Lo Jus Sepulchri presenta tratti sui generis di un diritto catalogabile quale reale, patrimoniale e soprattutto personalissimo, in quando la sua componente materiale è teleologicamente orientata al consentire il concretarsi, in termini di pietas, del diritto di sepoltura.
Dallo Jus Sepulchri su stabile cimiteriale promanano due diversi istituti, tra loro correlati, con una sorta di geometria variabile: il sepolcro ereditario ed il sepolcro familiare (o gentilizio – destinato dal fondatore sibi familiaeque suae), a seconda che il prefato diritto spetti a qualcuno nella condizione rispettivamente di erede o di familiare del fondatore.
La scelta di fondo è riservata, come enunciazione di principio, solo al fondatore del sepolcro; in sede di stipula dell’atto di concessione: Cassazione civile, Sez. II, 29 settembre 2000 n. 12957 “L’individuazione della natura di una cappella funeraria come sepolcro familiare o gentilizio oppure come sepolcro ereditario costituisce apprezzamento di mero fatto non suscettibile di sindacato in sede di legittimità, qualora sorretto da sufficiente motivazione ed immune da vizi logico – giuridici”.
Nell’evenienza di un suo silenzio, o di solo dubbio nell’interpretazione della sua volontà, si presume egli abbia voluto istituire un sepolcro di tipo familiare[1].
Nell’edicola familiare, l’identificazione dei soggetti titolari del diritto primario di sepoltura, inteso nella sua accezione di diritto alla tumulazione in un dato luogo sepolcrale, è ottenuta in base alla volontà del concessionario primo, in stretto riferimento alla cerchia dei suoi familiari, i quali acquistano il diritto iure proprio e iure sanguinis (e non iure successionis), al momento della nascita, in forza del legame di sangue con il fondatore.
Ma l’idea di famiglia (mononucleare, allargata, patriarcale…) potrebbe anche essere sancita, in astratto, dalla stessa amministrazione locale nell’implementazione concreta del proprio potere regolamentare nella sfera della polizia mortuaria[2]; come extrema ratio, poi, potrebbe operare di default il combinato disposto tra l’art. 93 comma 1 D.P.R. 285/90 e gli Artt. 74, 75, 76 e 77 del Cod. Civile.
In mancanza di indicazione, da parte del fondatore, dei destinatari del sepolcro familiare, una giurisprudenza non proprio recentissima e fors’anche un po’ “rètro”, richiama norme di diritto consuetudinario, in base alle quali afferma il diritto ad esservi seppelliti a tutti i discendenti maschi del fondatore per linea maschile e loro mogli, alle discendenti femmine per linea maschile rimaste nubili, con l’eccezione, in ogni caso, dei mariti delle discendenti femmine e dei collaterali, anche se fratelli del fondatore, a meno che, limitatamente però a questi ultimi, il fondatore sia morto senza figli o altri discendenti.
Il diritto in oggetto è, inoltre, riconosciuto alla moglie del fondatore, che non potrà trovarsi, ovviamente, in una condizione deteriore rispetto alle mogli dei discendenti maschi del fondatore stesso (C. Cass., n. 5015/1990).
Il sepolcro familiare si evolve in ereditario, con la morte dell’ultimo componente della cerchia dei familiari aventi diritto, qualunque fosse il suo vincolo di parentela con il fondatore; e così dalla morte e in riferimento all’apertura della successione di detto soggetto[3], lo Jus Sepulchri diviene trasmissibile per via ereditaria[4].
Quando si parli di mutazione del sepolcro di famiglia (detto, appunto anche, gentilizio) in ereditario, deve tenersi presente come la posizione di erede non derivi solo da testamento, ma anche da successione legittima.
Ne consegue che, a seguito del decesso delle persone prima concessionarie (le quali si presume siano subentrate all’originario concessionario/fondatore del sepolcro nei modi e forme fissati, per un tale avvicendamento, dal regolamento comunale), e se non vi sia testamento (da parte dell’ultimo concessionario in vita), il sepolcro da gentilizio diviene ereditario, e si dovrà far riferimento alle persone che siano eredi dell’ultimo concessionario, secondo le regole proprie della successione legittima statuite dal Cod. Civile.
Per quanto riguarda l’eventuale transizione del sepolcro da gentilizio in ereditario, va ricordato come questo passaggio avvenga quando la famiglia del concessionario (quale indicata, a tale fine, dal regolamento comunale ed, in subordine, dallo stesso atto di concessione) venga ad esaurirsi (Corte di Cassazione, sez. 1^ civ. sent. n. 1672 del 16 febbraio 1988; Sez. 2^ civ., sent. n. 5015 del 29 maggio 1990; Sez. 2^ civ., sent. n. 112957 del 29 settembre 2000; Sez. 2^ Civ. sent. n. 1789 del 29 gennaio 2007, tra le altre), ma in passato (Es. art. 71 commi 2 e segg. R.D. n.1880/1942) sarebbe stato anche possibile disporre del proprio Jus Sepulchri per acta inter vivos e pure attraverso scheda testamentaria, quindi per successione mortis causa.
Il diritto di sepoltura é circoscritto e delimitato, per legge, ai sensi dell’art. 93 comma 1 D.P.R 285/90 al concessionario e alle persone facenti parte della di lui famiglia.
Il punto nevralgico e dirimente è il concetto di famiglia: esso a questi fini, va precisato nel Regolamento comunale di polizia mortuaria e non solo in teoria, altrimenti, per default opererebbero, pur sempre gli artt. 74, 75, 76 e 77 del Cod. Civile, come visto precedentemente.
Poiché un sepolcro, ab origine familiare, si “tramuta” in ereditario quando vi sia estinzione della famiglia del concessionario, nel caso di specie, gli eredi conseguono la condizione di titolari del sepolcro, assumendo così (salva diversa specificazione nel regolamento comunale che, per altro, qui si afferma essere silente) anche la qualificazione di concessionari e, in caso di loro pluralità, di co-concessionari, in termini di indivisibilità, dato il regime di comunione solidale che si instaura nel rapporto concessorio, il quale sorge sempre “intuitu personae”, è bene non dimenticarlo.
Comprensibilmente, l’impiego dei posti feretro residuanti ed ora disponibili, sarà decretato dall’ordine (non preconizzabile, ma comunque certo!) di … riempimento in base alla cronologia degli eventi luttuosi, sempre nell’ottica del massimo volume ricettivo della tomba, insomma se non c’è materialmente spazio per immettere nuovi feretri nel tumulo il diritto di sepolcro si esaurisce ex se e chi prima muore…meglio alloggia!
La questione posta è un po’ complessa, siccome, in linea di massima, dovrebbe sussistere nella titolarità della concessione tra più persone una comunione indivisibile, anche se possano esservi “regolazioni” pattizie tra diversi soggetti (regolamento su cosa comune ex art. 1106 Cod. Civile?), sempre se ed in quanto dichiarate ammissibili o consentite dal Regolamento comunale.
In tale ipotesi, l’utilizzo, pro-indiviso, si verifica in conseguenza di fattori esterni alla volontà degli interessati, cioè all’evento del decesso di persone aventi diritto, in quanto concessionarie o appartenenti alla famiglia del concessionario, e fino al raggiungimento della saturazione del sepolcro stesso.
È tradizione che vi sia una sorta di divisione dei posti in base alla quota di proprietà del sepolcro, ma questo non è elemento di diritto. Fermo restando il necessario rinvio al Regolamento comunale (che, in questi casi, senza mai dimenticare l’art. 117 comma 6 III Periodo Cost. assume/svolge un ruolo importante, quando non assoluto), potrebbe – forse – anche riuscire comprensibile un intervento giudiziale di “regolazione”, del diritto di sepolcro; qualora il giudice acceda a questa tesi detto frazionamento, per altro, comporterebbe una sorta di compressione dei diritti di ciascuno degli altri soggetti interessati, venendosi così ad alterare il postulato per cui il titolo ad essere sepolti andrebbe ponderato in occasione del suo immediato utilizzo.
[1] Cassazione civile, Sez. II, 29 settembre 2000 n. 12957. Nel caso in cui manchi una diversa volontà espressa del fondatore, il sepolcro si deve presumere destinato “sibi familiaeque suae”, per cui il diritto alla sepoltura spetta “iure sanguinis” a tutti i discendenti del fondatore medesimo nonché ai rispettivi coniugi, indipendentemente dalla sorte che l’edificio sepolcrale subisca per diritto successorio.
[2] TAR Palermo, Sicilia, n. 9208/2010.
[3] La Cassazione (C. Cass., n. 5015/1990) osserva che lo Jus Sepulchri si esaurisce e viene ad estinguersi per ciascun titolare nel momento stesso in cui il suo cadavere viene deposto in quel determinato sepolcro, sicché non può che aversi riguardo, per l’estinzione della classe degli aventi diritto al sepolcro, al momento della morte dell’ultimo superstite che vi sia compreso, nelle mani del quale si sia concentrato lo Jus Sepulchri, momento che può verificarsi sia a breve distanza temporale dalla morte del fondatore, sia a lunga distanza col decesso dell’ultimo dei suoi discendenti maschi o della vedova dell’ultimo discendente maschio.
Sarebbe assurdo, prosegue la Corte, riportare il mutamento del carattere del sepolcro da familiare in ereditario, nei suoi effetti, indietro nel tempo, alla morte del fondatore – risalendo talvolta lungo tutta una serie interminabile di discendenti.
[4] C. Cass., n. 5015/1990. Nel sepolcro ereditario lo Jus Sepulchri si trasmette nei modi ordinari per atto inter vivos o mortis causa dall’originario titolare come qualsiasi altro bene, anche a persone non facenti parte della famiglia (C. Cass., n. 5015/1990).