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Sepolcro – Le diverse fattispecie giuridiche
Con la novella n. 285 del 1990, il Regolamento Nazionale di Polizia Mortuaria, nell’art. 93 ha da ultimo, così, stabilito: «Il diritto di uso delle sepolture private concesse a persone fisiche è riservato alle persone dei concessionari e dei loro familiari; (…)
Può altresì essere consentita, su richiesta di concessionari, la tumulazione [1] di salme di persone che risultino essere state con loro conviventi, nonché di salme di persone che abbiano acquisito particolari benemerenze nei confronti dei concessionari, secondo i criteri stabiliti nei regolamenti comunali».
Alla luce di quest’ultimissima disposizione, diventa più difficile accreditare ancora l’ipotesi di un libero trasferimento del diritto al sepolcro, salvo attraverso la retrocessione, o la voltura [2] della concessione o il rilascio di una nuova concessione, o novazione della stessa, ove possibile, e nei modi dettati dal regolamento comunale [3] di polizia mortuaria, il quale ex art. 117 III periodo Cost. opera su di un grado di pari legittimità rispetto al D.P.R. 285/1990, ovviamente per le parti di propria competenza, ovvero per la formazione delle norme, complementare di dettaglio.
Si è quindi formulata una definizione di tali diritti nel modo seguente.
Il «diritto [4] primario al sepolcro familiare o gentilizio» consiste nel diritto di essere seppellito [5] (Jus Sepeliri) o di seppellire altri (Jus inferendi mortuum in sepulchrum) in un dato sepolcro, diritto che può essere conferito dal proprietario del sepolcro a favore del suo gruppo familiare.
L’appartenenza [6] a detto nucleo [7] di consanguineità diviene il presupposto dell’acquisto del diritto al sepolcro, in cui quest’ultimo diventa «un patrimonio di scopo che crea nei beneficiari una con titolarità [8] di uso e di gestione» [9].
Il «diritto secondario di sepolcro» spetta a chiunque sia congiunto di una persona le cui spoglie si trovino in un sepolcro e consiste nella facoltà di accedervi durante le ricorrenze per compiere atti votivi di pietas, nonché di opporsi ad ogni azione che costituisca violazione ed oltraggio a quella tomba [10].
La dottrina e la giurisprudenza più recente hanno univocamente definito l’essenza giuridica del diritto secondario di sepolcro, ragionando in termini di un “diritto personalissimo» [11], e, quindi, protetto dalla legge statale.
Attraverso il procedimento analogico, si estende al diritto secondario di sepolcro la tutela del nome per ragioni familiari [12], dell’abuso dell’immagine altrui [13] e della memoria del soggetto scomparso che sopravvive nella pietas dei superstiti.
La testimonianza materiale di questa “corrispondenza di amorosi sensi”, secondo il celebre verso foscoliano, è rappresentata, appunto, dal monumento sepolcrale, dagli epitaffi, dai cenotafi e dalle iscrizioni tombali, dagli arredi funebri che meritano tutela specifica in caso di violazione [14].
Per quanto concerne la substantia giuridica del diritto al sepolcro ereditario e di quello familiare, in dottrina ed in giurisprudenza non vi è unanime accordo. Per la ricostruzione tecnica della fattispecie, si rende necessario, innanzitutto, individuare il momento “genetico”, quello in cui sorge il diritto sul sepolcro: tale fase costitutiva, sia per il diritto sul sepolcro ereditario, sia per quello familiare, è rinvenibile nella concessione amministrativa a titolo oneroso [15], rilasciata dalla Pubblica Amministrazione su un’area di terreno facente parte di un Cimitero [16] Comunale [17].
Le concessioni enucleate dall’art. 90 del Regolamento di Polizia Mortuaria sono rilasciate dal comune, nella persona del dirigente ex art. 107 lettera e) D.Lgs. 267/2000, per fini non di lucro [18] né di speculazione, per un tempo determinato non superiore a 99 anni, salvo rinnovo, di solito non ripetibile, anche secondo gli usi locali e le professioni religiose (per Israeliti e Musulmani, ad esempio, la sepoltura a sistema di inumazione, nella nuda terra deve esser a tempo indeterminato per non disturbare, idealmente, il sonno eterno dei defunti.
In questa disciplina così complessa ed intricata, strategico è il ruolo rivestito del regolamento comunale di polizia mortuaria.
Dobbiamo, infatti, considerare l’art. 114 Cost. (con cui si individuano i c.d. livelli di governo, tra i quali non sussistono rapporti di gerarchia o supremazia, tanto che l’art. 129 Cost. è stato abrogato).
Poi, dovremmo considerare l’art. 117, 6, 3° periodo Cost. con cui il legislatore riconosce una potestà regolamentare agli enti di governo privi di potere legislativo vero e proprio, seppure “in ordine alla disciplina dell’organizzazione e dello svolgimento delle funzioni loro affidate dalla Legge”.
Certo, vi è anche la potestà regolamentare di cui all’art. 7 D.Lgs. 18/8/2000, n. 267 (norma di rango primario), ma nella specie, il riferimento è all’art. 117, 6, 3° periodo Cost., in quanto si tratta di poteri di indirizzo politico attribuiti (per legge; art. 824, 2 c.c.) ai Comuni.
Ne consegue una differenziazione tra Regolamenti comunali annoverati dall’art. 117, 6, 3° periodo Cost. e Regolamenti comunali rientranti nell’art. 7 D.Lgs. 267/2000, dove il Regolamento comunale di polizia mortuaria rientra, per quanto detto, nella prima ipotesi.
Ciò consente questa considerazione finale: il regolamento comunale è una norma di rango secondario, sul medesimo piano/rango delle altre norme di rango secondario, indipendentemente dalla pubblica amministrazione che, avendone potere, le abbia emanate.
Il dovere, in capo ai Comuni, di adottare un proprio regolamento comunale [19] di polizia mortuaria risale addirittura al Regio Decreto 8 giugno 1865 n. 2322.
Si tratta, infatti, di un’attività istituzionale enunciata, all’epoca, dalla legge comunale e provinciale che è rimasta nell’ordinamento giuridico ed il cui fondamento oggi permane nell’art. 7 D.Lgs 267/2000.
Di regola, i sepolcri sono edificati nei cimiteri, ossia in spazi qualificati come demaniali dal secondo comma dell’art. 824 c.c. e la specifica concessione Comunale costituisce, verso il concessionario e nei confronti degli altri privati, un diritto soggettivo perfetto [20], classificabile come reale, assimilabile al diritto di superficie (nella sentenza in commento si parla di diritto ad edificare sulla colonna d’aria del manufatto tombale) [21].
Si configura, pertanto, un diritto soggettivo, con caratteristiche reali, esso, però, si affievolisce nei confronti della P.A. e degrada a diritto condizionato e ad interesse legittimo qualora, di fronte ad esigenze di pubblico interesse, la P.A. eserciti il diritto di revoca.
In particolare una pronuncia della Corte di Cassazione a Sezioni Unite, la sentenza n. 8197 del 7 ottobre 1994 stabilisce che “Nel nostro ordinamento, il diritto sul sepolcro già costruito nasce da una concessione da parte dell’autorità amministrativa di un’area di terreno (o di una porzione di edificio [22] in un cimitero pubblico di carattere demaniale (art. 824 cod. civ.) e tale concessione, di natura traslativa, crea, a sua volta, nel privato concessionario, un diritto soggettivo perfetto di natura reale, e perciò, opponibile, “iure privatorum”, agli altri privati, assimilabile al diritto di superficie, esso, però, si affievolisce, degradando ad interesse legittimo, nei confronti della P.A. nei casi in cui esigenze di pubblico interesse per la tutela dell’ordine e del buon governo del cimitero, impongono o consigliano alla P.A. di esercitare il potere di revoca della concessione.”
Sulla base di questi presupposti parte della dottrina (Scarano, in Notariato, 1996 fascicolo 4 pag. 352 e scheda 1 agosto 1996 RUN Notariato individua nel «diritto sul sepolcro» i tratti distintivi di un diritto reale di superficie (in analogia alla disciplina dei suoli concessi in superficie per 99 anni al fine di edificarvi alloggi popolari o autosilos) [23]; sulla base anche del dato testuale degli artt. 90, 92, 98 e 99 del D.P.R. 285/1990, così il diritto sul sepolcro familiare non dovrebbe essere considerato un diritto personale che si acquista iure proprio e per vinculum sanguinis [24], bensì un diritto reale con una particolare finalità in deroga al principio del numero chiuso [25].
Intanto il diritto al sepolcro assume lo status giuridico di «sepolcro familiare», in quanto il fondatore fissa un preciso obiettivo alla sua destinazione [26], riconoscendo il diritto (o… la mera aspettativa?) ad essere inumato o tumulato nel proprio sepolcro, solo ai suoi familiari (legittimi) con i quali costituisce una comunione [27] pro indiviso ed indivisibile [28].
Il titolo ad essere sepolti, allora, andrebbe valutato solo in occasione del suo utilizzo, ovvero secondo la cronologia degli eventi luttuosi se non diversamente stabilito in sede di stipula dell’atto di concessione.
Sulla scorta di quanto detto in precedenza questa corrente dottrinale è addivenuta a tale conclusione: il diritto sul sepolcro «ereditario», in assenza di un espresso divieto legislativo, può essere trasferito, subordinatamente alla condicio iuris del consenso del fondatore o degli eredi legittimi, oppure della voltura rilasciata dall’autorità amministrativa, o, comunque, di una nuova concessione comunale, a titolo oneroso, a favore del cessionario, applicando, sostanzialmente, il regime delle concessioni amministrative [29].
Certo, dato il carattere intuitus personae, che tipizza la concessione amministrativa, «con effetto traslativo», la posizione del concessionario non è liberamente trasferibile: tuttavia, pur sempre con un atto di approvazione successiva o con un’autorizzazione da parte della P.A. concedente, si darebbe vita ad una fattispecie complessa, strutturata sul modello civilistico della cessione del contratto. (Dr. Carlo Roncoroni).
In effetti il R.D. 1880/1942, esplicitamente consentiva la cessione con atto inter vivos o mortis causa (si rimanda all’art. 71) però tale circostanza avrebbe dovuto esser segnalata all’Amministrazione comunale la quale si sarebbe anche potuta opporre entro un certo lasso di tempo massimo, mentre se nulla fosse stato detto, si sarebbe trattato, comunque, di silenzio-assenso.
Non può, quindi, essere condivisa, secondo questa dottrina, la sentenza della Corte di Cassazione sez. III, 19 novembre 1993, n. 11404 con cui si vieta al notaio di ricevere compravendite di cappelle funerarie perché, in tal modo, si eluderebbero gli interessi di evidenza pubblica che si sono intesi salvaguardare con le disposizioni di polizia mortuaria e si circoscriverebbe anche il diritto impositivo corrispondente al rilascio delle concessioni amministrative.
In via residuale, tale possibilità, almeno secondo alcuni giuristi, sarebbe ancora valida per le concessioni perpetue poste in essere prima del 10 febbraio 1976 [30], siccome esse, per il principio generale di irretroattività della norma (art. 11 C.C.), sarebbero ancora soggette alla vecchia disciplina, a patto di dimostrare l’insussistenza del fine di lucro proibito dalla Legge (art. 92 comma 4 del D.P.R. 285/90).
Si tratterebbe, insomma di diritti acquisiti e già perfezionati nel tempo a meno di non considerare i rapporti già posti in essere in modo evolutivo [31], alla luce della normativa via via susseguitasi negli anni, secondo il modello dello Jus Superveniens [32].
Secondo l’opinione prevalente, tuttavia, lo Jus Sepulchri, dal 10 febbraio 1976 (data in cui entra in vigore il D.P.R. 803/1975) non può più esser oggetto di atti negoziali inter vivos o mortis causa volti al suo trasferimento in capo a soggetti terzi, rispetto a quelli titolati ad esercitarlo Jure Sanguinis.
Il diritto di sepolcro, almeno dal 10 febbraio 1976, è sottratto all’autonomia negoziale dei privati, esso si acquisisce per vincolo di consanguineità e non può esser arbitrariamente esteso a soggetti estranei al rapporto di parentela se si eccettua l’evenienza di benemerenze (art. 93 comma 2 D.P.R. 285/1990).
[1] Rientra nella giurisdizione del giudice amministrativo la controversia riguardante la legittimità del provvedimento di diniego di volturazione di una concessione inerente il diritto di uso di sepolcro, poiché gli atti di cessione di suoli cimiteriali, a favore di soggetti privati, sono compresi nella categoria delle concessioni amministrative di beni e servizi, trasmissibili in tutto o in parte per diritto comune ed ereditario, previo nulla osta dell’amministrazione comunale.
[2] Si apre il problema di come raccordare la potestà regolamentare dei comuni con il potere legislativo che in materia di salute umana (e quindi di polizia mortuaria) sorge in capo alle regioni, secondo alcuni studiosi della materia funeraria la pretesa delle regioni di dettare criteri troppo precisi nella gestione cimiteriale (che è propria dei comuni) integrerebbe un conflitto di attribuzioni.
[3] Si apre il problema di come raccordare la potestà regolamentare dei comuni con il potere legislativo che in materia di salute umana (e quindi di polizia mortuaria) sorge in capo alle regioni, secondo alcuni studiosi della materia funeraria la pretesa delle regioni di dettare criteri troppo precisi nella gestione cimiteriale (che è propria dei comuni) integrerebbe un conflitto di attribuzioni.
[4] In via primaria, il diritto d’uso di una sepoltura è regolato dal regolamento di polizia mortuaria nazionale (norme quadro) e da quello comunale (norme di dettaglio).
Indi da eventuali deliberazioni generali e/o particolari del Comune. A valle della concessione deliberata dal Comune, in passato, vi era un atto sottoscritto fra le parti, con i relativi obblighi e diritti. In molti casi si poteva trovare una formula contrattuale che rinviava al regolamento di polizia mortuaria via via vigente.
[5] La electio sepulchri, pur potendo essere espressa senza il rigore delle forme, deve consistere nella espressione di una volontà precisa, univocamente finalizzata alla indicazione del luogo di sepoltura dei resti mortali del dichiarante, e non può ravvisarsi in una semplice manifestazione di desiderio, in un’aspirazione non tradottasi in termini di irrevocabile e non contestabile orientamento. Corte di Cassazione, sezione II, 4 aprile 1978, n. 1527.
La volontà del de cuius riguardo alla sepoltura del proprio cadavere non può essere provata con testimoni. Tribunale di Napoli, 2 agosto 1954.
Lo ius eligendi sepulchrum consiste nel poter decidere la località, il punto e le modalità di sepoltura della salma di una determinata persona, nei limiti consentiti dalla legge, dall’ordine pubblico e dal buon costume.
Tale diritto, pur non essendo precisato in disposizioni di legge, trova il suo fondamento in un’antica consuetudine conforme al sentimento comune ed alle esigenze di culto e di pietà per i defunti.
[6] P. Perlingieri, Il diritto civile nella legalità costituzionale, Napoli, 1984, 399 ss.
[7] Sussiste o meno turbativa del possesso quando un congiunto del concessionario originario tumula nel sepolcro familiare la propria madre (moglie di un figlio del fondatore del sepolcro), pur senza il consenso degli altri contitolari e senza dare a questi ultimi preventivo avviso del seppellimento, avendo anzi mendacemente comunicato all’autorità comunale cimiteriale che i compossessori avevano acconsentito alla sepoltura?
[8] La cerchia dei componenti la famiglia, titolari del diritto ad essere seppelliti in un sepolcro familiare, va determinata alla stregua della volontà del fondatore, da individuarsi anche sulla base di inequivoci elementi di carattere presuntivo.
[9] Il coniuge, pur non essendo consanguineo, per il principio di poziorità ex art. 79 D.P.R. 285/1990 è posto in una posizione di preminenza rispetto ad altri congiunti di diverso grado.
[10] In linea di massima, dovrebbe configurarsi, come giustamente notato in dottrina, una comunione indivisibile (a tal proposito vi è giurisprudenza costante), anche se possono esservi “regolazioni” pattizie tra diversi soggetti, sempre se ed in quanto previste o dichiarate ammissibili dal Regolamento comunale di polizia mortuaria.
[11] P. Perlingieri, op. cit., 406 ss. ( 26) F. Carresi, Sepolcro, in Noviss. dig. it., XVII, Torino, 1970, 37; F. Marinelli, In tema di diritto al sepolcro, con nota a Corte d’Appello de L’Aquila 6 giugno 1984, Buracchio c. Iezzi, in Giust. Civ., 1985, I, 211; Pretura Napoli-Castellammare, 3 aprile 1991, in Dir. e Giur., 1991, 846.
[12] In dottrina P. Perlingieri op. cit. 399 ss., F. Carresi, ult. op. cit. 37 ss., M. Petrone op. cit. 28 ss., M.A. Urciuoli, In tema di diritto secondario di sepolcro con nota a Pretura Fabriano, 28 aprile 1984, Grottini c. Pallotta, in Rass. dir. civ., 1985, 1126; in giurisprudenza Trib. Torino, 11 marzo 1996, in Foro It., 1966, I, 1158.
[13] Art. 8 c.c. e Art. 10 c.c.
[14] M. Petrone, op. cit., 31. Artt. 95 e 103 D.P.R. 285/90. La funzione cimiteriale, infatti, è prerogativa del comune anche ai sensi degli artt. 337 e 394 Regio Decreto n. 1265/1934. Non è questa la sede per occuparsi della rara ipotesi di tumulazione fuori dei Cimiteri, in cappelle private o gentilizie, ipotesi in cui, comunque, sono necessarie sia l’autorizzazione comunale per la costruzione della cappella (art. 101 Reg. Pol. Mortuaria), sia il nulla osta del Sindaco per la tumulazione (art. 102 Reg. Pol. Mortuaria), al fine di rimuovere il divieto di tumulazione fuori dei cimiteri.
[15] Si veda anche la Circ. Min. 24 giugno 1993 n. 24.
[16] Il D.P.R. 285/1990 stranamente fa rinvio al regolamento comunale di polizia mortuaria solo con poche, laconiche disposizioni: art. 16 comma 1, art. 62 ed art. 80 comma 4 ed art. 93 comma 2.
[17] Va ricordato, preliminarmente, che il comune non ha alcun obbligo di assicurare la disponibilità di sepolcri privati (quali sono anche le tumulazioni individuali), ma solo una facoltà, una volta che abbia assicurato il “fabbisogno”, cioè una disponibilità di aree determinata ex art. 58 D.P.R. 285/1990, ed escluse le aree di cui all’art. 59 successivo. Inoltre, la facoltà è esercitabile se ed in quanto prevista negli strumenti di programmazione (art. 91 D.P.R. 285/1990).
[18] Precisamente, per A.M. Sandulli, voce Demanio Comunale, in Enc. dir., XII, Milano, 1971, 86 ss., i cimiteri appartengono alla categoria del «demanio comunale specifico».
[19] La domanda del terzo, che rivendichi il diritto di sepolcro sul sepolcro nei riguardi dell’originario concessionario, non può essere accolta in mancanza dell’apposita concessione.
Quest’ultima costituisce la fonte del diritto reale preteso senza che l’occupazione dell’area, ove abusiva, sia idonea a fondare alcun diritto, trattandosi di bene soggetto al regime del demanio pubblico.
[20] M. Petrone, op. cit., 28; Cass. 25 maggio 1983, n. 3607, in Giust. Civ. Mass. 1983, fasc. 5; in senso contrario alla qualificazione in termini di diritto di superficie, F. Carresi, ult. op. cit., 38, il quale, in nota, cita Salis, La superficie, in Tratt. dir. civ. it., VI, t. 3, Torino, 1949, 37, ideatore della suggestiva tripartizione della tipologia del diritto di cui all’art. 952 c.c., suddiviso in diritto di superficie in senso stretto, proprietà superficiaria separata e diritto di fare e mantenere al di sopra del suolo una costruzione a favore di altri che ne acquista la proprietà; per la qualificazione in termini di diritto reale patrimoniale, Cass. 20 settembre 1991 n. 9837, in Giust. civ. Mass. 1991, fasc. 9; T.A.R. Sicilia Sez. Palermo, 7 marzo 1984 n. 283, in Foro Amm. 1984, 1545; Cass. 30 maggio 1984 n. 3311, in Giust. civ. Mass. 1984, fasc. 5; Cass. Sez. 2, 8 febbraio 1982 n. 737; Cass. 21 febbraio 1981 n. 1052, in Giust. civ. Mass. 1981, fasc. 2; Cass. Sez. 2, 23 luglio 1964 n. 1971; Cass. Sez. 2, 18 febbraio 1977 n. 727; Cass. Sez. 1, 27 gennaio 1986 n. 519.
[21] La fondazione di un sepolcro familiare non è incompatibile con la circostanza che i loculi di cui è costituito siano compresi in un più vasto portico – sepolcreto, sito in un pubblico cimitero e realizzato dal concessionario dell’area.
[22] Art. 92 Reg. Pol. Mortuaria; in dottrina F. Carresi, ult. op. cit., 38, M. Petrone, op. cit., 29, A.M. Sandulli, Manuale di diritto amministrativo, Milano, 1982, 679; in giurisprudenza Cass. 25 luglio 1964, n. 2063, in Foro It., 1964, I, 2123; Cass. 25 maggio 1983, n. 3607 in Riv. Not., 1984, II, 662.
[23] Contra P. Perlingieri, ult. op. cit. 38, 399 ss.; P. Perlingieri, I diritti del singolo quale appartenente al gruppo familiare, in Rass. dir. civ., 1982, 79; P. Perlingieri, Sul diritto ad essere inumato nella cappella familiare, in Rass. dir. civ., 1985, II, 1056 ss.; M. Petrone, op. cit., 32; F. Carresi, Aspetti privatistici del sepolcro, in Riv. dir. civ. 1970, II, 270 ss.; M.A. Niccoli, Il diritto al nome del sepolcro, con nota a Pretura Niscemi, 5 dicembre 1985, Azzaro c. Di Franco, in Rass. dir. civ., 1986, 1090; Appello L’Aquila, 6 giugno 1984, cit.; Cass. Sez. 2, 29 maggio 1990 n. 5015, in Giust. civ. 1990, I, 2547; Cass. Sez. I, 16 febbraio 1988 n. 1672, in Dir. eccl. 1988, II, 187 e Giust. civ. Mass. 1988, fasc. 2.
[24] Cass. Sez. I, 27 gennaio 1986 n. 519, in Giust. civ. Mass. 1986, fasc. 1.
[25] La legittimazione ad agire con l’azione di spoglio spetta anche a coloro che abbiano usato per lungo tempo in via esclusiva, con l’inferre mortuum in sepulchro, il sepolcro abbandonato dai legittimi titolari?
[26] L’utilizzo, pro-indiviso, si determina in conseguenza di eventi esterni alla volontà delle persone interessate, cioè all’evento del decesso di persone aventi diritto, in quanto concessionari od appartenenti alla famiglia del concessionario, e fino alla capienza del sepolcro stesso art. 93 D.P.R. 285/1990.
[27] In tal senso P. Perlingieri, Il diritto civile nella legalità costituzionale, cit., 406; Pretura di Macerata, ord. 6 giugno 1992 e Pretura Lucera, sez. distaccata di Torremaggiore, sent. 22 dicembre 1992, in Gazz. Notarile 1993, 685 e 688; Cons. Stato, sez. V, 13 maggio 1991, in Giust. Civ. 1992, I, 1113; Cass. Sez. II, 4 maggio 1982 n. 2736, in Giust. civ. Mass. 1982, fasc. 5; Cass. Sez. II, 8 gennaio 1982 n. 78, in Giust. civ. Mass. 1982, fasc. 1; Trib. Roma 27 maggio 1980, in Foro It. 1980, I, 2022; Cass. Sez. II, 24 gennaio 1979, n. 532.
[28] M. Petrone, op. cit., 34; in tal senso Cons. Stato sez. V, 23 febbraio 1985, n. 108, in Cons. Stato 1985, I, 188. Così Sandulli, Manuale cit., 275.
[29] Ai sensi dell’art. 109 comma 2 del D.P.R. 803/75, ogni disposizione contraria o incompatibile ad esso, è stata abrogata dalla data del 10.2.1976, quindi anche la possibilità di cessione totale o parziale del diritto d’uso delle sepolture.
[30] Tanto la dottrina maggioritaria quanto la giurisprudenza tendono ad escludere che un provvedimento originariamente conforme al dettato normativo possa risultare considerato viziato a causa del mutato scenario normativo, così le concessioni perpetue rilasciare prima dell’entrata in vigore del D.P.R. 803/1975 non sono suscettibili di atti ablativi, eccetto la revoca, per interesse pubblico e la pronuncia di decadenza.
T.A.R. Emilia Romagna, Sez. Parma, 23 ottobre 1991 n. 298: La trasmissibilità del diritto d’uso delle sepolture, ammessa nel regime previgente al D.P.R. 21 ottobre 1975 n. 803, è esclusa da detto regolamento di polizia mortuaria, che limita tale diritto alla persona del concessionario ed a quelle della propria famiglia senza prevederne più la cedibilità a terzi.
[31] Il regolamento di polizia mortuaria di cui al D.P.R. 21 ottobre 1975 n. 803 è idoneo a disciplinare i rapporti futuri ed a predeterminare la consistenza delle situazioni destinate a scaturire dalle nuove concessioni, ma non ad incidere su posizioni soggettive già acquisite, perché inerenti a rapporti perfezionati sotto l’impero di una diversa disciplina e che continuano a trovare la propria fonte nei rispettivi atti concessori, la validità dei quali non è venuta meno.
Consiglio Stato, sez. V, 11 ottobre 2002, n. 5505: La normativa regolamentare comunale di polizia mortuaria e sui cimiteri in tanto è legittima in quanto non viene a porsi in contrasto con la normativa regolamentare adottata dal Governo, in virtù di quanto previsto dall’art. 4 disp. prel. c.c.
La normativa comunale che impone, a pena di decadenza, il rinnovo della concessione cimiteriale perpetua al trascorrere di ogni trentennio è venuta a trovarsi in contrasto con la disposizione di cui all’art. 93 del regolamento governativo approvato con D.P.R. n. 803 del 1975 (il cui contenuto è stato poi ripetuto nell’art. 92 D.P.R. 10 settembre 1990 n. 285).
Nella normativa statale, per le concessioni di durata superiore ai 99 anni rilasciate anteriormente al D.P.R. n. 803 del 1975, l’esercizio del potere di revoca nell’interesse pubblico viene ancorato a due precisi presupposti (superamento di 50 anni dall’ultima tumulazione e grave insufficienza del cimitero), che debbono concorrere entrambi per la legittimità del provvedimento di revoca, mentre la decadenza viene consentita rispetto all’inosservanza di determinati obblighi a carico del concessionario da precisare con l’atto di concessione (o con la convenzione che sovente l’accompagna).
Con l’entrata in vigore del D.P.R. n. 803 del 1975, debbono ritenersi abrogate “in parte qua” le disposizioni regolamentari comunali che imponevano il rinnovo della concessione ogni trentennio e deve, pertanto, ritenersi illegittimo il provvedimento di decadenza fondato sulla persistenza della vigenza di tali disposizioni comunali.
[32] Il principio di non retroattività della legge (art. 11 preleggi) “ costituisce direttiva di carattere generale”; esso è derogabile, salvo il limite della irretroattività della legge penale (art. 25 Cost.), ma la “retroattività dello jus superveniens ha natura eccezionale e, come tale, deve essere espressamente prevista o, quantomeno, risultare in modo non equivoco dalla legge”.