A partire dall’evo immediatamente post-unitario, a far data dalla L. n. 2248/1865 (allegato c), sino ai nostri giorni: (attualmente in forza del D.L. 28/12/1989 n. 415, art.26-bis in vigore dall’1/3/1990 e convertito nella L. 28 febbraio 199 n. 39):
gli impianti cimiteriali sono servizi indispensabili parificati alle opere di urbanizzazione primaria ai sensi dell’art. 4 della L. 29 settembre 1964 n. 847, integrato dall’art.44 della legge 22 ottobre 1971 n. 865.
Secondo la legislazione vigente sotto il profilo urbanistico i cimiteri sono opere pubbliche essenziali di urbanizzazione e quindi esenti ai sensi dell’art. 9 lett. f) della L. 28.01.77, n. 10 dal contributo di urbanizzazione che, non è pertanto dovuto per la costruzione di cappelle da parte dei privati.
Dopo questo lungo excursus storico-normativo addentriamoci pure in medias res, scrutinando bene l’istituto “sepolcro privato”, soprattutto nel pregresso ed in un’epoca molto risalente nel tempo…
Nella prima parte del secolo appena trascorso, stante l’allora vigente Codice Civile del 1865, le aree cimiteriali non parevano ancora direttamente riconducibili ope legis e per tabulas al demanio pubblico (res publico usui destinata).
Un primo problema su cui indagare attiene alla natura giuridica delle stesse.
Una lettura della ricca, erudita e culta letteratura giuridica dell’epoca ci permette davvero di rilevare l’esistenza di un intenso dibattito in merito alla qualificazione demaniale delle aree in questione.
In proposito appare prevalente l’opinione favorevole alla demanialità dei cimiteri, nonostante emergano talune autorevoli voci discordanti, in dottrina, secondo le quali la circostanza che l’allora vigente Regolamento speciale 25 luglio 1892, n. 448, di polizia mortuaria, agli art. 107 e segg., e segnatamente all’art. 109, contemplasse l’esistenza di “sepolcri particolari eretti da privati in terreni di loro proprietà per deporvi cadaveri o ceneri di persone appartenenti alla loro famiglia”, sembrava sufficiente a negare l’esclusività per lo Stato della funzione svolta a mezzo dei cimiteri (quest’ultima consisteva «nel provvedere alla inumazione dei cadaveri secondo i dettami dell’igiene, della sanità pubblica e della morale» e da cui derivava la possibilità di «accantonare l’idea che, nel caso dei cimiteri privati, o “particolari”, lo Stato delegasse al singolo l’esercizio della sua funzione»: E. GUICCIARDI, Il Demanio, Padova, 1934, 153; «la caratteristica comune a tutte le cose comprese nell’art. 427 è questa: vi è un godimento comune. (…) Non basta che un determinato bene sia destinato ad un servizio pubblico per caratterizzarlo demaniale: occorre che si tratti di res publico usui destinata»: C. FADDA, Nota ad Appello Brescia 4 ottobre 1887, in Foro. It., 1888, I, 429; cfr., inoltre, G. INGROSSO, Demanio comunale, in N.D.I., IV, 1938, 695).
A sostegno del carattere demaniale delle aree cimiteriali si sottolinea come non «si debba confondere la funzione esclusiva dell’ente pubblico con il mezzo che può essere necessario, ma non esclusivo per compierla […] e tantomeno si può confonderla con quel complesso di attività che l’ente esercita sul bene in relazione allo scopo di salvaguardare la sicurezza del servizio e l’integrità della funzione» (P. DEL PRETE, Natura giuridica dei cimiteri e diritti del concessionario, in Giur. it., 1939, III, 5 e s.; S. ROMANO, Principi di diritto amministrativo italiano, Milano, 1912, 534; «finché il cimitero serve ad un uso pubblico è proprietà demaniale del Comune e segue la sorte delle proprietà di codesta natura; cessato l’uso […] diviene bene patrimoniale»: S. GIANZANA, Le leggi sulla sanità pubblica, Torino, 1883, 85; si vedano, altresì, in merito: A. VIGORITA, Di alcuni aspetti della concessione di aree cimiteriali, in Giur. compl. cass. civ., 1953, I, 143; F. CAMMEO, Corso di dir. amm., Padova, 1911-1914, II, 1027; L. MEUCCI, Istituzioni di dir. amm. , Torino, 1909, 372, nota 3; G. ZANOBINI, Il concetto di proprietà pubblica e i requisiti giuridici della demanialità, Torino, 1923, 37 s.; E. PRESUTTI, Istituzioni di dir. amm., Messina, 1931, I, 232;
In altri termini si ribadisce pertanto che la funzione esclusiva del comune in ordine ai cimiteri rimane «quella della sanità pubblica e dell’ordine» (P. DEL PRETE, Natura giuridica dei cimiteri e diritti dei concessionari, cit., ) e non coincide, quindi, con l’utilizzazione dei sepolcri, «i quali detto ente ben può concedere ai privati senza che perciò si abbia un’alterazione dell’esclusività della funzione» (G. C. DI SAN LUCA, Voce Cimitero, in Enc. giur., Vol. VI, 1).
Nel passato (remoto?), infatti, specie ante (o, rectius, molto prima de:) il T.U.LL.SS., cioè quando non era ancora nettamente definita la posizione giuridica dei cimiteri quali impianti a rilevanza igienico-sanitaria, soggetti al regime dei beni demaniali (Artt. 337, 343 comma 1 e 394 R.D. 27 luglio 1934 n. 1265, con funzione esclusiva in carico al Comune) non sono mancati momenti storici in cui, applicando una sorta di principio di sussidiarietà ante litteram, alcuni Comuni abbiano consentito l’edificazione di sepolcri privati (o, particolari) al di fuori dei cimiteri, in genere sulle aree confinanti.
Per altro nel sec. XIX e fino ai primi del sec. XX, non difettavano certo situazioni contingenti in cui quei lavori che, oggi, chiameremmo “opere pubbliche” (ad es.: strade, ponti, ed altre infrastrutture) fossero sostenuti da privati, in genere frontisti, i quali si auto-tassavano, poiché i Comuni non disponevano ancora delle necessarie risorse finanziarie per porle in essere autonomamente.
Ogni diritto d’uso in tema cimiteriale dovrebbe, a rigore, essere supportato da regolare atto di concessione (memento art. 98 D.P.R. n.285/1990 come condicio sine qua non perché un privato possa vantare diritti, ancorché affievoliti, su suolo cimiteriale o edificio sepolcrale o sua porzione: cfr. Corte di cassazione civile, Sez. unite, 27 luglio 1988 n. 4760).
Anche se non sia sempre semplice, vi dovrebbe essere, sempre in archivio, una qualche testimonianza o registrazione sia della concessione dell’area, sia dell’autorizzazione all’edificazione di un determinato manufatto e, forse, dello stesso progetto, con relativa determinazione del numero di posti a tumulazione di cui il sepolcro stesso sia composto.
Anche se, in verità, non si può escludere in modo assoluto che vi sia stata mancanza di atti, in qualche modo formali. In ambito cimiteriale, questa figura oggi profondamente sintomatica, sorgeva, da un lato, dalla “memoria”, seppur nominalmente abrogata, dell’art. 59 R.D. 6 settembre 1874, n. 2120, per il quale: “Nello spazio destinato a cimitero non è compresa quella estensione che il municipio può destinare per le sepolture private, o riserbare a titolo di onoranza per la sepoltura dei cittadini illustri e benemeriti del paese.“, norma successivamente superata, prima, dal R.D. 11 gennaio 1891, n. 42 e, poi, dal R.D. 25 luglio 1892, n. 448, emanato ai sensi della L. 22/12/1888, n. 5849 (sostanzialmente simili), del quale, ultimo in ordine cronologico, ma non nell’impostazione di base, si riportano alcune norme (corrispondenti, anche nella numerazione, al Regolamento di un anno e mezzo precedente):
“Art. 97.- Allorché l’estensione dell’area del cimitero lo permetta, il comune può concedere posti a chi ne faccia domanda per sepolcri individuali o di famiglia.
Art. 98.- Tali sepolcri particolari, comunque siano costruiti, non potranno mai avere comunicazione diretta col di fuori.”
Gli artt. 110, 111, e 112 R.D. n. 448/1892 ampliavano, anche in deroga, la portata generale dell’art. 58, comma 2 L. 22/12/1988, n. 5849 che limitava la previsione (oltre che ad illustri personaggi cui il Parlamento avesse decretato onoranze nazionali) alle “cappelle private o gentilizie non aperte al pubblico e collocate ad una distanza dai centri abitati eguale a quella stabilita per i cimiteri”.
Se queste ultime disposizioni (che sono state vigenti fino all’entrata in vigore del R.D. 21 dicembre 1942, n. 1880, cioè fino al 1° luglio 1943, in piena decadenza del regime fascista), influenzavano ancora la realizzazione dei sepolcri privati all’interno del recinto cimiteriale, la persistenza di una “retaggio stratificato” della norma antecedente (del 1874), fece sì che, in alcune realtà locali, i Comuni continuassero a permettere l’elevazione di sepolcri privati sui lotti di terreno posti al confine (adiacenti? liminari?) con l’area cimiteriale (ma le amministrazioni municipali dell’epoca, forse con qualche miopia, continuavano ad intendere per tale solo la superficie destinata alle comuni inumazioni in campo di terra), con il solo incombente dell’entrata dall’interno del cimitero.
E ciò, per altro, spiega, come frequentemente le cappelle gentilizie siano erette nella fascia perimetrale del camposanto, stante il divieto, di ordine generale ed ancora persistente, del diretto accesso all’esterno del cimitero ex art. 94 comma 3 D.P.R. n. 285/1990, o, almeno, di quello spazio che all’epoca era il cimitero, nella sua massima estensione percepita, ossia delle quadre ad inumazione in capo comune opportunamente isolate dal paesaggio circostante.