Elementi procedurali per provare la sussistenza dell’atto concessorio, in assenza di un titolo formale

Bisogna costantemente premettere come, in linea di massima, e sotto il profilo tecnico del diritto civile, ogni qual volta difetti, per qualsiasi motivo, il titolo formale di un rapporto giuridico, ancorché in essere, o, se prevista, manchi la diligente redazione di un pubblico registro predisposto per la prova documentale e la tutela di determinate situazioni giuridicamente rilevanti, la verifica sulla fondatezza dello stesso o la sua dimostrazione non possa non aversi se non con sentenza del giudice, passata in giudicato, che accerti la sussistenza, del rapporto giuridico oppure acclari l’esistenza del diritto vantato (art. 2907 Cod. Civile.), l’istanza di detto accertamento è avanzata da parte di chi vi abbia interesse (art. 100 Cod. Proc. Civile), mentre l’onere della prova fa carico all’interessato richiedente (art. 2697 Cod. Civile), secondo il celebre brocardo latino, infatti: “Onus probandi incumbit actori”.

Le concessioni cimiteriali afferiscono ad ogni tipologia di sepoltura dedicata e, quindi, differente dalla normale (nel senso proprio di istituzionale!) e tradizionale inumazione in campo comune e, come tali sono definite quali sepolcri privati nei cimiteri, oggi, ex Capo XVIII D.P.R. 285/90, esse hanno il carattere di titolo di uso particolare (uti singuli) di area o edificio (o porzione dello stesso) demaniale; bisogna, quindi, rammentare sempre come quest’ultime  possano, in quanto tali, costituire oggetto di diritti da parte di terzi privati solo nei modi e nelle forme ammessi dalle norme speciali che disciplinano i beni demaniali o, meglio, gli specifici beni demaniali (art. 823, comma 1 Cod. Civile), cioè, nel nostro caso dai regolamenti nazionali di polizia mortuaria, emanati dal Governo Centrale, vista l’incompetenza assoluta delle Regioni a legiferare sull’Ordinamento Civile ex art. 117 comma 2 lett. l) Cost.

La presenza di un regolare atto di concessione, ai sensi dell’art. 98 D.P.R. 285/90 (formula aulica, ma sempre molto efficace…e poi sono le testuali e sacre parole del Legislatore!) è condicio sine qua non perché l’amministrazione comunale, in quanto titolare ultima del demanio e, dunque dell’impianto cimiteriale ex art. 824 comma 2 Cod. Civile, possa riconoscere la sussistenza di una posizione soggettiva di intestazione su una concessione cimiteriale, da cui, poi, originerebbe, di riverbero lo Jus Sepulchri, attivo e passivo, nonché ogni diritto di gestione sul sepolcro stesso.

In carenza di regolare atto di concessione cimiteriale, il soggetto che assuma di essere titolare di diritti di sepolcro istituiti, comunque, in maniera conforme alla Legge e dei quali sia venuta a mancare la prova tangibile per gravi fatti oggettivi (distruzione, incendio, furto, smarrimento… et coetera mirabilia!), magari nemmeno a lui direttamente imputabili per pura negligenza o disattenzione, può far valere la propria pretesa avanti al giudice, in sede civile, avvalendosi degli ordinari meccanismi predisposti, all’uopo, dal diritto privato (anche se non andrebbe mai sottovalutato, né obliato come la parte interessata, nel rapporto concessorio dovrebbe sempre disporre anch’essa di una copia, in originale, del titolo in questione). Nel caso di specie andrebbe anche considerato come, fin prima dell’entrata in vigore del D.P.R. 21 ottobre 1975, n. 803, – ad esempio in regime di R.D. n. 1880/1942, ogni concessione cimiteriale, proprio per la “diffidenza” con cui il Legislatore ha sempre visto i sepolcri privati nei cimiteri in quanto essi sottrarrebbero spazio “vitale” alle quadre d’inumazione, fosse preceduta da deliberazione del Consiglio Comunale e soggetta all’approvazione del Prefetto.

Al nulla osta prefettizio sarebbe, poi, seguita la stipula ufficiale dell’atto di concessione, melius: della convenzione che sovente l’accompagna, in quanto la concessione è atto tipicamente unilaterale, in cui le parti stabiliscono le reciproche obbligazioni sinallagmatiche, allora sottoposto al visto di esecutività della G.P.A. (organismo soppresso con l’istituzione dei T.A.R. avvenuta con L. n.1034/1971). Questa serie di passaggi del passato, così articolata e composita, permetterebbe, ancor oggi, con una meticolosa ricerca a ritroso di enucleare, forse anche in assenza (a ragione di eventuali cause materiali) di un titolo cartaceo, l’eventuale perfezionamento dello Jus Sepulchri, così come potrebbero rinvenirsi, tra gli atti nell’archivio del comune, atti preliminari e documenti preparatori che consentano di apprezzare, con buona probabilità, se l’atto di concessione sia stato, a suo tempo, posto in essere.

Oltretutto, il visto di esecutività da parte della G.P.A. avrebbe implicato l’inoltro a questa di due esemplari dell’atto, uno dei quali sarebbe stato depositato nell’archivio della Prefettura e che, attualmente, non soggetto alla procedura di scarto, dovrebbe essere stato oggetto di riversamento nell’Archivio di Stato ex artt. 25, 26 e 27  D.P.R. n. 1409/1963 e s.m.i (il sullodato D.P.R. è stato quasi completamente superato, ora si vedano D. Lgs. 42/2004 e dPR 37/2001 (non abrogato dall’art. 184 del D.Lgs. 42/2004), ragion per cui non deve eccettuarsi, in assoluto, l’assenza di titoli probatori delle concessioni cimiteriali, anche nel caso in cui fatti avversi, ed eventi di forza maggiore, abbiano impedito la diretta consultabilità degli atti concessori presso il preposto casellario comunale.

Si consiglia, senz’altro, un’adeguata e proficua attività di ricognizione sugli schedari di cui l’ufficio di polizia mortuaria si è dotato, nel corso dei decenni, anche se possa essere, od apparire, inutilmente dispendiosa, incrociando i dati accessibili non sarebbe, poi, così impossibile addivenire ad una ricostruzione storica dello Jus Sepulchri de quo, rectius: del suo preciso momento genetico. Nell’ipotesi estrema ed esiziale che il non reperimento degli atti di concessione derivasse dalla loro totale omissione illo tempore, fatte salve le possibili responsabilità personali (probabilmente cadute in prescrizione, anche per sopraggiunta morte delle persone coinvolte, stiamo infatti ragionando di concessioni molto risalenti nel tempo), non resterebbe che addivenire a questa dolorosa (almeno per i presunti concessionari e loro aventi causa… se c’è stato subentro!) conclusione: la concessione cimiteriale è tamquam non esset, inesistente e, al più, si potrebbe pure esser concretizzato, nel tempo, un uso della tomba sine titulo, ovvero senza legittimazione alcuna, ossia un’occupazione di fatto o, meglio, abusiva.

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Carlo Ballotta

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