Conflitto tra eredi e consanguinei del fondatore del sepolcro

Cara Redazione,
sono l’amministratore dell’Ospedale di X sito nel Comune di Y, e vorrei sottoporVi, una domanda piuttosto spinosa o, per meglio dire, tecnica. Nel 1907 il Conte del casato di Z, a seguito del proprio decesso (dopo tutto muoiono anche i nobili!), e non avendo figli, istituisce suo “erede universale” questo nosocomio.
Egli era anche proprietario di una tomba all’interno del cimitero del Comune, sul quale territorio insiste questa struttura sanitaria, sepolcro privato il cui padre aveva avuto in concessione perpetua il 6 luglio 1878, come risulta da regolare documentazione.
A suo tempo, l’amministrazione dell’ospedale aveva fatto redigere un minuziosissimo inventario per verificare la consistenza in denaro dei beni ereditati e in seguito ha predisposto la delibera di accettazione dell’eredità e inoltre, per riconoscenza e memoria del benefattore, aveva fatto costruire sopra la tomba del defunto (lungo il lato frontale del perimetro, un monumento commemorativo. E ogni anno, in occasione del 2 novembre, commemorazione dei defunti, non facciamo mai mancare un pensiero floreale, come d’altronde è doveroso comportarsi con tutti gli altri benefattori insigni deceduti.
Se è utile alla soluzione del caso prospettato aggiungo che qualche piccola manutenzione è stata garantita da parte dell’amministrazione dell’Ospedale, ma senza onere di spesa perché eseguita da parte di volontari. Tutto questo sempre per la riconoscenza che si ritiene necessaria verso la memoria dell’illustre benefattore.
In tutti gli atti disponibili (testamento olografo, voltura catastale, registrazione della successione, inventario, delibera di accettazione dell’eredità non si fa, però, cenno al manufatto funebre (che pur avrebbe dovuto avere un valore pecuniario, almeno se consideriamo il diritto sul sepolcro in sé, ovvero la componente patrimoniale del costruito e delle suppellettili funebri, come gli arredi votivi).
L’ospedale di … risulta proprietario dell’edificio ad uso funerario anche se detto manufatto non è citato da nessuna parte?
Preciso, inoltre, che i discendenti del Conte …, ereditari, a suo tempo, del blasone nobiliare, hanno da diverso tempo (8 agosto 2005) chiesto al Comune il subentro, pleno jure nella concessione in quanto unici discendenti, jure sanguinis (anche se pare superfluo rimarcare questa loro qualità di consanguinei) rimasti in vita; una volta ottenuto il mutamento d’intestazione della concessione, hanno ristrutturato la tomba senza peraltro manomettere o, peggio ancora, rimuovere la stele posta a ricordo imperituro e indelebile da noi installata.

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Quando era stato pre-annunciato il quesito, per le vie brevi, si era segnalata l’opportunità di dotarsi di qualche ulteriore informazione, che Le è stata anche esplicitata, in relazione ad alcuni fattori meramente temporali e giuridici.
Il primo riguardava il momento storico in cui la “concessione” (se sia stata tale) era sorta, evidentemente precedente alla successione testamentaria, il secondo l’allocazione del sepolcro intra o extra moenia.

Infatti, risalendo il decesso al 1907 (cioè, prima dell’entrata in vigore del t. u. ll. ss., approvato con il R.D. 25 luglio 1934, n. 1265 e, ulteriormente, prima dell’entrata in vigore (21 ottobre 1941) del Libro III del Codice civile, si sarebbero, parimenti, potute avere due possibili congiunture

A) il sepolcro, o, meglio, il manufatto cimiteriale, immagino a sistema di tumulazione, presenta sotto ogni profilo, carattere patrimoniale,

B) il sacello ha, invece, natura, più propriamente, di una classica concessione cimiteriale, in genere di area, finalizzata alla costruzione, da parte del concessionario, di un tumulo, specie se pluriposto sibi familiaeque sue o, residualmente, sibi haeredibus suis. Per inciso, se fosse sussistita la prima condizione, il bene (probabilmente il solo lotto di terreno) risulterebbe stato accatastato quale cimitero e, come tale, oggetto delle registrazioni successorie concernenti le sostanze rientranti nell’asse ereditario, secondo le forme prescritte per gli immobili.

Strettamente collegata all’esigenza di ricostruire la realtà effettuale della prima o la seconda tra le due ipotesi in giuoco, è la questione della posizione fisica della cappella, in quanto soprattutto nel secolo XIX, si sarebbe tranquillamente potuto verificare che le aree oggetto di “concessione” amministrativa (ma, al tempo, si sarebbero potute avere anche vere e proprie “vendite” delle stesse, in adiacenza cimiteriale) fossero ubicate, però, al di fuori del perimetro cimiteriale, spesso sul confine dello stessa linea di demarcazione del muro di cinta, anche se l’ingresso, o l’accesso, al manufatto sarebbe avvenuto, comunque transitando dall’interno del camposanto vero e proprio. Questi elementi, tra loro coordinati, muoverebbero nella giusta direzione logico-argomentativa di cercare, per quanto possibile, di arguire se il manufatto sepolcrale avesse essenza squisitamente patrimoniale, eventualità, a volte (anche se non molto frequentemente), da non escludersi a priori, con particolare riferimento all’assetto della polizia mortuaria di quella precisa epoca, ormai molto risalente, poiché, vigente l’allora Cod. Civile del 1865, non era ancora intervenuta una chiara qualificazione dei cimiteri come plessi sepolcrali assoggettati al regime dei beni demaniali, oppure se si trattasse di una concessione cimiteriale strictu sensu.

Dalle scarne e lacunose indicazioni fornite sembrerebbe proprio trattarsi di una concessione cimiteriale, in special modo per la precisazione dell’assenza di catalogazioni relative al manufatto sepolcrale tra i beni nell’asse ereditario e catastali, confermate dallo stesso inventario, nonché dalla deliberazione dell’Ente di accettazione dell’eredità derivante dalla successione apertasi nel 1907. In generale, la concessione cimiteriale, di tipo traslativo, riguarda una superficie, una porzione, un riquadro ben delimitato dell’impianto (esempio: R.D. 6 settembre 1874, n. 2120 – “Art. 59 – Nello spazio destinato a cimitero non è compresa quella estensione che il municipio può destinare per le sepolture private, o riserbare a titolo di onoranza per la sepoltura dei cittadini illustri e benemeriti del paese.”), e attribuisce al concessionario la legittimazione alla costruzione dell’edicola per tumulazione di feretri, sostanzialmente; questo potere si configura ontologicamente come un fine intermedio e strumentale rispetto allo scopo ultimo costituito dal titolo alla sepoltura in esso delle persone del concessionario e di quelle appartenenti alla famiglia del concessionario stesso. Insomma se non c’è il corpo materiale del sepolcro (= detto più brutalmente: blocco murario adibito a contenitore di bare) è inibito e compresso lo stesso jus sepulchri, così non altrimenti esercitabile. In questi frangenti, si è in dinanzi di una pluralità, ad un ampio spettro di relazioni giuridiche:

1) la concessione (rapporto tra Comune e concessionario) dell’area, per (come già specificato prima) l’edificazione del sepolcro,

2) proprietà, in senso civilistico, del sepolcro così eretto in capo al concessionario ed alla sua famiglia, istituto di diritto privato avente tratti marcatamente patrimoniali (e su cui si fonda il fatto che il concessionario e le persone appartenenti alla sua famiglia conservino ex capite gli obblighi di manutenzione e conservazione del sepolcro in solido e decoroso stato), seppure non illimitata, in quanto rimane sempre teleologicamente orientata al fine ultimo e precipuo, quello della sepoltura dei defunti che ne abbiano titolo,

3) titolarità alla sepoltura in capo alle persone del concessionario ed appartenenti alla di lui famiglia, titolarità/diritto che ha prerogativa personale, quand’anche non personalissima, siccome l’appartenenza alla famiglia è determinata sulla base di legami giuridici (matrimonio, parentela, affinità) indipendenti dalla componente patrimoniale (come da Lei giustamente riscontrato: diritto sul sepolcro in sé) del sepolcro ed ha riguardo, in via esclusiva, a persone fisiche.

In tali evenienze, retaggio di un passato ormai lontano e remoto, quando si avesse la devoluzione della massa ereditaria ad un Ente, specie se a titolo universale (fenomeno un tempo più diffuso di quanto non avvenga oggi, per diverse motivazioni, non ultima la funzione di istituzioni di assistenza e beneficienza di determinati Enti in assenza di un intervento pubblico ancora di là da venire), si sarebbe sempre posta l’incognita di discernere rettamente tra le componenti “patrimoniali” e quelle “personali” del sepolcro, con questa conclusione: ben si sarebbe potuto avere che la prima rientrasse tra i beni acquisiti con la successione ereditaria, mentre la seconda no, per ovvie ragioni (non essendo, né potendo essere l’Ente una persona fisica). Tra l’altro, anche ammettendo la piena acquisizione del sepolcro da parte dell’Ente, sarebbe divenuto difficile, in questi casi estremi individuare le persone che avrebbero potuto essere sepolte, in quanto nella fattispecie di concessioni cimiteriali in capo ad Enti, tale diritto di sepoltura (cioè, di esservi sepolti) richiede tutt’oggi che le persone siano individuate, od identificabili, sulla base dell’atto di concessione (aspetto escluso in quanto il sepolcro perveniva all’Ente successivamente alla sua formale stesura) e all’ordinamento dell’Ente stesso (e pressoché mai gli istituti di assistenza e beneficienza individuavano, nei propri statuti o atti di fondazione, le persone loro “appartenenti” ai fini della sepoltura).

Non mancavano, in tali casi, situazioni in cui l’Ente, divenuto “proprietario” del sepolcro, venisse ad assumere la titolarità della componente “patrimoniale” del sepolcro (e ciò si tradurrebbe negli obblighi di manutenzione e conservazione), senza poter disporre del titolo ad utilizzare, ai fini di sepoltura, il sepolcro stesso.

Dalla documentazione fornita (cioè dai riferimenti alle registrazioni successorie, all’inventario, alla deliberazione di accettazione dell’eredità) risulterebbe che l’Ente Ospedaliero (probabilmente interessato, allora, alle disposizioni della L. 17 luglio 1890, n. 6972 e, di seguito, alle diverse trasformazioni che hanno interessato quelle tipologie di Enti, incluse le più recenti L. 12 febbraio 1968, n. 132 e l. 23 dicembre 1978, n. 833 e succ., fino alle trasformazioni, anche se non per la componente “ospedaliera”, in persone giuridiche di diritto privato, ma si vedano a tal proposito le riforme in sequenza, apportate al servizio sanitario nazionale da: D.Lgs n.502/1992, D.Lgs n.517/1993, D.Lgs n.229/1999) sia rimasto estraneo ai rapporti sul sepolcro, pur avendo posto in essere atti di disposizione, aventi l’impronta di atti di liberalità e di, comprensibile, riconoscenza nei confronti del benefattore.

Non si entra nel merito della posizione dei terzi diretti discendenti del Conte, perché che la valutazione sulla loro appartenenza alla famiglia richiederebbe di conoscere quale sia l’ambito della famiglia stessa definito dal Regolamento comunale di polizia mortuaria, spettando a questa “fonte” fissare i parametri e la “sfera” della famiglia del concessionario, con l’inevitabile risultato che si tratta di istanza di subentro la quale solo il comune può attentamente ponderare (e, da quanto indicato, il locale ufficio della polizia mortuaria sembra proprio aver acceduto a questa tesi, per acta concludentia, già da diversi anni).

Written by:

Carlo Ballotta

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