Come recuperare un atto concessorio tra scartoffie, incartamenti ed archivi polverosi

Cara Redazione,

Aspra contesa sorse tra co-titolari di cappella cimiteriale, la querelle ruota attorno alla realizzazione di un sepolcro privato e gentilizio in epoche remote.

L’edificio ha subito nel tempo diverse ristrutturazioni ed ampliamenti. Naturalmente manca l’atto di concessione – irreperibile -. Prima di adire il giudice ordinario vorremmo esperire la soluzione di un procedimento amministrativo di accertamento, ma occorrono “pesanti” elementi probatori della legittima costituzione dello jus sepulchi, dove reperirli? Dimostrare la sussistenza della tomba muovendo da qualunque elemento a disposizione può esser la soluzione idonea?


Va precisato, per quanto riguarda le opere di costruzione del sepolcro e, nel caso, anche per i lavori di ristrutturazione successivi, come non si possa escludere che i relativi atti siano stati oggetto di procedura di scarto dall’archivio comunale, per cui (almeno) dovrebbe essere reperibile il relativo verbale con cui e’ stato proceduto alla loro eliminazione, mentre non possono essere stati oggetto di scarto gli atti di concessione e, sempre che vi siano stati, gli eventuali aggiornamento dell’intestazione, conseguenti al decesso del concessionario (e, forse, anche dei suoi discendenti), sempre che la procedura di c.d. “subentro” fosse regolata dal regolamento comunale di polizia mortuaria.
Nel caso, appare evidente come la tenuta dell’archivio, locolamente, non sia stata del tutto “perfetta” (e, come osservato, si tratta di una situazione anche molto diffusa).
Per quanto riguarda la seconda parte, ossia l’estrazione anche delle copie delle planimetrie, fermo restando il rinvio, per quanto attiene alle modalità di accesso, al regolamento comunale sul diritto di accesso agli atti, adottato ai sensi dell’art. 10 T.U.E.L. (D. Lgs. 18 agsoto 2000, n. 267 e succ,. modif.) si osserva qui come ricorrano tutte le condizioni che determinano il diritto di accesso (per quanto riguarda le modalità di accesso, anche sotto il profilo soggettivo, quale discedente del concessionario/fondatore del sepolcro (art. 22, comma 1, lett. b) L. 7 agosto 1990, n. 241 e succ. modif.).

Non appare sostenibile (anche in relazione al principio affermato all’art. 22, comma 3 L. 7 agosto 1990, n. 241 e succ. modif., ma si veda anche il successivo art. 25, comma 3) l’argomentazione sulla natura “informale” delle planimetrie, stante la definizione di “documento amministrativo” , in senso sostanziale, data dall’art. 22, comma 1, lett. d) L. 7 agosto 1990, n. 241 e succ. modif., in cui non rileva, ai fini di una tale qualificazione, l’aspetto “formale”, quanto quello funzionale (cioè quanto serva all’attività della P.A.), impianto ribadito, ed accentuato, anche dall’art. 1, comma 1, lett. a) D.P.R. 28 dicembre 2000, n. 445 e succ. modif.. A maggiore ragione, se si consideri come l’art. 54 d.P.R. 10 settembre 1990, n. 285 non richieda minimamente la rispondenza a requisiti formali delle planimetrie cimiteriali, ma – solo – la loro tenuta.
Nel caso di diniego, o di inerzia protrattasi per oltre 30 giorni dalla richiesta di accesso, è ammesso rimedio (art. 25, commi 4 e ss. L. 7 agosto 1990, n. 241 e succ. modif.) con ricorso al T.A.R. (o, se istitutito, al difensore civico).

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Carlo Ballotta

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