Basta leggere le notizie pubblicate su questo blog da un paio di anni – classificate con i TAG malavita o intimidazione per rendersi conto che l’attività funebre in almeno 5 regioni: Sicilia, Campania, Calabria, parte della Puglia e parte del Lazio è sempre più sotto attacco da parte della malavita organizzata, che sta conquistando fette di mercato imponenti in questi territori a suon di acquisti con denaro contante (riciclato) e diffusione nel territorio con la intimidazione delle imprese funebri che non stanno al gioco.
La vita è sempre più dura per gli impresari funebri onesti di queste regioni (ma anche del resto del Paese), stretti tra la malavita organizzata e le richieste di tangenti per il controllo dei morti negli ospedali (aspetti che talvolta si fondono, come si è visto nella operazioni della DIA di ieri a Catania). Con la crisi economica che riduce sempre più i margini di profitto.
E’ possibile andare ancora avanti in questo modo? Possono le associazioni di categoria del settore funebre continuare a fare gli struzzi? O vi sarà il coraggio di fare quello che ha già fatto in Sicilia prima e poi nel resto d’Italia la Confindustria, isolando le mele marce e cacciandole dal propro interno, laddove le individuino?
Possibile che si assista a questo scempio della categoria degli impresari funebri senza alzare tutti insieme in coro la protesta di chi non ci sta ad essere accomunato (anche solo come professione) con chi usa bombe, bottiglie incendiarie, intimidazioni ecc. ecc. per fare i propri interessi?
Quali sono per i lettori gli ostacoli concreti che impediscono ad una intera categoria di coalizzarsi contro questi comportamenti e di dare un senso di fondamentale unità e coraggio. Di essere una sponda per chi si oppone a questa marea nauseabonda che avanza e ci soffoca di giorno in giorno?
Si occorrono norme nuove, ma soprattutto comportamenti coerenti
Possibile ancora indignarsi per qualche cosa in questo digraziatissimo e amato Paese?
Ricorro ad una metafora bellica: la mappa geografica delle onoranze funebri italiane presenta due macroaree: lo spartiacque è rappresentato dalla Linea Gustav, all’altezza della città di Cassino, dove dal gennaio al maggio 1944 si consumò uno tra gli scontri più cruenti e furiosi di tutta la II Guerra Mondiale. Questo fronte di guerra sussiste ancor oggi (anche senza gli Alleati o le armate del III Reich), per intenderci: in senso longitudinale al di sotto di Roma ci sono almeno 5 Regioni (Campagna, Calabria, Puglia, Sicilia, Lazio) dove l’imprenditoria funebre è sotto assedio, e lentamente vede espugnato il proprio territorio dall’aggressività di Camorra, Sacra Corona Unita, ‘Ndrangheta, Cosa Nostra.
Nel Meridone l’attività funebre presenta non semplici anomalie, ma storture di carattere penale, perchè lì si commettono reati, anche piuttosto gravi. Onestamente Confindustria (quella vera presieduta da Emma Marcegaglia e ancor prima da Luca Cordero di Montezemolo) si produce in una bella sparata retorica a costo zero, buona solo per far parlare di sè ed abbindolare il popolino: io imprenditore taglieggiato non solo subisco violenze, danni, estorsioni da parte della malavita, ma vengo pure espulso dal mio sindacato, il quale, invece, dovrebbe tutelarmi, perchè non ho commesso delitti, semmai li ho patiti. Siamo al sovvertimento della realtà.
Con certi criminali non si scherza, le guerre di mafia, negli ultimi 3 decenni hanno mietuto migliaia di vittime, gli anni di piombo, a confronto, sono stati un’inezia. Non è questione di lascar trascorrere un altro po’ di tempo, (30 o 40 anni???? Ma sono un’eternità!) poi si vedrà, intanto speriamo che passi ‘a nuttata e prepariamoci al peggio.
Se lo Stato abdica dalla sua funzione principale: far rispettare la Legge e sanzionare i delinquenti, non è il singolo cittadino imprenditore a dover imbracciare il kalashnikov, per invocare un bel repulisti staliniano. La giustizia “fai da te” si vede solo nei films holliwoodiani. Certi tatticismi sono manovre elettoralistiche da tribuni del popolo, e molti ancora ci credono, purtroppo come si fa a dire: “Denunciare le metastasi delle infiltrazioni mafiose nelle onoranze funebri è solo un… complotto (Di chi??? Il Comintern? La Spectre? Gli Americani? I marziani?) per favorire le imprese a capitale pubblico. Continuiamo a (s)ragionare con categorie di pensiero antidiluviane, tutto questo armamentario ideologico paleottocentesco non serve a nessuno.
Poi se un imprenditore preferisce evadere il fisco, per poi poter pagare allegramente il pizzo saranno, in ultima istanza, affari suoi.
L’Italia alla fine è, pur sempre, il Paese di Ghino di Tacco (Dante, Purgatorio VI, vv. 13-14), famoso brigante medioevale che dalla Rocca di Radicofani sulla Via Cassia borseggiava i viandanti. (Ghino di Tacco era anche lo pseudonimo di un potente della politica italiana, caduto in disgrazia per una certa familiarità con la pratica tangentizia)
Anche le imprese pubbliche sono soggette ai ricatti della malavita organizzata, infatti, mostruosità ed aberrazioni (salme improvvisamente sparite, feretri di ignoti senza estremi identificativi, compravendita occulta di loculi, estumulazioni clandestine, resti mortali nel cassonetti della spazzatura…) avvengono all’interno dei cimiteri i quali (Art. 824 Codice Civile) appartengono al demanio comunale e, quindi, sono pubblici.
Le mafie, non sono la caricatura del picciotto con coppola e lupara, esse ragionano come un perfetto broker di borsa, quasi fossero degli analisti finanziari, le pompe funebri sono un investimento, soprattutto per chi debba riciclare molto denaro sporco. In Italia la barriera d’ingresso all’attività funebre è bassa e blanda, non c’è un percorso formativo rigido e rigoroso da seguire. Soprattutto nelle piccole realtà locali chiunque può improvvisarsi impresario: bastano i quattrini per inserirsi nell’ambiente, assieme all’intelligenza, ma quella al parti della matta bestialitade di dantesca memoria certo non manca agli uomini d’onore.
“Chi è piu’ pulito scagli la prima pietra” e ciò è avvenuto, nel redazionale del 30.4. si legge ” da un paio di anni….” è vero ma solamente come anche Voi asserite da un paio di anni. Portate come esempio la Confindustria Siciliana che oggi espelle chi accetta di pagare o fare parte di attività malavitosi ma, quanti anni hanno atteso per farlo? 30-40-50 ? é notizia di ieri che in una città siciliana da 15 anni tutti i commercianti pagavano il pizzo!!! Accusate le Federazioni di non fare pulizia portando ad esempio la Confindustria orbene, lasciate almeno passare 30-40 anni per arrivare a fare la pulizia come Voi chiedete, date almeno il tempo che è stato concesso alla Confindustria che, oltretutto possiede grossi capitali, propietà e non certamente necessita delle quote degli iscritti per sopravvivere , non fate di tutta un’erba un fascio almeno qualche distinguo dovreste farlo per rispetto di chi ha sempre rappresentato anche a livello internazionale la categoria e che, proprio per questo si è provveduto a colpire dietro una spinta studiata a tavolino che se non bloccata in tempo avrebbe consentito la nascita di altro tipo di realtà certamente piu’ care allo scrivente dell’articolo sig. Sereno da Voi pubblicato il 3 maggio.
Le imprese funebri italiane debbono CRESCERE !!! (leggasi fatturato che s’impenna vertiginosamente con segno +). Questo è il motto imperativo e categorico emerso dall’ultima chermesse funeraria di Tanexpo 2010.
In un mercato anelastico (i decessi in Italia, secondo fonti ISTAT, rimangono costanti, attestandosi circa sui 540mila eventi luttuosi all’anno) ci sono almeno due possibilità serie, la terza è surreale:
1) aumenta il costo complessivo per ogni servizio, per la fornitura di beni di consumo, siccome gli Italiani, per sè stessi nel post mortem esigono funerali solenni e faraonici (esempio:feretro d’oro zecchino tempestato di diamanti), alla faccia della crisi economica.
2) ceteris paribus, si dilata a dismisura il numero dei morti (Stragi? Cataclismi? Bombardamenti con il napalm da parte di occulte potenze straniere anche contravvenendo alla Convenzione di Ginevra??)
3) Come accade nel mitico film Night of the Living Dead i cadaveri si risvegliano con un certo appetito cannibalico, a causa di una radiazione extraterrestre, così bisogna liquidarli con una pallottola in testa e seppellirli nuovamente (doppio funerale…doppio guadagno!).
Se non ricorrono queste condizioni apocalittiche da Armageddon prefigurare per il nostro vituperato settore “magnifiche sorti e progressive” di leopardiana memoria, quasi si trattasse di un succulento banchetto (solo simbolico???) è un po’grandguignolesco e molto kitsch, dopo tutto smaltire carne umana non è gradevolissimo soprattutto per chi non abbia sviluppato una certa dose di stomaco forte e fegato (magari…spappolato!)
“Le nazioni si divorano perchè una non potrebbe sussistere senza i cadaveri dell’altra” osserva crudamente il Foscolo nelle Ultime Lettere di Jacopo Ortis, tale sententia può esser efficacemente estesa alla galassia delle onoranze funebri, anche perchè la materia prima della polizia mortuaria è proprio il trattamento dei cadaveri, quelli veri!!!.
Fuor di metafora (confesso, come sempre, molto sanguinolenta) la ristutturazione vera del sistema funerario, quando sarà il momento di aggredire sacche di malaffare, illegalità e corruzione endemica, sarà assai dolorosa, siccome molte piccole realtà, anche serie e professionali, non potranno più competere con grandi gruppi ben più strutturati, agguerriti, organizzati in holding e gestiti secondo le più moderne tecniche di management (e di marketing, purtroppo, così vedremo le colleghe necrofore degradare a scosciate “veline”, magari sponsorizzate…dalla morta-della).
Quando il grande capitale irromperà sulla scena sarà una Caporetto per molti operatori, essi saranno travolti, annichiliti e, quindi, costretti ad esser assorbiti, magari mantenendo nominalmente in certa autonomia del tutto di facciata, o ritirarsi, data la sproporzione delle forze in campo.
Questo immenso flusso di denaro potrebbe esser anche di provenienza illecita, perchè Cosa Nostra, con i narcodollari, o i proventi delle esorsioni, può sostenere a costo zero investimenti di rilevanza industriale, senza dover rispondere a nessuno e quindi con una rapidità d’azione impensabile per gli altri concorrenti.
Promettere a tutte (ma proprio tutte!) le imprese funebri italiane esistenti ad oggi 3 maggio 2010 un futuro roseo è pura demagogia acchiappavoti. Sul territorio nazionale si registrano 5000, o forse anche 6000 soggetti commerciali genericamente classificabili come onoranze funebri, la stima, però, è problematica, in quanto non ci sono dati o parametri certi. Per “fare impresa funebre” a livello nazionale bastano infatti 1) licenza di commercio non alimentare 2) licenza di pubblica sicurezza ai sensi dell’Art. 115 Regio Decreto 18 giugno 1931, n. 773. Buona parte di questi soggetti non ha (o meglio, in condizioni normali, non avrebbe) la cosiddetta “massa critica” per stare davvero sul mercato, con, ad esempio, 100 funerali all’anno di tipo normale e non “mega-extra-super-lusso” in stile Sultano del Brunei, non si raggiunge nemmeno il brek even point, ossia il punto di pareggio nel bilancio aziendale. Ed allora perchè, invece di una naturale contrazione, di un necessario livellamento rivolto all’efficienza (anche se spietata), il numero delle imprese funebri è in continuo, esponenziale aumento?
Le ragioni sono diverse:
1) Sino all’inzio degli anni ’90 (del Secolo Scorso) i funerali hanno rappresentato un business notevole, perchè a fronte di prestazioni relativamente semplici (rectius: non particolarmente qualificate e selettive) il margine di guadagno è stato molto alto, attirando, così, l’interesse famelico di molti individui, spinti dalla brama disperata di facili profitti (dopo la liberalizzazione delle licenze tutti i fragili equilibri garantiti dal contingentamento delle stesse si sono disintegrati e la “riserva di caccia” delle imprese storiche, con più tradizione, è stata invasa dai nuovi arrivati, sempre più spregiudicati, non solo in termini di prezzi al ribasso, per strappare quote di mercato).
2) Diverse imprese (o sedicenti tali) nascono in maniera improvvisata, anche senza il necessario know how. Ex necrofori desiderosi di mettersi in proprio, marmisti, falegnami con esperienza nella produzione di cofani, ex infermieri addetti all’obitorio, fiorai, si gettano nella mischia: non hanno mezzi, autorimesse, magazzini, uffici, personale dipendente, eppure armati di listino, partita IVA ed un numero di telefono da esibire nelle camere ardenti degli ospedali sferrano il loro rampante attacco: possono spuntare prezzi più vantaggiosi, soprattutto sul costo del lavoro (la manovalanza “in nero” o reclutata al Bar Sport del paese è vantaggiosissima).
3) Il sommerso (evasione fiscale e contributiva) permette, oltre ad una maggior competitività rispetto a chi paga regolarmente tasse e contributi previdenziali, di disporre di molto denaro “sottobanco” (se è frutto di reati finanziari mica può esser denunciato all’Agenzia delle Entrate o all’INPS, o no?) con cui foraggiare informatori e “gole profonde”, nell’immonda caccia al morto tipica di molti ospedali. La corruzione alimenta il volume degli affari, il quale, a sua volta, genera nuovi fondi neri da impiegare, al netto degli utili, in nuova attività tangentizia e mazzettara per assicurarsi, nel tempo, una posizione preminente sul territorio. Il meccanismo è così e tende a pepetuarsi all’infinito. A rimetterci è l’erario pubblico (e poi… ci lamentiamo del deficit statale) e l’utente dei servizi funerari perchè il cosiddetto “compendio di corruzione” fa lievitare i prezzi, con inevitabile aggravio per le tasche del cittadino.
4) Molte “agenzie funebri” in realtà agiscono come procacciatrici di affari per nome e per conto di imprese apparentemente loro avversarie cui, poi, girare lo svolgimento materiale del funerale. La politica del marchio (volgarmente detto “brand”) si sta imponendo anche da noi, dunque bisogna presidiare il mercato con alleati “satellite”, in modo da occupare tutti gli spazi dell’offerta, con un ventaglio di proposte sempre più differanziate, almeno formalmente. Tale soluzione è altamente diseconomica e farraginosa, siccome l’intermediario implica un passaggio in più e, dunque, un rincaro.
In tutta onestà gli impresari funebri, se non ultimamente, non hanno mai dimostrato una coscienza di classe, certo già negli anni ’70 c’era chi chiedeva un albo di categoria (oddio, se c’è l’Ordine dei Giornalisti, potrebbe anche esserci quello dei Necrofori). Nell’ultimo decennio (da quando io sono entrato in servizio) le grandi battaglie, senza la pretesa di esser esaustivi, dove vi è stata una parvenza di unità, almeno tra i privati, sono state:
1) abolizione delle privative comunali sui trasporti funebri, per altro vinta con merito (ma qualcuno comincia, sommessamente, a dolersene perchè doversi comprare un’autofunebre seppur per pochi trasporti l’anno è un bel salasso).
2) opposizione dura, seppur con molte sfumature, qualche defezione ed articolati distinguo, alla riforma del DPR 10 settembre 1990 n. 285, quando il nuovo testo era già stato trasmesso al Consiglio Superiore di Sanità. Quel regolamento, mai approvato, fu giudicato troppo dirigista ed ancorato alla vecchia concezione molto ottocentesca di polizia mortuaria, poi con la Legge Cost. n.3/2001 cambiò il quadro di competenze costituzionali, la maggioranza di governo perse sonoramente le elezioni e non se ne seppe più nulla. Solo al tramonto della Legislatura, quando erano già stati indetti i comizi elettorali, ci fu un effimero sussulto, giusto per esibire i muscoli, con l’Atti Senato n.3310 calendarizzato per l’esame presso l’Aula di Palazzo Madama, la politica italiana aveva altre priorità (e forse è stato meglio così!!!) e l’Atti Senato n.3310 fu “insabbiato”, come dicono i cronisti parlamentari, o meglio…affossato, siccome pur sempre di morti si parla!
3) Apertura di case funerarie, ossia di depositi d’osservazione di proprietà delle imprese funebri private dove trasportare, per poi vegliare, i defunti “a cassa aperta”. Molte leggi regionali hanno recepito questo istituto assai diffuso in Francia, in Spagna e nei Paesi di cultura anglosassone. E’una piccola rivoluzione per noi Italiani abituati ad allestire la camera ardente presso l’abitazione del defunto o negli appositi locali degli ospedali. Finanziare un impianto simile costa qualche milione di Euro (3, 4 o, più verosimilmente 5…e non è poco), poche aziende possono permettersi una simile scommessa, comunque staremo a vedere.
4) Introduzione anche in Italia della tanatoprassi. Alcune Regioni sono molto aperturiste (a memoria: Lombardia, Veneto e Marche) e sembrano recepire quest’istanza, ma occorrerebbe una Legge dello Stato per motivi tecnici (Art. 410 Codice Penale) che, adesso, sarebbe ozioso stare a sciorinare, come se si trattasse del mio ennesimo Rosario Macabro.
5) Definizione, con il comune, quale titolare delle funzioni di polizia mortuaria, di chi debba assumersi gli oneri (dopo l’entrata in vigore dell’Art. 1 comma 7bis Legge 28 febbraio 2001 n. 26) per il cosiddetto “recupero salma” di cui al paragrafo 5.2 Circ.Min. 24 giugno 1993 n.24.
Qualità, trasparenza e pulizia rappresentano i paradigmi per una nuova politica funeraria, quando, però, ci sono in ballo interessi da milioni di Euro, verso cui il crimine organizzato, con tutti i suoi metodi “molto persuasivi”, non è proprio insensibile, bisogna esser terribilmente realisti. Le Federazioni, così come i sindacati, vivono grazie alle quote d’iscrizione versate annualmente dagli associati; come ci insegna il tramonto della I Repubblica sotto le sferzate di tangentopoli “fare politica”, cioè rappresentare un pezzo, per quanto piccolo, fosse anche defilato, della società, del mondo produttivo COSTA UNA BARCA DI QUATTRINI! “Gratis” è una parola, molto bella ed idealistica, che nel contesto di oggi non esiste. Non si può sperare solo nel volontariato, “la politica è guerra”, come diceva Karl Schmitt, e la guerra è la massima impresa economica, almeno secondo Napoleone Bonaparte. Chi sarebbe davvero disposto a lavorare combattere gratis? Quante imprese funebri sono iscritte alle rispettive federazioni di riferimento? Di sicuro (e sono ottimista) non si arriva alla maggioranza assoluta (50% + 1). Il primo problema, allora, è la rappresentanza, ossia quanto valgono, proporzionalmente, le diverse Federazioni? In un ipotetico parlamentino del “caro estinto” quanti voti racimolerebbero? Otterrebbero la fiducia? E’ l’ossessione delle moderne democrazie: la spasmodica ricerca del consenso. Se gli Organismi Sindacali in cui si riconosce la “maggior minoranza” delle imprese funebri, con procedura di garanzia ed un dibattito alla luce del sole decidono sia giunta l’ora suprema per un bel lavacro lustrale, e mettono alla porta, senza troppi complimenti, quanti, tra i loro iscritti, si siano macchiati di reati contro la pubblica amministrazione (meglio se con sentenza passata in giudicato) o siano, senza ombra di dubbio, conniventi o complici con settori della malavita, chi rimpinguerà i loro bilanci? Posso, eroicamente, denunciare tutti i mali di questo mondo, ma se nessuno mi segue o mi dà credito io sono costretto a chiudere, mentre la malapianta della corruzione continuerà ad allignare ed a taglieggiare il mondo delle imprese sane.
Nessuno è senza peccato…
L’intervento parte dalla constatazione di come le agenzie di stampa riportino con alta frequenza, situazioni anomale che vanno dalle pratiche illecite di acquisizione dei servizi funebri (come le dazioni di danaro ad infermieri dei servizi mortuaria e simili), alle intimidazioni (ordigni, incendi, colpi d’arma da fuoco, minacce fisiche, ecc.) nei confronti degli operatori funebri, fino a vere e propprie presenze organizzate, anche attraverso forme di inserimento in enti concessionari, laddove presenti, e molto altro sul piano di una presenza di attivita’ illecite nel settore.
Chiaramente, non si tratta di fenomeni da generalizzare, ma la debolezza del settore, in larga parte dovuta alla polverizzazione (ma quanto avvenuto a Milano, e non solo, prova che non si tratta di fenomeni che interessano solo le micro-aziende che, a volte, neppure sono aziende, ma altresì imprese di una certa dimensione) e’ tale da esporla ad “infiltrazione”, che, per altri versi, si percepiscono non piu’ geograficamente localizzabili, anche quando vi siano fenomini geografici, sia per la tendenza delle attivita’ illecite a superare i confini, sia per altro.
Si tratta di fenomeni che non possono fingersi d’ignorare e rispetto a cui quanti affermino di voler assolvere ad un ruolo di promozione, di valorizzazione, di crescita imprenditoriale degli operatori funebri, non possono sottrarsi dal considerare.
Ci sembra che quell’intervento presenti un messaggio, del tutto importante: quello del ruolo che possono (e se siano convinti dell’esigenza di una qualificazione del settore, debbono) svolgere le organizzazioni che assumono di voler svolgere una funzione di rappresentanza, non potendosi esimere dall’assumere una posizione.
Dopo gli arresti di Milano (16 ottobre 2008; ma non si dimentichi quanto avvenuto prima e dopo, anche in numerose altre realta’) non si e’ vista, sempre e convinta, una presa di posizione, anche se qualcuna vi e’ stata. Ma quello che conta non e’ una qualche posizione assunta nel contingente (in alcuni casi, per altro, vi e’ stato anche un certo silenzio), ma sarebbe importante che, al di la’ dei comunicati stampa, venissero adottate “poltiche” di pulizia, di presa di distanza, netta senza se e senza ma (per usare un’espressione a volte in uso), anche se questo voglia dire sospendere od espellere dall’associazione di appartenenza quanti vengano ad essere coinvolti in attivita’ illecite, quando non di criminalita’ organizzata.
Il richiamo all’esempio della Confindustria siciliana che, con lentenzza, sembra iniziare a estendersi ad altre regioni, e’ significativo.
Occorre che le Federazioni che assumono un ruolo di rappresentanza degli operatori funebri non sottovalutino i fenomeni, ma assumano, con chiarezza e senza equivocita’, posizioni precise, dato che ogni silenzio, ritardo nelle prese di posizione puo’ lasciare intendere che, tutto sommato, la cosa sia poco importante, ma anche perche’ questo costituisce un modo per “dare una mano” agli operatori che siano esposti a questi fenomeni.
Una situazione di “pulizia” nel settore costituisce una pre-condizione per ogni spinta verso una possibile valorizzazione degli operatori funebri, ma anche verso una crescita imprenditoriale, che non puo’ limitarsi a sostenere le ragioni di chi, comunque, opera, magari pur senza mezzi, risorse, strumenti nel settore.
Rappresentativita’ non e’ unicamente avere un certo numero d’iscritti, ma soprattutto avere iscritti che assicurino qualita’ d’impresa, trasparenza, pulizia. Non si tratta di facili moralismi, ne’ queste prospettive possono sempre essere facili, ma occorre volere una (effettiva) crescita nella qualita’ del settore, che non si ha quando la concorrenza non opera sul piano della qualita’ e del prezzo, ma con “infiltrazioni” da parte delle criminalita’ e, quando anche queste infiltrazioni non siano ancora attuali, con la politica delle “3 scimmiette”.