Centinaia di cristiani hanno protestato il 23 marzo 2011 a Kathmandu (Nepal) per chiedere al governo locale un posto dove seppellire i propri morti. Con lo slogan “abbiamo diritto a seppellire i morti, dove’è il nostro cimitero”, circa mille manifestanti hanno bloccato parte del centro di Kathmandu, sfilando davanti agli uffici governativi con delle bare vuote. La protesta avviene dopo l’ennesimo scontro tra cristiani e autorità del tempio indù di Pashupatinath. Queste non vogliono concedere la vicina foresta di Shleshmantak come cimitero, nonostante la sentenza della Corte suprema che lo scorso 20 marzo ha ordinato ai leader indù di non vietare le sepolture. Per evitare nuove polemiche, il governo ha promesso che assegnerà un nuovo sito entro il 25 marzo.
“Le autorità – afferma Sundar Thapa, cristiano protestante e leader della manifestazione – devono darci un posto dove poter seppellire i morti secondo la nostra tradizione”. Secondo la comunità cristiana l’inerzia di governo centrale e amministrazione cittadina ha costretto molti fedeli a cremare i propri cari. I leader cristiani sottolineano che gli indù impediscono le sepolture anche altre regioni del Nepal e chiedono al governo un provvedimento per assegnare aree adibite a cimiteri in tutti i 75 distretti del Paese.
In questi anni la speculazione edilizia a Kathmandu ha ridotto le aree per la sepoltura e i costi dei terreni liberi sono così alti che nessuna delle comunità cristiane può acquistarli. Fino al 2006 l’induismo è stata la religione ufficiale del Nepal. Per tradizione gli indù cremano i propri morti e nel Paese non esistono cimiteri ufficiali. Costretti a utilizzare una tomba per più corpi, cristiani, musulmani, baha’i e indigeni hanno chiesto al governo centrale di concedere a basso costo delle aree da adibire a cimitero. Per risolvere il problema, le autorità hanno concesso ai cristiani la foresta di Shleshmantak, luogo sacro indù, ma già utilizzato nel passato da alcune sette tribali che per tradizione seppellivano i morti anziché cremarli. La decisione ha scatenato le proteste degli indù anche in altre regioni del Paese e costretto il governo locale a vietare l’utilizzo della zona. Di recente il divieto è stato tolto, ma a tutt’oggi polizia e autorità del tempio impediscono, anche con la violenza, le sepulture. Secondo loro danneggerebbero il sito considerato patrimonio dell’Unesco.
Fonte: Asianews