Cara Redazione,
Sarebbe possibile, ed a quali “condizioni”, tumulare un cadavere già inumato pochi anni fa?
Personalmente trovo ostativo il confezionamento (o meglio, la strutturazione) della bara incompatibile, perché è diversa per i due tipi di seppellimento!
Tecnicamente sarebbe pure abbastanza semplice: se la cassa di legno si presenta in ottime condizioni ed ha spessore almeno di 25 mm., si rifascia con un cassone di zinco e si autorizza il trasporto nel Comune secondo le usuali procedure per esumazione straordinaria con autorizzazione al trasporto, con destinazione la tumulazione.
Questo non autorizza all’apertura del feretro, in quanto lo stesso è destinato ad altra sepoltura. È invece rilevante controllare lo stato del confezionamento all’atto dello scavo della fossa.
Si ravvisa, però, un impasse procedurale assieme ad un altro di natura più squisitamente operativa; vediamoli, ora, nel dettaglio.
In linea di massima cioè considerando solo la normativa nazionale quadro, ossia il Regolamento Nazionale di Polizia Mortuaria il riferimento, di rigore, è all’art. 83, commi 1 e 2 d.P.R. 10 settembre 1990, n. 285, per cui (trascurando il comma 3 per il fatto che, in questo contesto, esso ha natura necessaria di ordine procedimentale spesso, ormai, disapplicata da molte regioni, le quali tendono sempre più a “de-medicalizzare” la polizia mortuaria) dovrebbe valutarsi se l’ipotesi del “trasporto in altre sepolture” possa assumersi, sotto il profilo della destinazione ultima , unicamente riguardo ad altre sepolture con la medesima tecnica, oppure possa essere estesa anche al caso di specie più problematico del trasporto in un’altra sepoltura a sistema di tumulazione.
Nelle sepolture a sistema d’inumazione, infatti, deve essere necessariamente impiegato un feretro avente le caratteristiche stabilite all’art. 75 d.P.R. 10 settembre 1990, n. 285. mentre per le sepolture a sistema di tumulazione, i requisiti tecnici devono essere quelle degli artt. 30 e 31 d.P.R. 10 settembre 1990, n. 285, stante il richiamo esplicito da parte dell’Art. 77), queste norme non si differenziano solamente per l’impiego della sola cassa di legno nella prima fattispecie e per la duplice cassa nella seconda, ma, altresì, per questo motivo: la cassa in legno presenta parametri costruttivi (es. per quanto riguarda gli spessori) differenti, allora si potrebbe – forse – pervenire ad una risposta negativa. La filosofia di fondo, che sottende la norma è chiara: nelle inumazioni la cassa di legno, dopo un certo tempo, deve “sfasciarsi” sotto il peso del terreno, per permettere i naturali processi di mineralizzazione della materia organica, nella tumulazione, invece, dove prevalgono gli elementi di conservazione delle spoglie mortali, il cofano di legno massello più robusto, abbinato alla controcassa di metallo, deve contenere e racchiudere il defunto, anche se inibendone la decomposizione almeno per tutto il periodo legale di sepoltura, allo scadere del quale il cadavere viene classificato come resto mortale ex Art. 3 comma 1 lettera b) DPR 15 luglio 2003 n. 254 (si veda anche Cassazione Penale n.958/1999) Per i trattamenti consentiti sui resti mortali, visto l’Art. 87 DPR n. 285/1990, si rimanda alla Circ. Min. n.10/1998.
Tuttavia, prima di pervenire a questo risultato di diniego assoluto, ancorché pur sempre motivato ex Legge n.241/1990, potrebbe essere opportuno valutare se possa aversi un diverso confezionamento del feretro, ponendo subito la questione se, a questi fini, sia ammissibile che il cofano stesso possa essere oggetto di sostituzione.
Tale ipotesi del tutto teorica, però, va esclusa in quanto, una volta compiuto il periodo di osservazione, ed avvenuta la sigillatura della bara, quest’ultima non è più suscettibile di interventi di apertura, manomissioni o sostituzioni.
Per essere più precisi, per altro si deve considerare come vi sia un’unica eventualità in cui, legittimamente, si possa intervenire sul feretro, essa è quella data dall’art. 75, comma 2 d.P.R. 10 settembre 1990, n. 285, la quale, per altro, è applicabile sono nel frangente in cui debba procedersi ad un’inumazione di un feretro dotato di controcassa di zinco (che, si ricorda, costituisce pur sempre, almeno sotto il profilo normativo, la forma ordinaria di sepoltura, essendo la tumulazione pratica funeraria semplicemente ammessa, tollerata).
Per altro, partendo dal presupposto che non possano aversi interventi sul feretro, quanto meno di apertura, per quanto temporanea essa possa essere, potrebbe ravvisarsi una soluzione, obiettivamente poco efficiente e macchinosa, per cui si potrebbe anche consentire di collocare il feretro esumato, sempre che il dirigente comunale ritenga di poter autorizzare l’esumazione straordinaria, all’interno di un ulteriore feretro confezionato nell’osservanza delle disposizioni degli artt. 30 e 31 d.P.R. 10 settembre 1990, n. 285.
Questa operazione comporterebbe il reperimento di una cassa di legno di dimensioni sufficienti ad accogliere l’originario feretro, cioè quello con cui è stata effettuata l’inumazione, ed altrettanto, poi, bisognerebbe fare riguardo alla cassa metallica, e sarebbe, invero, del tutto indifferente la collocazione di questa all’interno o all’esterno della “nuova” cassa lignea. L’ordine in cui disporre i due cofani, infatti, è libero ai sensi dell’Art. 30 DPR n. 285/1990 e del parafo 9 Circ. Min. n. 24/1993.
Comprensibilmente, anche quando questa sostanziale duplicazione del feretro potesse esser tollerata, sarebbe quanto meno opportuno verificare se il sito in cui sia prevista la tumulazione abbia dimensioni fisiche tali da poter accogliere un tale feretro, così “fuori misura”, ma non sempre una simile soluzione è possibile, specie quando si tratti di sepolcri a tumulazione di costruzione standard, non dimentichiamo, poi, come lo Jus Sepulchri ex Art. 93 DPR n.285/1990 si esaurisca ed estingua una volta raggiunta e saturata la massima capacità ricettiva del sepolcro.
X Laura,
Il gestore del cimitero non è, per legge, tenuto, a comunicare l’inizio delle operazioni cimiteriali, quando, tuttavia, avvisa personalmente, ed in maniera molto opportuna, i famigliari dei defunti soggetti ad esumazione/estumulazione si muove in un ambito di mera cortesia istituzionale.
Di solito delle esumazioni/estumulazione si dà notizia generale alla cittadinanza attraverso pubbliche affissioni.
Nel silenzio della norma statale, vale quanto disposto, nel dettaglio, dal regolamento di polizia mortuaria comunale.
Difatti lapidi, segni o monumenti funebri, diversi dal semplice cippo identificativo obbligatorio, che siano stati posti nel campo comune, ex Art. 62 DPR n. 285/1990, al termine dell’uso, diventano, attraverso l’istituto dell’accessione di cui all’Art. 934 e segg. Cod. Civile , di proprietà del Comune, il quale li destina secondo quanto stabilito dal regolamento stesso.
Nei grandi Comuni sussistono vere e proprie commissioni artistiche per i cimiteri ed esse intervengono in caso di elementi di pregio.
In altri Comuni il regolamento affida il compito di decidere se considerare o meno rifiuto i resti lapidei provenienti da esumazione/estumulazione, al responsabile del cimitero che sovrintende alle operazioni cimiteriali.
Ove questa procedura non fosse scritta nel regolamento spetta al sindaco, che è titolato per legge (vedi art. 82, comma 4 del DPR 10 settembre 1990, n.285) a regolare le esumazioni, stabilire con propria ordinanza il modo di comportarsi in tali situazioni, vale a dire quale soggetto sia competente a decidere (in genere il responsabile del cimitero) come e dove vada avviato (smaltimento o recupero) il materiale di risulta.
Se nulla viene deciso in tal senso, il materiale può essere riutilizzato all’interno del cimitero o trattato come rifiuto ai sensi del DPR 15 luglio 2003 n. 254.
In ogni modo è il regolamento comunale a dover disciplinare l’intricato e complesso rapporto tra lo jus retinendi del privato cittadino e lo jus tollendi del comune, tenendo conto anche del vincolo di destinazione cui sono sottoposti gli arredi tombali.
La parte lesa nei suoi diritti di pietas (Lei nella fattispecie) potrà pur sempre instaurare un giudizio in sede civile per veder riconosciuto e risarcito il danno esistenziale patito.
Sconvolta trovandomi a vivere un’incubo….Mi reco al Cimitero Flaminio a far visita al mio bambino,la scena e’ devastante,il campo radicalmente raso al suolo….Senza preavviso,nonostante i miei continui interessamenti.Mi viene confermato da un’addetto, che vi e’ stato un’errore “umano”,praticamente uno scambio-campo. A fatica,ho ritrovato i resti del mio bimbo accatastato in un luogo dimenticato da Dio con breve giacenza. Ho reclamato quanto era di mia appartenenza, “gli arredi”,in particolare “l’angelo” che lo rappresentava,mi e’ stato riferito che tutto e’ andato distrutto. Cio’ che chiedo cortesemente : quali sono i diritti? Esiste un “penale” in tutto questo? Da chi veniamo tutelati,e sopratutto rispettati?