Diritto di Sepolcro – 1/3

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Sepolcro – Diritto Vigente

Gli Jura Sepulchri rivelano, come sempre, una forte sintesi (o … commistione?) tra diritto pubblico e diritto privato, quasi si trattasse di un “connubio funerario”, tra regole di diversa specie e funzione, ma essi si distinguono anche per questa ragione di fondo: il diritto di sepolcro (= nel senso di essere sepolti) è principalmente un diritto personale, collegato all’appartenenza della famiglia (discendenza), e i cui elementi di patrimonialità [1], pur innegabili, sono strumentali e dipendenti rispetto al diritto principale, ossia quello di essere sepolti, ed esso, non dimentichiamo, è pur sempre di ordine intimo, affettivo, morale [2] e, quindi, “personalissimo”.
Pochi commentatori hanno considerato (dal 08/11/2001, ossia dall’entrata in vigore della Legge Cost. n. 3/2001) come il Regolamento comunale di Polizia Mortuaria attenga all’estrinsecazione della potestà regolamentare di cui all’art. 117, comma 6, 3° periodo, Cost. e non alla potestà regolamentare “ordinaria” di cui all’art. 7 D.Lgs. 18/8/2000, n. 267, oltretutto, considerando come le diverse articolazioni territoriali dello Stato Italiano, enumerate dall’art. 114 Cost. siano tra loro in assetto di pari ordinazione (e non a caso l’art. 129 Cost. è stato oggetto di abrogazione).

Va anche ricordato come il sepolcro familiare si trasformi in ereditario [3] solo quando vi sia l’assenza di discendenti del concessionario del sepolcro (se, e solo se, il regolamento comunale di polizia mortuaria, consideri la possibilità secondo cui i discendenti, o, comunque gli aventi causa, subentrerebbero nella posizione del concessionario alla morte di questi).
Riguardo alla relazione fra successione mortis causa e diritto di sepolcro, è possibile asserire che l’erede di una cappella sepolcrale, su terreno oggetto di una concessione, sia in ragione di tale qualità, come portatore di un interesse morale e spirituale alla conservazione del bene stesso, scaturente dalla tumulazione, o inumazione, nel sepolcro, dei resti dei più stretti congiunti.
Egli è titolare di una posizione giuridica soggettiva, di carattere sostanziale, in forza della quale egli è abilitato ad agire per la difesa, la conservazione ed il ripristino dell’interesse stesso, ove se ne prospetti l’ingiusta lesione da parte di chiunque.
Nel caso di decesso del concessionario, fondatore del sepolcro, spetta, infatti, al regolamento comunale di polizia mortuaria definire le persone titolate a subentrare in questo rapporto [4] di diritto pubblico, in cui il comune è controparte, nel senso di definire se queste persone – discendenti del concessionario – acquisiscano anch’esse la prerogativa di concessionario, oppure abbiano solamente il diritto passivo ad esservi sepolte nella tomba data in concessione, senza poter ulteriormente estendere ai propri congiunti, la cerchia degli aventi titolo.
Nel sepolcro ereditario, allora, il fondatore compie solo una mera attribuzione del diritto di sepoltura ai propri eredi (sibi haeredibusque suis) in considerazione di tale loro qualità, con la conseguenza che ciascuno di essi, subentrandogli iure haereditatis, è autorizzato alla tumulazione di salme estranee alla famiglia di origine, entro i confini della propria quota ereditaria e della capacità ricettiva della tomba.

Ai fini dell’esclusività dello ius nominis sepulchri, ovvero dell’intestazione della tomba familiare, è irrilevante il mero fatto che un soggetto sia, per motivi amministrativi e di semplificazione, il primo o unico intestatario della concessione di suolo cimiteriale.
Ovviamente questo status deve risultare in modo pacifico da apposite convenzioni fra i privati secondo cui suolo e tomba siano stati rispettivamente acquistati e realizzati di comune accordo da due differenti famiglie, ciascuna contribuente in ragione 50% delle spese, e, pertanto, avente di conseguenza diritto non solo a metà quota del sepolcro familiare, ma anche alla cointestazione [5] dello stesso.
A dispetto di uno sviluppo di uno Jus Positum, nel tempo, piuttosto scarno, rallentato e lacunoso in proposito (la riforma complessiva del regolamento nazionale di polizia mortuaria è stata abortita alla fine degli anni ‘90 – ed è stata resa pressoché impraticabile dalla Legge Costituzionale n.3/2001 con la revisione del Titolo V Cost.) può osservarsi come su questo specifico tema anche il dibattito tra studiosi della materia funeraria e giurisprudenza abbiano avuto modo di assumere una posizione univoca solo sporadicamente, ed in modo, spesso, discordante o confuso.

Una rapida disamina retrospettiva del quadro normativo in materia individua un primo elemento di rilievo nel R.D. n. 1880 del 1942 recante “approvazione del regolamento di polizia mortuaria”, successivamente abrogato dal D.P.R. n. 803 del 1975, a sua volta modificato dal D.P.R. n. 627 del 1981 ed abrogato con l’ultimo intervento normativo in materia siglato con il D.P.R. n. 285 del 1990.
Una volta sviluppata questa prima analisi inerente alla stratificata sovrapposizione delle diverse fonti normative in materia, può osservarsi come, tradizionalmente, si sia sempre tenuto scisso il «diritto al sepolcro cd. ereditario» sia dal «diritto primario al sepolcro cd. familiare o gentilizio» sia dal cd. «diritto secondario di sepolcro» [6].

Il «diritto al sepolcro ereditario» è il potere sancito dall’ordinamento giuridico, che ha per oggetto il bene destinato dal fondatore, genericamente, a sepolcro.
Al di là della limitazione generale, costituita dall’obbligo di riserva [7] istituito dal fondatore stesso, e le restrizioni [8] particolari, contemplate nei regolamenti comunali, o nel titolo costitutivo del diritto [9], il diritto al sepolcro ereditario, fin quando è stato in vigore il R.D. n. 1880 del 1942 [10], avrebbe potuto essere trasferito sia mortis causa, a favore degli eredi in quanto tali (iure haereditatis), indipendentemente dal loro rapporto di parentela col fondatore, sia inter vivos, a titolo oneroso o gratuito, a favore di terzi [11] con l’unica clausola di liberare preventivamente la tomba da cadaveri, ossa, resti mortali e ceneri.

Con l’entrata in vigore del D.P.R. n. 803 del 1975, il quale pur non ammetteva più espressamente detta possibilità, parte della dottrina confermò l’orientamento precedente, aggiungendo che il diritto al sepolcro ereditario avrebbe potuto, inoltre, essere anche ipotecato ed espropriato da parte dei creditori del titolare del diritto [12].
Altra dottrina [13] invece, interpretò restrittivamente l’innovazione contenuta nell’art. 94 del D.P.R. 803/1975 ritenendo la cessione a terzi del diritto di uso delle sepolture private, implicitamente negata, in quanto, quest’ultima non era più espressamente prevista.
Vi è, invero, un’altra posizione, parimenti legittimata dalla più autorevole dottrina, secondo cui tale compressione della disponibilità sullo Jus Sepulchri risalirebbe addirittura all’entrata in vigore del III libro del Codice Civile, il cui art. 824 [14], in effetti, enuncia la demanialità del patrimonio cimiteriale.
Così, trattandosi di un rapporto di diritto pubblico, né il concessionario e neppure i suoi (o alcuni di essi) discendenti sarebbero legittimati a “vendere” (poiché non si tratta di proprietà nel senso dell’art. 832 c.c., proprio per la demanialità dei cimiteri) o, comunque, a trasferire a terzi i diritti (o, le aspettative?) di uso del sepolcro.
In ogni caso, secondo l’opinione predominante, il 10/2/1976, data di entrata in vigore del D.P.R. 803/1975 (secondo altri al 21/10/1941) cessa ogni possibilità di disporre dei sepolcri per atti negoziali tra privati, anche per l’implicita contrarietà all’ordine pubblico ed al buon costume.

Ovviamente per situazioni pregresse rispetto all’entrata in vigore del D.P.R. 803/1975 o del Codice Civile, vale il principio dell’irretroattività della norma giuridica, quindi se il trasferimento della proprietà è avvenuto prima del 28/10/1941 (ma non si dimentichino anche i problemi ermeneutici collegate all’art. 71 Regio Decreto 21/12/1942, n. 1880 (successivo, ma incompatibile), esso va considerato produttivo di effetti.
Tra l’altro, tale atto pubblico dovrebbe essere stato, registrato, e trascritto nei registri immobiliari (e risultante anche dalle successioni eventualmente susseguitesi nel corso degli anni). Conseguentemente, se si provano le risultanze della trascrizione (ex Conservatoria RR. II., oggi Agenzia delle Entrate) e si produce copia autentica, registrata, dell’atto pubblico, il comune può senz’altro, con determinazione dirigenziale, adottare un atto riconoscitivo dell’avvenuto trasferimento dei “diritti” sul sepolcro.
Occorre, dunque, valutare le fattispecie in esame “a rime parallele” anche attraverso l’iterazione con regolamento comunale vigente all’epoca.
Quando gli interessati abbiano notificato al Comune l’atto di cessione ed il Comune non si sia pronunciato negativamente nei tempi previsti, non sorgono problemi in quanto vi è un silenzio assenso sul trasferimento del diritto.
Se, però, la cessione non venne formalizzata da parte degli interessati e il Comune non ha, comunque, ragioni di pubblico interesse tali da ostare a riconoscere il trasferimento del diritto, è opportuno che ne venga preso atto dall’Organo comunale competente, con atto ricognitivo in relazione alla organizzazione propria di ogni Comune ai sensi dell’art. 48 comma 3 e 89 D.Lgs. 267/2000.

Con la novella n. 285 del 1990, il Regolamento di Polizia Mortuaria, nell’art. 93 ha da ultimo, così, stabilito: «Il diritto di uso delle sepolture private concesse a persone fisiche è riservato alle persone dei concessionari e dei loro familiari; (…)
Può altresì essere consentita, su richiesta di concessionari, la tumulazione [15] di salme di persone che risultino essere state con loro conviventi, nonché di salme di persone che abbiano acquisito particolari benemerenze nei confronti dei concessionari, secondo i criteri stabiliti nei regolamenti comunali».
Alla luce di quest’ultimissima disposizione, diventa più difficile accreditare ancora l’ipotesi di un libero trasferimento del diritto al sepolcro, salvo attraverso la retrocessione, o la voltura [16] della concessione o il rilascio di una nuova concessione, o novazione della stessa, ove possibile, e nei modi dettati dal regolamento comunale di polizia mortuaria, il quale ex art. 117 III periodo Cost. opera su di un grado di pari legittimità rispetto al D.P.R. 285/1990, ovviamente per le parti di propria competenza, ovvero per la formazione delle norme complementari di dettaglio.


[1] Nei sepolcri privati all’interno dei cimiteri (cioè in ogni forma di “sistemazione” cimiteriale diversa dall’inumazione in campo comune), vi può anche essere una componente “patrimoniale” (concernente, quando vi sia concessione di area, nel manufatto sepolcrale), essa si estrinseca negli obblighi di manutenzione e conservazione del manufatto sepolcrale medesimo, componente che è finalizzata al fine di consentire la sepoltura dei corpi del concessionario e delle persone appartenenti alla sua famiglia, appartenenza che attiene ad aspetti ‘personali’, che prevalgono sulla componente ‘patrimoniale, quando sussista.
[2] Data l’ipotesi di scuola piuttosto estrema, non è chiaro se lo Jus Sepulchri, afferendo anche a beni metagiuridici e spirituali, possa esser inibito per manifesta empietà, come, ad esempio, accade per l’indegnità nella successione mortis causa.
Sarebbe, infatti, paradossale che fosse l’assassino reo confesso a poter disporre Jure Sanguinis della spoglia della vittima in quanto suo congiunto secondo criterio di poziorità ex art. 79 DPR 285/1990.
[3] Il T.A.R. Veneto nella sentenza n. 3074 del 2006 ha esaminato la questione di quali soggetti abbiano il diritto di essere sepolti nel sepolcro familiare, rifacendosi a quanto insegnato dalla Suprema Corte di Cassazione nella sentenza 29 maggio 1990, n. 5015.
[4] Dalla concessione sorgono obbligazioni sinallagmatiche.
[5] La pretesa volta all’accertamento del proprio diritto ad essere seppellito nella tomba di famiglia non dà luogo a liti e può essere fatta valere anche soltanto nei riguardi di quello dei compartecipi al sepolcro, che ne abbia contestato la concorrente titolarità dell’attore.
[6] Pretura Lucera, Sez. Distaccata di Torremaggiore, 22 dicembre 1992, in Foro It., 1993, I, 2375; Cass. 29 maggio 1990, n. 5015, in Giust. Civ., 1990, I, 2547; Appello L’Aquila, 6 giugno 1984, in Giust. Civ., 1985, I, 211; Trib. Lucera, 28 giugno 1975, in Giur. merito, I, 11; App. Torino, 29 dicembre 1956, in Giust. Civ. Mass. app., 1956, 96; Trib. Vercelli, 11 maggio 1956, in Giur. It., 1957, I, 2, 810; Cass. Sez. 2, 27 giugno 1974 n. 1920, in Dir. Eccl., 1975, II, 19; Cass. Sez. 2, 5 luglio 1979, n. 3851, in Mass. 1979.
[7] La fattispecie del sepolcro familiare ricorre allorquando il fondatore esprima la volontà di riservare lo jus sepulchri ai componenti della famiglia, così come da lui intesa, ma sempre nei limiti di un legame derivante da un rapporto di consanguineità.
[8] L’ambito di appartenenza alla famiglia del concessionario è (o, dovrebbe essere) stabilita dal Regolamento comunale di polizia mortuaria e non rientra, di norma, tra i diritti (o, meglio, le aspettative) disponibili, salva sola la possibilità di alcuni appartenenti alla famiglia di rinunciare all’utilizzo per sé (e per i proprio discendenti).
Oltre alla rinuncia (a titolo personale) già vista, il solo atto di disponibilità che è ammissibile è la rinuncia (= retrocessione) del sepolcro al comune, previo trasporto in altra sede dei feretri e la messa del sepolcro in condizioni di piena e normale utilizzabilità per altra assegnazione a soggetti terzi.
In ogni caso, deve essere del tutto esclusa ogni ipotesi di usucapione dei sepolcri, non sussistendo (né potendo sussistere) rispetto ad essi i comuni istituti del diritto privato della proprietà e/o del possesso, ma unicamente un diritto d’uso.
[9] In particolare si veda il Regolamento di Polizia Mortuaria approvato con D.P.R. 10 settembre 1990, n. 285 che ha abrogato con l’art. 108 il D.P.R. 21 ottobre 1975, n. 803 che a sua volta già abrogava il R.D. 21 dicembre 1942 n. 1880.
[10] In particolare l’art. 71.
[11] App. L’Aquila 6 giugno 1984, cit.; Trib. Napoli, 15 dicembre 1980, in Foro Nap., 1981, I, 34.
[12] M. Petrone, Sepolcro e Sepoltura, in Enc dir., Milano, 1990, vol. XLII, 1 ss.
[13] F. Carresi, Sepolcro (diritto di) in Novissimo. dig., appendice VII, Torino, 1987, 134. F. Carresi, op. cit., 134, testualmente: “Da tali disposizioni emerge infatti una tendenza del nuovo regolamento di polizia mortuaria a riguardare con disfavore le sepolture private costruite su aree cimiteriali.”
[14]“I beni della specie di quelli indicati dal secondo comma dell’articolo 822, se appartengono alle province o ai comuni, sono soggetti al regime del demanio pubblico [823, 829 comma 1]. Allo stesso regime sono soggetti i cimiteri e i mercati comunali [11, 825].”
[15] E perché non l’inumazione in un campetto di terra dato in concessione ex artt. 9 commi 2 e 3 D.P.R. 285/1990? Si tratta, in ogni probabilità di una svista del legislatore.
[16] Rientra nella giurisdizione del giudice amministrativo la controversia riguardante la legittimità del provvedimento di diniego di volturazione di una concessione inerente il diritto di uso di sepolcro, poiché gli atti di cessione di suoli cimiteriali, a favore di soggetti privati, sono compresi nella categoria delle concessioni amministrative di beni e servizi, trasmissibili in tutto o in parte per diritto comune ed ereditario, previo nulla osta dell’amministrazione comunale.

Written by:

Carlo Ballotta

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