. risultavano improduttivi, suggerendo l’esigenza del contatto diretto nei confronti dei familiari, che, vedi caso, è stato proprio il momento da cui questi hanno avuto conoscenza di quanto avvenuto); si è preferito, sottolineare la discrasia tra la norma regolamentare sui termini tra l’arrivo al crematorio e l’effettuazione della cremazione, rispetto al tempo di effettivo deposito di conservazione (in attesa di “decisioni” da parte dei familiari o, più semplicemente, dei titoli autorizzatori della cremazione): certo, la disposizione regolamentare poteva essere semplicemente rispettata, bastava che il giorno successivo venisse provveduto all’inumazione in campo comune (non in fossa comune, che è ben altro!), con oneri a carico della famiglia, spettando l’onere della diligenza a presentare l’autorizzazione alla cremazione ai familiari, sia che agissero direttamente che a mezzo di soggetti incaricati (e si dovrebbe vedere se questi ne abbiano ricevuto mandato e, prima, se dispongano dei titoli per esercitare tale attività che non sono certo quelli di un recapito telefonico, di un ufficio (più o meno grande), magari anche di un carro funebre). Se, astrattamente, vi fosse stato un tale rispetto della norma, probabilmente vi potevano essere materiali per una diversa trasmissione, incentrata sul fatto che la cremazione non era avvenuta a causa del decorso del termine di conservazione in deposito ….

Tuttavia, la “cosa bella” è stato il fatto che, per dare la rappresentazione di come avvenga e dovrebbe avvenire la cremazione, si è ricorsi ad un servizio presso un impianto di cremazione privato, con riprese sull’attività di controllo della documentazione, delle modalità di identificazione delle ceneri ed altro, fornendo un’immagine quasi idilliaca. Solo che questo impianto si trova al di fuori dell’area cimiteriale (violazione dell’art. 343 TULLSS), è privato e gestito da privati (violazione dell’art. 6, 2 L. 30/3/2001, n. 130), non si conoscono i soggetti che, ai diversi livelli, abbiano rilasciato le autorizzazioni all’esercizio, non fornisce i dati di rilevazione delle cremazioni (non è un obbligo giuridico, ma vorrà dire pure qualche cosa il rifiuto a fornire i dati sulle cremazioni effettuate) e, vedi caso, sembrerebbe interessato ad un’indagine della magistratura per …., insomma, qualcosa di fronte a cui la situazione oggetto della trasmissione apparirebbe lieve o, almeno, molto simile.

Il punto diventa, semmai, altro, non solo quello di individuare le effettive (e, tutto sommato, ben individuabili) responsabilità delle persone e delle imprese coinvolte (e si trascurano le possibili fattispecie di reato o di comportamenti illeciti, aspetto sul cui versante opera la magistratura), in parte neppure quello di procedure “codificate” di vigilanza e controllo (per altro già presenti nell’ordinamento), quanto quello di prevenire che soggetti non legittimati, non professionalizzati, non attrezzati e strutturati svolgano attività al di fuori della correttezza imprenditoriale, specie in un ambiente dove il ricorso a pratiche “anomale” emerge sempre di più (e dall’attività della magistratura) essere all’ordine del giorno. Non a caso, si fa ricorso a termini quali lo “sciacallaggio”, la “caccia al morto” ed altri, per segnalare come nel settore le regole di correttezza ed imprenditorialità siano in sofferenza (quando vi siano).

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Sereno Scolaro

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