E’ morta Adriana Zarri. Pubblichiamo la epigrafe che ci ha lasciato

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E’ morta a 91 anni Adriana Zarri, una cattolica laica, teologa, scrittrice. L’ho conosciuta, ho scambiato con Lei alcune considerazioni durante un convegno nel 1989 (Pathos o Thanatos, Ferrara, 1989). Era persona di una semplicità disarmante, capace di farti sentire a tuo agio immediatamente, pur con argomentazioni di grande prodondità. Da più di trent’anni viveva “eremita” perché, diceva, il silenzia aiuta l’incontro. Ma il silenzio aiuta anche ad avere un occhio critico più attento sulla realtà.

Cattolica di sinistra Zarri scriveva per Concilium, Rivista di Teologia Morale, Micromega, Servitium, La Rocca e anche Il Manifesto. In molti casi critica verso le gerarchie ecclesiali alla morte di Papa Wojtyla scrisse per il Manifesto un inusuale e polemico ricordo del Pontefice: “Eletto papa la sua teologia (posto che teologia si possa dire ciò che fu una semplice norma pastorale) fu sotto il segno regressivo: vedi l’opposizione al sacerdozio femminile il ribadito assenso al celibato ecclesiastico, alle discusse norme contraccettive, alla morale sessuale e via dicendo”.

Anche riferendosi alla morte, il suo pensiero era controcorrente: “La morte è l’ultimo danno, l’ultimo disastro. Tutti hanno paura della morte, a cominciare da Cristo che ne ha avuto paura. chi sostiene che sia “amica dei Cristiani” forse non aveva neanche letto il Vangelo, perché Cristo ha avuto paura della morte, come tutti. La morte è veramente un passaggio terribile, poi sì ci aprirà le porte dell’aldilà, ma questo passaggio resta una cosa molto traumatica”.

Da un paio di giorni circola sul web (reperibile sul sito graphe.it) l’epigrafe che lei stessa da tempo si era scritta. Ve la proponiamo:

Non mi vestite di nero:
è triste e funebre.
Non mi vestite di bianco:
è superbo e retorico.
Vestitemi
a fiori gialli e rossi
e con ali di uccelli.
E tu, Signore, guarda le mie mani.
Forse c’è una corona.
Forse
ci hanno messo una croce.
Hanno sbagliato.
In mano ho foglie verdi
e sulla croce,
la tua resurrezione.
E, sulla tomba,
non mi mettete marmo freddo
con sopra le solite bugie
che consolano i vivi.
Lasciate solo la terra
che scriva, a primavera,
un’epigrafe d’erba.
E dirà
che ho vissuto,
che attendo.
E scriverà il mio nome e il tuo,
uniti come due bocche di papaveri.

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  1. DEDICATO A ADRIANA ZARRI
    E’ buio pesto,
    sono uscita
    dalla vostra vita
    alla chetichella,
    sotto una tintinnante pioggerella.
    Col mio solito passo lesto,
    ho camminato lungo un viale,
    intorno a me un mesto silenzio glaciale.
    Sotto un cupo cielo notturno,
    su cui si è aperto uno squarcio di sereno,
    saltello su un tappeto di foglie bagnate,
    anch’esse coricate sotto gli alberi,
    su cui sono nate,
    le cui chiome sono rimaste tristi e spoglie,
    ed ecco che in un baleno
    per me è già tutta una festa,
    perché, mischiati tra le foglie,
    vi rivedo con le vostre riviste
    e i vostri giornali.
    Mi illuminavate sul mistero nascosto nell’uomo,
    nel reale,
    troppo corrotto, per esser sgorgato
    da uno sprazzo di luce soprannaturale
    e sulle sue molteplici vie.
    Scrutando, sulle vostre luminose scie,
    l’imperscrutabile inquietudine del vostro tempo,
    con un chiarore in costante fermento,
    luccicavate nella mia solitudine,
    quanto le stelle del firmamento.
    Ora vedo la stella cometa,
    che mi conduce verso
    l’agognata meta,
    il mio pargolo tanto atteso,
    che, disteso in una culla di foglie sparse,
    mi sorride, stille di rugiada sulle mie labbra arse
    dal recitare ininterrotto
    una preghiera accorata,
    quasi un pianto a dirotto,
    speranza di una resurrezione desiderata.
    Vi terrò stretti fra le mie braccia,
    vi sfoglierò fra le mie dita,
    al palpito del suo e del vostro cuore
    nulla più mi addiaccia
    nella mia nuova vita.
    Alla vostra memoria
    ho consegnato la storia
    della mia sia lieta, che sofferta esistenza,
    vissuta alla sua e alla vostra costante
    e confortante presenza,
    alla ricerca dell’intrinseca essenza
    delle inesauribili parabole,
    segno mirabile del Signore.
    E ora lasciate che finalmente mi affidi
    alle sue amorevoli cure.

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