Premessa il diritto di sepolcro si configura come un complesso di situazioni giuridiche assimilabili a queste tre principali fattispecie:
1. Jus Sepulchri = diritto ad esser sepolto in un determinato sacello privato
2. Jus Inferendi in Sepulchrum = diritto a dar sepoltura
3. Diritto secondario di sepolcro = potere che sorge in capo ai consanguinei del de cuius per rendergli i dovuti onori funebri con pratiche di pietas e devozione verso i propri morti.
Va ricordato che la natura tipica delle concessioni cimiteriali importa che la “successione” possa aversi unicamente per discendenza, salvo che quando questa sia esaurita, nel qual caso può avvenire per eredità, anche se con effetti particolari. Infatti, poiché il diritto alla sepoltura in un determinato sepolcro privato nel cimitero è un diritto della persona, esso non ha carattere patrimoniale, con la conseguenza che la successione per eredità, esaurita la discendenza, importa che l'”erede” subentri sono negli obblighi derivanti dalla concessione e non nel diritto di poterla utilizzare, a tempo debito. Come si vede, il regolamento comunale di polizia mortuaria assume un ruolo del tutto centrale ed essenziale nella regolazione delle questioni segnalate (Dr. Sereno Scolaro).
Problema:
Guglielmo, nell’imminenza del secondo dopo guerra, vigente il Regio Decreto R. D. 21 dicembre 1942, n. 1880, il cui Art. 71 (1) prevedeva la disponibilità delle sepolture per atti inter vivos o mortis causa diviene titolare di 6 loculi a concessione perpetua disposti su tre ordini verticali, l’atto di concessione (2) a quanto ci è dato sapere prevede la classica formula sibi familiaeque suae, in cui dar sepoltura ai genitori provvisoriamente “parcheggiati” in altro cimitero.
L’atto di concessione , però, non precisa più dettagliatamente quali siano le persone riservatarie del diritto di sepolcro.
Guglielmo non ha rapporti di coniugio o di filiazione, così, nel corso degli anni le tombe disponibili vengono occupate dai suoi genitori e fratelli premorti ed anche dai loro coniugi (essendo quest’ultimi, quali cognati e quindi affini (3) e non discendenti jure sanguinis, s’immagina vi sia stata da parte del fondatore del sepolcro una sorta di autorizzazione assimilabile all’istituto della benemerenza (4) , anche perché all’epoca vigeva l’istituto sociale della famiglia alla allargata e patriarcale, propria delle zone rurali, senza dimenticare come il regolamento comunali di polizia mortuaria in via estensiva potrebbe considerare appartenenti al novero famigliare anche gli affini di primo grado). alla sua morte nel lascito testamentario nomina eredi universali Marco ed Alberto, trasferendo loro, Jus Hereditatis anche il sepolcro gentilizio, così come risulterebbe anche dall’atto di concessione conservato presso gli archivi comunali.
Ora i rami della famiglia con scrittura privata non si sono mai preoccupati di definire un ordine per l’uso dei posti feretro, lasciando questo ingrato compito al triste evolversi egli eventi luttuosi, ovviamente questa situazione di incertezza ha ingenerato il alcuni aventi diritto la legittima, ma del tutto giuridicamente immotivata aspettativa di esser assegnataria di un loculo.
Nel corso dei decenni tutti i 6 loculi risultano occupati da cadaveri o resti mortali, per liberare spazio finalizzato a nuove tumulazioni bisognerebbe procedere alla riduzione o alla cremazione dei defunti ivi sepolti da più di 20 anni ex DPR 15 luglio 2003 n. 254.
Ovviamente, deceduti il fondatore del sepolcro ed i sui fratelli la rissosità tra i cugini è massima perché non si forma mai il consenso unanime per deliberare l’operazione cimiteriale, in quanto inibire il diritto di sepolcro ad un odiato parente significa, per converso, garantirlo in futuro remoto a sé o ai propri cari.
Ora Alberto, nipote ed erede universale, assieme al fratello dell’originario concessionario scompare e nelle sue ultime volontà chiede di esser tumulato nella prestigiosa tomba di famiglia, ma non quale discendente Jure Sanguinis del fondatore del sepolcro, ma in virtù nuovo concessionario subentrato allo zio in forza del testamento, ampliando così la portata dei suoi Jura Sepulchri.
Come sempre si scatena tra i parenti una rissa terrificante.
Per dirimere la faccenda sono necessarie alcune considerazioni di dottrina e… giurisprudenza, anche perché questi conflitti, spesso, debbono esser ricomposti proprio dal Giudice. (ma da quale: ordinario o… amministrativo?).
1. Se la famiglia del concessionario non è definita dall’atto di concessione la sua definizione deve esser desunta dagli Artt. 74, 75, 76, 77 del Codice Civile.
2. La concessione cimiteriale ha, anche, dei contenuti patrimoniali, ma questi sono direttamente correlati e finalizzati, all’esercizio di diritti personali, dato che il diritto d’uso e’ riservato unicamente al concessionario e alle persone appartenenti alla sua famiglia.
Astrattamente, può anche aversi una successione nelle componenti patrimoniali (cappella), almeno nel corso di durata della concessione, successione che non può, mai, estendersi al diritto personale (quello di venirmi sepolto) in quanto i diritti personali non sono successibili. In questo caso, chi eredita, eredita il bene con i suoi oneri (es.: obblighi di manutenzione), mentre il diritto di sepolcro (= di esservi sepolti, cioe’ di usare la cappella ai fini del proprio sepolcro) restano ‘riservati’ (art. 93, 1 dPR 10/9/1990, n. 285) al concessionario e alle persone appartenenti alla sua famiglia (quale definita dal Regolamento comunale di polizia mortuaria e dall’atto di concessione). L’erede subentra negli oneri sulla concessione (fino a che duri), probabilmente (nel caso) solidarmente ad altri membri della famiglia; mentre il diritto di sepoltura e’ “riservato” solo alle persone della famiglia del concessionario. Infine, richiamando la sent. della sez. II civile della Corte di Cassazione n. 12957 del 29/9/2000, in presenza di istituzione di erede universale ma anche di discendenti jure sanguinis del concessionario, si determina che l’erede diventa titolare della ‘proprietà del manufatto’ per quanto riguarda gli aspetti patrimoniali, e fino a che duri la concessione, con tutti gli oneri connessi (la successione ha riguardo sia alle componenti attive ma anche a quelle passive), rimanendo sprovvisto di diritto di sepolcro fin tanto che non siano estinti tutti i membri della famiglia del concessionario, i quali conservano il proprio diritto, primario e secondario, di sepolcro e rispetto ai quali l’erede e’ tenuto ad assicurare ogni comodità ed a ritenerli esenti di ogni onere per quanto riguarda il loro diritto di sepolcro che deriva dall’appartenenza alla famiglia delc oncessionario.
Solo con l’estinzione di tutti i discendenti o, comunque, familiari del concessionario, l’erede potrà – forse – acquisire un diritto di usare, a titolo personale, il sepolcro.
3. L’atto di concessione non precisa la retroattività sui suoi effetti giuridici dello Jus Superveniens, ossia delle successive modifiche del regolamento comunali di polizia mortuaria, di cui si ribadisce la centralità per dirimere liti di questo tipo.
4. vanno tenuti ben distinti i diritti di sepoltura (5) , aventi carattere personale (appartenenza alla famiglia), rispetto ai diritti patrimoniali sul sepolcro (quelli che determinano, tra l’altro, obblighi di manutenzione e conservazione del manufatto, gli eredi potrebbero, quindi, esser semplicemente degli onerati.
5. Anche in base alla sentenza della Corte di Cassazione n. 12957/2000, l’erede testamentario rimane sprovvisto del diritto di sepolcro fino all’estinzione di tutti i membri della famiglia del concessionario d’origine.
6. Di norma il sepolcro si trasforma in ereditario quando siano venuti meno i discendenti (tra le altre: Corte di Cassazione, Sez. II, sent. n. 5095 29/5/1990 e Sez. II, sent. n. 12957 del 7/3-29/9/2000). Fatte salve le previsioni del Regolamento comunale di polizia mortuaria in proposito – cioè concernenti la successione delle persone alla morte del concessionario in relazione alla concessione – dato che la concessionaria risulta non avere discendenti che jure sanguinis siano succeduti nei diritti concernenti la concessione, il sepolcro deve considerarsi trasformato in ereditario. Ne consegue che gli eredi, se previsto dal Regolamento, subentrano al concessionario defunto, quando questi non abbia disposto con atto di ultima volontà o altrimenti con atto pubblico in modo diverso.
7. Quando il testamento acquisisca efficacia (pubblicazione se olografo ex Art. 620 Codice Civile, può senz’altro essere riconosciuta la titolarità (patrimoniale) della cappella, ma non la titolaritià di diritto personalissimi come il diritto di sepoltura (= esservi sepolti) in quanto questi sono legati all’appartenenza alla famiglia del fondatore.
8. In parole povere, il “proprietario” ha gli oneri connessi alla “proprietà ” (6), ma l’uso, in quanto diritto personalissimo, e’ legato all’appatenenza alla famiglia (almeno fino a che questa non si estingua).
Rimane pur sempre anche l’aspetto della capienza fisica del sepolcro (dato che i cadaveri non possono essere estumulati, o ridotti, trattandosi di sepolcro perpetuo (art. 86, 1 dPR 10/9/1990, n. 285).
9. Dai dati in nostro possesso non è chiaro se per norma che sorga dal combinato disposto tra atto di concessione (con relativa convenzione) e regolamento di polizia mortuaria si debba di volta in volta far riferimento al concessionario originario oppure ad i suoi di volta in volta aventi causa.
10. Il diritto di sepolcro trova il suo fisiologico limite nella capienza fisica del sepolcro stesso, degradando a mera aspettativa, se non c’è il necessario consenso a ridurre (7) o cremare i defunti precedentemente tumulati lo jus sepulchri non è esercitabile.
Quindi nella fattispecie Alberto, prescindere da vantato, ma ancora indimostrato subentro nella concessione, ha sì titolo ad esser tumulato nella tomba fondata da suo zio, ma in qualità non di proprietario, ma di congiunto Jure sanguinis con il fondatore del sepolcro.
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(1) Tuttavia, tale disposizione era comunque inapplicabile ed “abrogata” fin dal 21 aprile 1942 (cioè da ben prima l’emanazione e la successiva entrata in vigore dello stesso R. D. 1880/1942), data di entrata in vigore del codice civile attualmente vigente, che aveva volutamente affermato la demanialità dei cimiteri.
(2) A fonte Regolamentare locale potrebbe prevedere tanto che al concessionario debba farsi riferimento anche post mortem quanto che i suoi discendenti assumano, a loro volta, la posizione di concessionari (ipotesi che modifica, od amplia, la definizione di famiglia del concessionario).
(3) Pretura di Genova, 30 dicembre 1995 Non sussiste turbativa del possesso quando un congiunto del concessionario originario tumula nel sepolcro “familiare” la propria madre (moglie di un figlio del fondatore del sepolcro), pur senza il consenso degli altri contitolari e senza dare a questi ultimi preventivo avviso del seppellimento, avendo anzi mendacemente comunicato all’autorità comunale cimiteriale che i compossessori avevano acconsentito all’inumazione.
(4) se occorre tumulare (ad es.) un feretro di persona benemerita, occorre l’assenso scritto di tutti coloro che, avendo diritto alla sepoltura in detta tomba, ne autorizzano l’entrata (in quanto rinunciano ad un loro diritto). Difatti l’accesso ad una tomba è in funzione sia del diritto ad esservi sepolto, sia della premorienza rispetto ad altri aventi diritto, fino al completamento della capienza del sepolcro, fatta salva ovviamente la possibilità di traslazione ad altra sepoltura o la riduzione in resti o la cremazione degli stessi.
(5) diritto di sepolcro e’, essenzialmente, un diritto personale, connesso all’appartenenza alla famiglia (di cui la componente patrimoniale e’ strumentale rispetto alla realizzazione del fine primario, quello della sepoltura del concessionario e dei membri della sua famiglia a cui e’ riservata la sepoltura). La condizioone di erede, invece, richiama un contenuto patrimoniale che puo’ rilevare solo se ed in quanto siano esuariti i membri della famiglia e non necessariamente importa l’acquisizione del diritto ad essere sepolti, ma spessissimo i soli doveri dominicali sul manufatto, fino alla scadenza della concessione.
Sulle modalità di ‘”registrazione”‘, comunque la si chiami, delle titolarità derivanti ai discendenti dalla morte del concessioanrio, va fatto rinvio al Regolamento comunale di polizia mortuaria (che, probabilmente, nulla dice, specie se un po’ datato), potendo prevedere un atto ricognitivo, rientrante nell’ambito dell’art. 107, comma 3 D. Lgs. 18/8/2000, n. 267 e succ. modif., a volte su dichiarazione/denuncia (magari anche da effettuarsi entro un determinato termine dal decesso del concessionario), altre volte d’ufficio. La ‘fonte’ e’ sempre e comunque il Regolamento comunale di polizia mortuaria.
(6) Esiste poi un diritto di proprietà sul manufatto e sui materiali sepolcrali, trasmissibile, mortis causa, indipendentemente dallo Jus Sepulchri.
(7) Una volta avvenuta la tumulazione, l’estumulazione è ammessa solo allo scadere della concessione, se a tempo determinato, mentre non è ammessa l’estumulazione se si tratta di concessione perpetua, ma la salma tumulata deve permanere nella sepoltura a tempo indeterminato (art. 86, comma 1 DPR 10 settembre 1990, n. 285), salvo che non ricorra il caso di cui al successivo art. 88, cioè quando venga richiesto il trasferimento in altro sepolcro, o per riduzione in resti.
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Piccolo sentenziario sullo Jus Sepulchri
Il senso della famiglia nel DPR 285/1990
Rapporto di coniugio e limiti dello Jus Sepulchri
Eredi o discendenti?
Tumulazione illegittima?
In riferimento alla nostra correspondenza del 18 agosto 2013, La prego di citarmi il testo e numero
della legge che mi garantisce “il diritto secondario di sepolcro, cioe’ la facolta’ di fruire del sepolcro per porre in essere atti di pietas e devozione verso i miei defunti”.
Grazie
Remo
X Giuseppe,
gli estremi identificativi obbligatori per una sepoltura (a maggior ragione se PRIVATA, quale è sempre ciascuna tumulazione, anche in sepolcro monoposto) sono nome e cognome del defunto, nonché data di nascita e morte. Il Regolamento comunale di polizia mortuaria, o meglio ancora le norme attuative del piano regolatore cimiteriale, può dettare criteri più specifici e stringenti o anche a maglie più larghe. Il principio da non disattendere mai è che la tomba deve esser chiaramente IDENTIFICABILE. La fotografia ricordo, pure se molto utile allo scopo, è elemento OPZIONALE e non di diritto.
Quanto poi agli atti di disposizione per il post mortem la preponderante dottrina ritiene che il coniuge superstite (dal primo matrimonio) anche se legittimamente risposato, mantenga sul de cuius il proprio diritto a decidere sulla sistemazione delle spoglie mortali. Insomma, la cara e vecchia formuletta del “finchè morte non vi separi” non si applica in ambito di polizia mortuaria e di conseguente diritto di sepolcro, considerando nello jus sepulchri anche i diritti gestionali e patrimoniali sulla sepoltura stessa e sul corpus compositum di opere materiali (arredi votivi, lapidi, suppellettili) di cui essa consta.
Chiudo con questa ultima postilla: tutti i lavori cimiteriali (compresi quelli dei marmisti) debbono esser preventivamente AUTORIZZATI dal comune, la rimozione di lastre sepolcrali o di foto, magari nottetempo e clandestinamente deve ritenersi a ragione, un fatto illecito.
15 anni fa moriva mio fratello e sua moglie sulla lapide a nostra insaputa non metteva nessuna foto ma solo una dedica.Con il passare degli anni sua moglie si e’ risposata e la lapide di mio fratello e’ rimasta cosi’.Nel frattempo sono morte molte persone che si sono affiancate alla lapide di mio fratello rendendo cosi’ difficile ogni qual volta lo si andava a trovare il riconoscimento.Si decide cosi’di mettere una foto del defunto appoggiata alla lapide ma con nostra sorpresa dopo un po’ e’ scomparsa,abbiamo provveduto allora a marchiarla a fuoco sulla lapide e anche questa volta e’ stata tolta .volevo sapere se la moglie puo’ far togliere la foto del defunto dalla lapide(perché e’ lei complice con qualcuno che lo fa.
X Sandro,
Come?!!! Non avete il regolamento comunale di polizia mortuaria? Orrore nero! Sono attonito, sgomento ed allibito…per non dire esterrefatto!
Il suddetto strumento normativo è indispensabile per il buon governo del cimitero, anche per raccordare la gestione degli spazi sepolcrali con usi, costumi e sensibilità locali; altrimenti è impossibile disciplinare compiutamente tutta la galassia delle concessioni cimiteriali, basandosi solo sulle le scarne norme nazionali di sistema.
L’adozione del regolamento municipale (tempo addietro spesse volte accorpato con quello di igiene) è obbligatoria per ciascun comune a far data dal Regio Decreto n. 2322/1865 (giusto l’altro giorno eh?) senza poi considerare le attuali disposizioni attualmente in vigore quali gli Artt. 344 e 345 del Testo Unico Leggi Sanitarie approvato con Regio Decreto n. 1265/1934…cioè più di 80 anni fa, all’epoca del fascismo!
Si tratta di una grave lacuna (o inadempienza???) spesso foriera di liti, conflitti e controversie tar i privati sull’uso delle tombe, perché, all’alba della prima legislazione postunitaria, in tema di servizi funerari, la polizia mortuaria nasce proprio come materia spiccatamente comunale (“federale” si direbbe oggi), tant’è vero che il primo regolamento nazionale risale “solo” al 1891.
Ad ogni modo opera, per il principio dell’horror vacui legislativo, pur sempre e di default, come norma quadro, l’Art. 93 comma 1 I Periodo del Regolamento Nazionale di Polizia Mortuaria di cui al DPR 10 settembre 1990 n. 285, il quale rinvia implicitamente agli Artt. 74 e segg. del Cod. Civile dove, come da Lei giustamente rilevato, l’ultimo grado di parentela riconosciuto dal Legislatore è, appunto, il sesto.
Gent.mo sig. Carlo,
faccio seguito al mio precedente post. Sono stato presso il mio Comune il quale mi ha detto, con mio sommo stupore, di non avere un Regolamento di Polizia Mortuaria!!
Sulla base di ciò, presumo che, per la qualificazione del concetto di “famiglia”, in assenza di un Regolamento di Polizia Mortuaria comuinale che ne stabilisca la portata, debba far unicamente riferimento a quanto stabilito dal codice civile che considera la parentela entro il 6° grado.
X Romina,
A volte, i regolamenti comunali prevedono che chi si attivi per richiedere una data operazione cimiteriale possa dichiarare di agire in nome e per conto di tutti gli aventi diritto e con il loro consenso, sollevando gli uffici comunali da eventuali contenziosi endo-famigliari, poi si sa… la Legge punisce le dichiarazioni mendaci, ma malgrado l’Art. 76 DPR n. 445/2000 commini questa sanzione c’è sempre chi tenta la sorte affermando il falso e negando la verità….siamo in Italia.
Il regolamento comunale del Suo Comune presenta una sottile ambiguità: in effetti, precisa come la famiglia sia composta sì da ascendenti e discendenti addirittura ampliando la portata di tale definizione sino agli affini, ma dimentica come il nucleo famigliare legittimo sia soprattutto fondato sull’istituto del matrimonio. Dunque, per costante interpretazione della giurisprudenza, e per norma costituzionale, aggiungo io: bisognerebbe annoverare anche il consorte tra gli aventi diritto alla sepoltura.
Nell’assenza di una norma ad hoc, magari inserita nel regolamento comunale di polizia mortuaria, per tentare timidamente di risolvere una caso così specifico e delicato ci soccorre la giurisprudenza, sempre con l’ovvio limite dell’applicabilità di un pronunciamento ad una fattispecie simile o analoga (In Italia, in effetti, una sentenza, per quanto importante o “storica” fa stato solo tra le parti in giudizio) :
Pretura di Genova, 30 dicembre 1995 “Non sussiste turbativa del possesso quando un congiunto del concessionario originario tumula nel sepolcro “familiare” la propria madre (moglie di un figlio del fondatore del sepolcro), pur senza il consenso degli altri contitolari e senza dare a questi ultimi preventivo avviso del seppellimento, avendo anzi mendacemente comunicato all’autorità comunale cimiteriale che i compossessori avevano acconsentito all’inumazione”.
A mio umilissimo (e servile!) avviso bisogna appurare, in primis, “se” e soprattutto “come” (pleno jure?) i due figli in questione siano subentrati, alla morte del concessionario primo nell’intestazione della concessione.
Occorre, infatti, fare riferimento al Regolamento comunale di polizia mortuaria locale per la verifica di quali siano, o possano essere, le persone che siano subentrate (se vi sia stato subentro) nella qualità di concessionario (precisando che potrebbe anche aversi il caso che non vi sia proprio subentro, ma che con cessionario rimanga determinato nel fondatore del sepolcro (con l’effetto dell’inoperatività dell’art. 93, comma 2 d.P.R. 10 settembre 1990, n. 285).
In linea generale, nei sepolcri privati nei cimiteri sono accogliibili (cioè: hanno il diritto di sepolcro) le persone considerate dall’art. 93, sopra citato salve norme regolamentari che amplino o restringano il diritto di sepolcro), fatta salva la possibilità per il concessionario, esplicitandolo nell’atto di concessione, di indicare, od anche escludere, persone diverse, statuizione che rimane immodificabile di seguito, sia da parte del concessionario, sia da parte (deceduto quest’ultimo) di altri aventi titolo, se subentrati nella titolarità della concessione
Ora nel caso di coo-titolarità (e se non vi siano, nell’atto di concessione, altre indicazioni) si ha una corta di comunione indivisa tra i co-intestatari, così come spesso ci ricorda la Suprema Corte di Cassazione, con alcune illuminanti sentenze a proposito dello Jus SEpulchri.
Una volta stipulato l’atto di concessione, di norma non è ammesso che i concessionari definiscano tra loro una sorta di “ripartizione” quantitativa dei posti, salvo che ciò non sia – espressamente – previsto dal Regolamento comunale di polizia mortuaria, ipotesi nella quale lo stesso regolamento regola (o, dovrebbe regolare le forme e le modalità di “registrazione” di questa “spacchettamento” da parte degli uffici comunali.
Il diritto di sepolcro é riservato ai concessionari e alle persone appartenenti alla famiglia dei concessionari, famiglia che, a questi fini, é stabilita nel Regolamento comunale di polizia mortuaria.
L’effettiva fruizione del sepolcro, va posta in relazione ai momenti di utilizzo (decesso delle persone rientranti nella riserva), aspetto non prevedibile, con il limite (ovvio) della capienza del sepolcro). Infatti, i diversi aventi diritto alla sepoltura si trovano in condizioni di pari-ordinazione e l’uso è connesso solo al verificarsi del fatto luttuoso (non prevedibile, come comprensibilmente noto).
Il concessionario (o, un concessionario) non ha titolo, una volta stipulato l’atto di concessione, a disporre del sepolcro, o di singoli posti, meno ancora consentire la tumulazione di persone terze, fatti salvi i casi di convivenza di cui all’art. 93, 2 dPR 10/9/1990, n. 285 (si trascura la qualità di persone benemerito per il concessionario, trattandosi di fattispecie che opera solo se ed in quanto il regolamento comunale di polizia mortuaria definisca, in via generale, i relativi criteri per il riconoscimento di tale condizione).
Quando venga a decede il concessionario (o, uno di essi, in caso di co-intestazione) spetta al Regolamento comunale di polizia mortuaria regolare gli effetti, potendo questo sia prevedere un “subentro”, nel senso che il coniuge ed i discendenti divengano, a loro volta, concessionari, oppure conservare la qualificazione di concessionario rispetto al c.d. fondatore del sepolcro (nella 1^ ipotesi, potrebbe mutare, ampliandosi, la “rosa” delle persone appartenenti alla famiglia).
Al di fuori dei casi dell’art. 93 comma 2 dPR 10/9/1990, n. 285 non é proprio ammissibile la tumulazione di persone diverse da quelle considerate allo stesso art. 93, 1, cosa che se richiesta comporta, di èper se’ stesso, la dichiaarzione di didecadenza dalla concessione.
E’ sempre inammissibile una tumulazione in sepolcro di terzi, seppure temporanea, ipotesi che determina la decadenza dalla concessione, quando fosse evenmtualmente richiesta (per altro, in alcuni comuni, e’ – erroneamente – tollerata questa indebita prassi, ipotesi nella quale potrebbe agire unciamente il concessionario).
Se, allora, c’è stato il pieno subentro abbiamo un frazionamento dello Jus Sepulchri attivo e passivo in due quote paritarie, quindi la formula del sibi familiaeque suae
[diritto di sepolcro riservato al concessionario ed alla di lui famiglia] va estesa alle due rispettive famiglie dei concessionari ed il coniuge è senz’altro parte (jure coniugii appunto) della famiglia legittima del concessionario…rectius: di uno dei due concessionari. Insomma chi per consanguineità o istituto del matrimonio, rientri nella rosa delle persone riservatarie dello Jus Sepulchri si colloca su un piano di pari ordinazione rispetto agli altri aventi diritto con questa conseguenza: chi prima muore meglio alloggia…sin quando ci sia posto!
Per quanto riguarda la difesa dello ius sepulcri, la Cassazione ha precisato che tale interesse è tutelabile con l’azione negatoria sancita dall’art. 949 codice civile (22).
Lo scopo sarà quello di impedire od eliminare l’introduzione nel sepolcro delle salme di coloro che non vi hanno titolo.
Ciascun familiare, perciò, essendo portatore di specifico ed individuale interesse, potrà esercitare l’azione negatoria per sentir dichiarare l’inesistenza di un diritto di sepoltura sul manufatto cimiteriale e qualora il convenuto eccepisca di essere proprietario del bene oggetto del giudizio, all’attore spetterà solamente fornire con ogni mezzo la prova del proprio status familiae.
Il diritto alla tumulazione, nella sua veste di interesse privato e personale, è tutelabile dinanzi all’Autorità giudiziaria ordinaria mediante ogni azione che il particolare caso richieda, compresa quella di rivendica mentre come sopra detto, alla stregua del diritto sul sepolcro, è destinato ad affievolirsi nei confronti dell’Amministrazione concedente ed a degradare in diritto condizionato o affievolito, qualora lo richiedano esigenze di pubblico interesse, per la tutela dell’ordine e del buon governo del cimitero.
In questo secondo caso sulle relative controversie, trattandosi di interessi legittimi e non di diritti soggettivi è competente il giudice amministrativo.
G.le Sig. Carlo,
le espongo il mio problema: il signor X è titolare di una concessione cimiteriale. alla sua morte la stessa si trasferisce ai suoi 2 figli. uno di questi seppellisce li la moglie, all’insaputa dell’altro e dichiarando di agire con il consenso di quest’ultimo, esaurendo i posti a disposizione. il regolamento comunale afferma che “la famiglia del concessionario è da intendersi composta dagli ascendenti, discendenti in linea retta e collaterali, ampliata agli affini, fino al 6 grado”. tale tumulazione è legittima???
X Sandro,
in questo caso (salvi patti contrari tra gli aventi diritto, da notificare all’amministrazione comunale, ai quali, comunque, il Comune rimane estraneo, nell’evenienza di un possibile contenzioso, o diverse indicazioni, sull’ordine di occupazione dei posti feretro, contenute nell’atto di concessione)la legittimazione JURE HAEREDITATIS, così come quella JURE SANGUINIS pone tutti i titolari dello Jus Sepulchri su di un livello di pari ordinazione, lasciando così alla naturale cronologia degli eventi luttuosi (la morte è un evento non sempre prevedibile…ma, ad ogni modo certo!) il compito di stabilire chi prima fruirà dello spazio sepolcrale, com’è ovvio sino alla saturazione della tomba…insomma “chi prima muore meglio alloggia”, sempre che abbia davvero maturato il diritto di sepoltura in quella data cappella privata.
Gent.mo Carlo,
La ringrazio per la cortese risposta. Quindi, in parole povere, il cugino di 4° grado ha acquisito il diritto di essere sepolto nel nostro sepolcro, in virtù di successione da mio fratello (de cuius).
Per come mi è parso di capire, non c’è alcuna regola di preferenza tra il discendente e l’ascendente… chi muore prima meglio alloggia!
X Sandro,
E’ sempre difficile districarsi tra rapporti endo-famigliari (dai quali poi, originano i contenziosi sullo Jus Sepulchri) non sempre idilliaci ed al quanto problematici, soprattutto quando si finesce con il litigare sui posti salma.
Comunque: abbiamo due fattispecie: il sepolcro gentilizio (o famigliare) e quello ereditario.
Nel primo caso (sepolcro gentilizio) così come previsto dall’art. 93 del DPR n. 285/90, recante l’approvazione del Regolamento nazionale di polizia mortuaria – il diritto d’uso delle sepolture private spetta al titolare della concessione ed ai suoi familiari, fino al logico completamento della capienza del sepolcro, oltre la quale lo jus sepulchri spira ex se, divenendo non più esercitabile (…per forza: se non c’è più spazio per l’immissione di nuovi feretri!)
Lo stesso concessionario può consentire la tumulazione, nella propria tomba, di salme di persone sue conviventi o a lui legate per particolari benemerenze.
La famiglia del concessionario è comunque da intendersi composta dagli ascendenti e discendenti, in linea retta e collaterali, ampliata agli affini, fino al sesto grado di parentela se ciò viene specificato nel regolamento di polizia mortuaria comunale, il quale, però, potrebbe dettare criteri più selettivi o restrittivi.
Per gli ascendenti e discendenti in linea retta il diritto alla tumulazione è stato implicitamente acquisito dal fondatore il sepolcro, all’atto dell’ottenimento della concessione. Per i rimanenti è il regolamento comunale che può estendere lo jus sepulchri.
In assenza di norma specifica nel regolamento, laddove si voglia consentire la sepoltura di collaterali ed affini, questa estensione, in deroga alla natura familiare della tomba, deve essere autorizzata di volta in volta dal titolare della concessione con apposita dichiarazione, facendo riferimento al 2° comma dell’art. 93 del DPR n.285/90 (istituto delle benemerenze).
Nella seconda evenienza: (ed è il nostro caso, cioè del sepolcro jure haereditatis) il diritto alla tumulazione di natura ereditaria può derivare fin dall’inizio dall’atto di concessione, laddove il fondatore statuisca che il sepolcro viene realizzato per sé e per i propri eredi, come proprio mi par di capire dalla Sua esposizione.
Costui, concentrando nelle proprie mani tutto lo jus sepulchri attivo e passivo, nonchè i diritti di gestione sull’edificio sepolcrale, si limita a compiere una mera destinazione del diritto di sepoltura ai propri eredi (o successibili) in considerazione di tale loro qualità, con la conseguenza che ciascuno di essi (subentrandogli “iure haereditatis”) è legittimato alla tumulazione di salme estranee alla famiglia di origine, entro i limiti della propria quota ereditaria.
In quanto erede, poi, sia in questa condizione sia come portatore di un interesse morale e spirituale alla conservazione del sepolcro che contiene i resti dei più stretti congiunti, risulta titolare di una posizione giuridica soggettiva di carattere sostanziale che abilita ad agire per la difesa, la conservazione e il ripristino dell’interesse stesso ove se ne prospetti l’illegittima lesione da parte di chiunque.
L’identificazione dei soggetti titolari dello ius sepulcri va eseguita in base alle norme civilistiche che regolano la successione mortis causa o i trasferimenti in genere (specie se patrimoniali) dall’originario titolare, trattandosi di un diritto che si trasmette nei modi stessi di ogni altro bene, e può persino essere alienato in tutto o in parte e può essere lasciato, anche in legato, a persone non facenti parte dalla famiglia.
Il diritto alla tumulazione di natura ereditaria può derivare, altresì, come detto appena sopra, dallo ius sepulcri che, trasmesso per vincolo di consanguineità all’ultimo superstite della cerchia degli aventi diritto, all’apertura della successione di tale soggetto diventa trasmissibile per via ereditaria quale parte del suo patrimonio.
In altre parole, con l’estinzione della cerchia dei familiari, esso si trasforma da familiare in ereditario con riviviscenza dello ius successionis e della trasmissibilità per atto inter vivos o mortis causa. Ciò in quanto la presenza di più contitolari realizza quella particolare forma di comunione, differenziata dalla comunione di proprietà o di altro diritto reale sul bene, nella quale non può non riconoscersi la concentrazione dello stesso diritto nelle mani dell’ultimo superstite compreso nella cerchia dei familiari, qualunque sia il suo vincolo col fondatore.
In questo caso, pertanto, le successive vicende della proprietà dell’edificio cimiteriale nella sua materialità non diventano indifferenti per l’individuazione dei titolari del diritto, anzi, costituisce presupposto indispensabile per l’esercizio della facoltà di sepoltura proprio il fatto che il sepolcro (o parte di esso) rientri nel patrimonio del soggetto.
La volontà del fondatore di erigere ab origine un sepolcro familiare o ereditario può trovare innanzitutto espressione nell’atto concessorio (come accade, appunto, nel fatto da Lei esposto). In questa sede il fondatore può stabilire se il diritto di sepoltura sorga esclusivamente in capo ai suoi successori oppure alle persone che rientrano nella cerchia della sua famiglia. La qualificazione dello status del sepolcro in forma scritta è ovviamente quella da preferire giacché riduce al minimo le situazioni di possibile contenzioso tra soggetti interessati all’uso della tomba.
In assenza dell’atto scritto, la volontà può essere manifestata in qualunque forma, potendo risultare anche da elementi indiziari presuntivi, la cui valutazione è rimessa al giudice di merito.
Nell’eventualità di una pluralità di concessionari, la titolarità jure haereditatis è riconosciuta in via esclusiva al concessionario rispetto al quale sussista la posizione erede al momento del decesso. Ciò comporta che il comune sia tenuto alla verifica della sussistenza della condizione solo nei confronti del richiedente, restando del tutto estranei al procedimento gli altri eventuali concessionari, sia in termini di consenso o anche di mera consultazione.
Dopo questa lunga e necessaria premessa per inquadrare giuridicamente il fenomeno posso solo aggiungere questo: come a più riprese rilevato dal Consiglio di Stato la legittimazione a deporre in un sacello mortuario privato una determinata salma, deve esser attentamente verificata dall’Autorità Comunale attraverso apposita ed attenta istruttoria, in cui ponderare i titoli di sepoltura (seppur solo formali, perchè l’azione amministrativa non può mai sconfinare nell’attività giurisdizionale) prodotti agli atti dell’ufficio della polizia mortuaria e tale modus operandi (di cui spesso gli stessi Comuni si dimenticano…colpevolmente!) è sancita dall’Art. 102 del Regolamento Nazionale di Polizia Mortuaria. Vale a dire: lo jus sepulchri accertato al momento del decesso della persona interessata, ex Art. 50 comma 1 lett. c) DPR 10 settembre 1990 n. 285, la quale, quindi, doveva esserne portatrice, quando ancora in vita, soprattutto se la concessione preesiste e non è fatta al momento stesso, deve in qualche modo esser documentato affinché il comune possa autorizzare la tumulazione. Di più: certi regolamenti comunali, con una procedura invero piuttosto farraginosa, ma che ha il pregio della chiarezza, richiedono un’autorizzazione preliminare da parte del concessionario, magari per salme detentrici pleno jure dello Jus Sepulchri, ma non specificate nominativamente nell’atto di concessione. Altri regolamenti, questa volta in modo sì ultroneo ed in un eccesso di prudenza prossimo alla paralisi, domandano addirittura il consenso di tutti gli altri potenziali titolari dello jus sepulchri che vedrebbero così attuarsi un’inevitabile compressione del loro stesso diritto di sepolcro, siccome lo spazio sepolcrale, com’è noto, non è dilatabile all’infinito.
Per quanto riguarda la difesa dello ius sepulchri, dalla cosiddetta “tumulazione illegittima” (= turbativa di sepolcro) la Cassazione ha precisato, a più riprese ed in modo pressoché costante ed uniforme, nel tempo, che tale interesse è tutelabile con l’azione negatoria sancita dall’art. 949 codice civile.
Quindi, azzardo una possibile risposta: se il defunto tumulato nella Sua cappella funeraria rientra nella rosa degli eredi (anche in prospettiva futura) del concessionario…o meglio dei concessionari) ha diritto ad esser deposto in quel determinato monumento sepolcrale, se no si è trattato di un ab-uso (nel senso tecnico del termine). Per questa possibile lesione del Suo Jus Sepulchri è possibile, avverso l’autorizzazione comunale di cui parlavo prima, adire anche il T.A.R. o, altrimenti, esperire qualche forma di ricorso amministrativo interno alla “macchina comunale” perché, magari, agendo in autotutela, senza, allora, il bisogno di instaurare o eccitare un giudizio dinanzi al T.A.R., il Comune annulli i provvedimento di cui sopra, in quanto viziato ab origine, forse (penso io, ma potrei aver preso un clamoroso abbaglio) per difetto d’istruttoria.