Replico brevemente ad alcuni appunti mossi sulla questione delle c.d. “sogliole” cimiteriali, argomento da me già trattato con due distinti articoli tematici, di cui uno di recente pubblicazione, e qui liberamente reperibile.
In buona sostanza, almeno qui, nella provincia di M. importante città dell’Emilia-Romagna, seppur a macchia di leopardo (vi sono infatti, Comuni che vietano, mentre altri paiono accogliere la possibilità dei feretri a sogliola) si è affermata, appunto, una particolare tecnica di confezionamento per esiti da fenomeno cadaverico di tipo trasformativo conservativo destinati alla tumulazione: il feretrino “slim”.
Detta cassa di solo metallo entro cui racchiudere i resti mortali da tumulare permette di ottenere due effetti:
1) massimizza la capacità recettiva di ogni singolo loculo: sempre uno ed un solo feretro, ma pure più urne cinerarie cassette ossario e…qui c’è la novità, almeno nella mia zona: non meglio definiti “contenitori per resti mortali”, sino alla completa saturazione di tutto lo spazio sepolcrale disponibile.
2) preserva la salute pubblica dal contagio di eventuali e residue percolazioni cadaveriche, ancorché tutte da verificare, perché il nastro di zinco viene chiuso ermeticamente, in ogni caso, come invece non avverrebbe con l’uso del solo legno.
Questa tendenza cimiteriale della sogliola si registra soprattutto per evitare i costi di trasporto e cremazione salma indecomposta o quando gli aventi diritto all’atto dell’estumulazione per loro personalissime ragioni ideali siano contrari alla cremazione, ma parimenti interessate a liberare un posto feretro: per es. c.d. spurghi da cappelle gentilizie o comunque, da tumuli famigliari plurimi).
La sogliola si configura come un semplice cofano di zinco, più basso e sottile di una normale cassa metallica da tumulazione, ma il resto mortale (spesso disseccato e prosciugato…almeno in parte) vi viene adagiato agevolmente nel senso della lunghezza, senza dover per forza fratturare o spezzare gli arti.
Questi sì sarebbero gesti cruenti è, quindi, vietatissimi, convengo con l’amara considerazione finale di molti nostri abituali lettori, che conducono a conseguenza pesanti, sotto molti profili (sanzionatorio-amministrativo, disciplinare…penale!).
La ri-tumulazione soggiungo malignamente io, è un opzione sciagurata, ma contemplata pur sempre dalla legge, il Min. Salute, però, quando parla di contenitori per resti mortali si riferisce prevalentemente ad una situazione di loro movimentazione o trasporto, nulla si dice sulla loro nuova sepoltura in loculo, se non prescrivendo il c.d. rifascio/avvolgimento quando si dovesse riscontrare la presenza di rimanenti parti molli con pericolo di miasmi e percolazioni cadaveriche.
Spesso durante l’estumulazione, quando si rimuovono i coperchi, si nota come la spoglia mortale sia solo in parte scheletrizzata e nel trasbordo dall’originario cofano alla… “sogliola” i resti mortali tendono a scomporsi e sfasciarsi, con distacco naturale di intere porzioni del corpo, spesso quelle più periferiche mentre in altre aree (tronco soprattutto, viso, testa…) è, e resta ben visibile la consistenza di tessuto organico non mineralizzato, ben apprezzabile, anche sotto il profilo… olfattivo, oltreché al tatto!
Pertanto – forse – ricomporre i resti mortali entro una “sogliola” non integra gli estremi di un’operazione violenta, perché non necessita di nessuna azione brutale di riduzione coatta in cassetta ossario ad esempio; infatti le dimensioni di una sogliola, fatta salva la linea di cintura più bassa assomigliano a quelle di una normale cassa di zinco standard, almeno nella lunghezza e larghezza.
Non è ancora chiaro se questo strumento abbia prima ricevuto formale “cittadinanza” in qualche fonte cogente locale (Regolamento Comunale di Polizia Mortuaria in primis, ma anche ordinanza con cui disciplinare compiutamente e nel dettaglio le operazioni di disseppellimento defunti) o sia semplicemente una pratica invalsa da tempo immemorabile che si legittima da sola, in forza di un uso costante ed incontrastato nel corso di tanti decenni.
Anni addietro, difatti, sarebbe stata obbligatoria la presenza di personale A.USL, quindi un minimo di controllo e vigilanza sarebbe stato comunque garantito da un soggetto tecnico, terzo rispetto ai necrofori in servizio presso il cimitero e neutro anche in relazione alle istanze interessatissime dei concessionari.
Spesso sono proprio i famigliari del de cuius oggetto di verifica sulla sua scheletrizzazione, preso atto dell’impossibilità a procedere subito con la raccolta di tutte le ossa, sciolte quindi le une dalle altre, ad esercitare garbate pressioni, perchè sia consentita la “sogliola”.
C’è chi si spingerebbe anche oltre, con richieste del tutto inappropriate cui va sempre opposto un fermo diniego, è sempre, però, consigliabile un approccio elastico e non troppo fiscale, molto dipende dalle contingenze riscontrabili solo al momento.
Ragionando in prospettiva di una nuova politica per la città dei morti, e considerato l’unico atto istruttivo di valore nazionale (Circ. Min. Sanità 31 luglio 1998 n. 10), a quanto sembra in queste esperienze territoriali di gestione cimiteriale vengono tollerate procedure non conformi alle indicazioni del competente Dicastero, se si ricorre ancora abbondantemente alla fattispecie della sogliola.
Difatti la circolare n. 10/98 prevede il feretro con la ricostituzione della impermeabilità. Quindi legno più zinco.
È il paragrafo 3) …così recita:
È altresì consentita la tumulazione nella stessa o in altra sepoltura. In tal caso è d’obbligo il ripristino delle condizioni di impermeabilità del feretro quando il personale dell’ASL che sovrintende alle operazioni cimiteriali constati che le condizioni della salma, per presenza di parti molli, siano tali da prescrivere il cosiddetto “rifascio”.
È consentito addizionare al resto mortale particolari sostanze favorenti la scheletrizzazione, come già specificato al paragrafo 2.
Ma sappiamo che la legge statale conosce solo la tumulazione stagna e quindi non si può che ri-tumulare il feretro con le condizioni dettate pur sempre per la tumulazione stagna.
Se si volesse affrontare veramente il problema della scheletrizzazione del resto mortale da non avviare a cremazione, ma mantenere in tumulo è sbagliato l’impiego, dal punto di vista tecnico, della sogliola (perché viene ancora interrotta la scheletrizzazione per assenza di ossigeno).
Per noi, in questi casi, la soluzione migliore sarebbe quella della sola cassa di legno, senza zinco, ovvero creare ex novo i requisiti strutturali della tumulazione aerata, aiutandola anche, se necessario, con addizione sui resti mortali di sostanze biodegradanti.
Giusto per enucleare bene questo passaggio fondamentale: almeno con i resti mortali si potrebbe tranquillamente transitare, in modo progressivo e fattivo, dalla tumulazione stagna alla sepoltura aerata (quindi con vaschetta e filtro). Un po’ più di coraggio non guasterebbe, o almeno così potrebbe pure essere.
Onestamente oggi con con la “sogliola”:
– se si interviene malauguratamente su cadavere è ovviamente violazione penale, ossia reato.
– se non si interviene proprio sul cadavere, ma sul semplice “resto mortale” è, comunque violazione del D.P.R. n.285/1990.
Questa distinzione semantica non è capziosa o un banale sofisma, poichè la stessa Giurisprudenza oscilla inquieta sull’interpretazione corretta da fornire al termine giuridico “cadavere”, mentre il resto mortale dovrebbe essere solo la conseguenza del mancato dissolvimento di quest’ultimo, per cause avverse agli ordinari e tipici processi disgregativi della materia organica, nel post mortem.
Vi sono sentenze in cui non è ben nitida questa specificazione tra le due principali tipologie medico-legali di riferimento.
Dare la possibilità di legittimare la “sogliola” potrebbe essere pure un’idea, rischiosa però, per l’eccessivo margine di discrezionalità; perché facile sarebbe cadere nell’arbitrio di necrofori ed affossatori poco formati e che, spesso si trovano a lavorare in condizioni di oggettivo disagio, non disponendo delle necessarie competenze medico-legali, squisitamente di spettanza sanitaria.
Poi la polizia mortuaria si sta inesorabilmente de-medicalizzando e bisognerà prima o poi prenderne atto.
Le A.USL (o comunque denominate localmente) sempre più tendono a disinteressarsi del problema “cimiteri”, soprattutto per carenza di risorse: umane, finanziarie…e si ritraggono dai loro doveri istituzionali, solo nominalmente ormai, prescritti dal D.P.R. n. 285/1990.
Applicare addirittura personale medico per sovrintendere alle operazioni cimiteriali pare ultroneo francamente, però una qualche azione di vigilanza sull’attività cimiteriale maggiormente incisiva da parte dei Comuni su – ad esempio – su questo curioso fenomeno delle sogliole cimiteriali sarebbe quasi…obbligatoria a questo punto, almeno con fine ricognitivo.
Ma occorre una norma almeno regionale, per attuare ciò che nel gergo “necroforese” è comunemente soprannominato “sogliola”.
Difatti non esiste possibilità di usare un imballo diverso dal feretro inteso nella sua interezza, allo stato dell’attuale normativa, per la tumulazione stagna.