Cimiteri postmoderni: dal razionalismo esasperato… alla geometria del caos!

Gli improvvisi rivolgimenti sociali del XX secolo, sono senza dubbio legati alle tumultuose accelerazioni che la tecnologia ha impresso al mondo economico.
Questi sconvolgimenti paiono aver provocato un profondo smarrimento dello spirito in tutti gli ambiti della vita civile.
Tale disorientamento è proprio di un’epoca in cui la compressione delle coordinate temporali ha coinvolto la sfera dei rapporti giuridici e patrimoniali con vorticose, incontrollabili transazioni finanziarie. Una simile incertezza si è poi riverberata, con prepotenza, anche sugli intimi precordi del pensiero moderno.
Principi come le teorie classiche sull’interpretazione dell’oggetto artistico ed i criteri per una gestione politica dello spazio fisico, infatti, sono stati sottoposti nel corso del Novecento ad una critica veemente, alle volte spietata, da parte degli autori più rivoluzionari e trasgressivi.
Persino l’architettura commemorativa, capace per secoli di progettare con linee nitide aree solenni ed equilibrati volumi, dove, pietosamente, potessero riposare le spoglie dei defunti, ha risentito di questa instabilità stilistica ed è ancora attraversata da una sottile, inquieta tensione.
Elaborare un’estetica commemorativa, infatti, significa conglobare un insieme di fattori richiesti ed accettati dal gusto e dal comune sentimento del bello.

Il concetto stesso di cimitero monumentale, ha subito una profonda evoluzione.
Nell’ 800 gli artisti neoclassici concepivano il sepolcreto come un luogo di riflessione contiguo alle chiese, non solo in senso fisico, perché tra gli edifici sacri ed il camposanto sussisteva, da tempi antichissimi, una fitta rete di corrispondenze allegoriche e di richiami ideali.
Le tombe infatti, secondo la dottrina cattolica, erano in grado di generare uno spazio religioso, che spesso si inseriva nel più ampio complesso di edifici sacri, dominato da pievi e basiliche.
Spesso così, i cimiteri, concepiti come templi dedicati alla cristiana devozione per i defunti, ospitavano, tra le loro mura inviolabili, soluzioni architettoniche proprie delle cappelle o dei claustri monacali.
Lo sviluppo orizzontale di lastre tombali, ossari e campi comuni, sapientemente alternati ad edicole e nicchie, conserva saldamente, per più di un secolo, l’equilibrio tra i corpi di fabbrica (le tombe) e gli spazi aperti (i campi d’inumazione).

Solo nel secondo dopoguerra le aree sepolcrali sono coinvolte dai frenetici cambiamenti che investono la società italiana.
L’aristocratico camposanto tradizionale, con le preziose sepolture per le classi abbienti, distintamente separate dalle umili fosse comuni, è presto sostituito da una nozione di tomba più consumistica e seriale. Diventa il portato di quel benessere diffuso e sgraziato, tipico di una fluente società industriale.
Al disordinato sviluppo di caseggiati e villette nelle città dei vivi si contrappone, nel regno dei pietosi ricordi, il caotico moltiplicarsi di colombari e cappelle gentilizie costruiti in grande numero, con i criteri efficientistici ed a basso costo.
Questa diffusione in larga scala di monumenti e accessori funerari, prima strettamente riservati ad un pubblico d’èlite, comporta inevitabilmente una “perdita dell’aura” da parte dell’opera d’arte, ossia un offuscamento della sua intima funzione sacrale.
Tale fenomeno, prettamente moderno, si risolve in uno svilimento dell’estro creativo e del valore intrinseco, effusi in un soggetto, che non può più essere unico ed irripetibile.
La tecnologia, infatti, permette ormai agevolmente una facile riproduzione in svariati esemplari di qualunque modello.
Bassorilievi e sculture di pregio, realizzati, con marmi riccamente lavorati, da valenti artigiani, vengono rapidamente sostituiti dal dilagare confuso di rappresentazioni in plastica, cemento armato o metalli vili; materiali sì anonimi ed insignificanti, ma notevolmente più economici, nonché funzionali.

La rigidità logico-razionale dei moduli costruttivi e la povertà di intuizioni determinano, sotto l’aspetto architettonico, un singolare parallelismo tra la “polis” e la necropoli. I cimiteri con i loro volumi squadrati e spigolosi, quasi fossero elementi scatolati, divengono copia esasperata del degrado nelle periferie urbane.
D’altra parte, le orrende distese di loculi che, interrati o sopraelevati, si sovrappongono in diversi ordini e livelli, traducono il disagio verso quell’innaturale verticalismo tipico dei quartieri dormitorio della caotica metropoli.
La monotona espansione di questa fabbrica funeraria (Le Corbusier teorizzava gli edifici civili come fabbriche abitative) suscita nel visitatore un soffocante senso di alienazione.
Il cimitero non si configura più come un sacro recinto che cinge un malinconico luogo di memorie ed affetti, ma diventa, quasi fosse un carcere, l’istituzione chiusa ed impenetrabile dove i vivi segregano l’imbarazzante presenza dei loro morti.
L’ossessivo succedersi di lapidi piattamente uguali e stereotipati apparati iconografici ormai logori, lungo interminabili, claustrofobici corridoi, infatti, produce un sentore di banale eguaglianza e stantia replica.
Questa dimensione uniformemente scialba, senza una reale profondità, non riesce ad esaltare, in un corretto rapporto con gli spazi vuoti, il dinamismo della masse murarie, al contrario le sprofonda in un indistinto grigiore.
Una simile tendenza stilistica, dove persino la memoria ed i sentimenti vengono minuziosamente contingentati e relegati in zone predefinite con rigore scientifico riesce vagamente autoritaria.

All’esasperato calcolo, in cui anche le esigenze dell’anima possono essere razionalizzate e tradotte in esatte formule di ingegneria sociale, si oppone una nuova estetica, più sfumata e poliedrica: il postmodernismo.
Questa filosofia multiforme, paradigma dell’individualismo di massa, privilegia, assieme agli ambienti plastici e destrutturati, le città tentacolari, labirintiche.
Nega le teorie totalizzanti e le immutabili certezze universali, ispirandosi apertamente alle correlazioni complesse enucleate dalla geometria del caos.
È l’estrema celebrazione di un’epoca, il novecento, che ha raggiunto la decadenza senza attraversare, forse, una fase di consapevole maturità.
La modernità è avvertita come un vorticoso processo frammentario ed instabile.
Il reale, allora, come sostiene Luhuman si risolve in una serie di sottoinsiemi privi di un centro, non è un sistema logico, ma una congerie eccentrica e multiforme in cui confusamente si muovono variopinti agenti sociali.
Una simile interpretazione della storia, quindi, dove energie, culture ed interessi si combinano per poi scindersi improvvisamente, o scontrarsi con violenza, genera valori contraddittori, quasi schizoidi, che rappresentano diversi significati, alle volte in conflitto tra loro.
Se la realtà è costituita da una molteplicità di linguaggi incoerenti e si articola su spazi incerti, mentre il tempo si rivela un continuum inestricabile, anche il ruolo politico dell’arte varia notevolmente.
La produzione artistica, infatti, è sempre vissuta come l’espressione di qualche potere, istituzionalizzato oppure ancora allo stadio embrionale, punto focale per l’azione dell’intera società, mentre la stessa letteratura si rivela come la sedimentazione continua di un processo di perpetuo divenire.

Il cimitero, con forme ben definite e ponderate, deve presentarsi come alternativa al propagarsi squallido e sguaiato del suburbio nella città moderna.
Contro un luogo senza memoria dove regna il caos, la sensibilità dei progettisti indaga sugli aspetti dell’inconscio, sui precordi culturali.
Esplora nuove connotazioni di significato, attraverso lo spregiudicato uso di una simbologia astratta, per attingere con i propri schemi ad una sfera di universalità, in cui chiunque possa riconoscere la proiezione del proprio pensiero.
L’opera, in un processo osmotico con il microcosmo cittadino, si confronta, dunque, con l’immagine urbana e si candida quale riferimento e punto fermo per contrastare la frammentazione visuale. Fissa, in questo modo, un contenuto stabile, capace di separarsi dal semplice parlato istantaneo e dalla storia stessa.
Percorsi e porticati con colombari che si dispongono rettilinei su griglie geometriche, parallelepipedi, che si susseguono con regolarità, quasi fossero una spina dorsale, sono le soluzioni in grado di conferire coerenza ed orientamento all’intero progetto, perché tracciano confini nitidi e ripartiscono le superfici in modo sistematico.

La stessa collocazione delle aree verdi, per la prima volta, è considerata un momento connaturato alla progettazione.
Così siepi ed aiuole, intersecandosi con il ritmico sviluppo di camminamenti e gallerie, divengono elementi fondamentali nel meditare i passaggi psicologici e reali tra ambienti pubblici e privati.
Questo insieme di edifici, spesso collocato lungo le zone perimetrali, con le proprie linee solide, solo apparentemente semplici, rappresenta una mirabile cornice naturale in cui iscrivere segni forti dai tratti definiti e netti.
Figure emblematiche, che riecheggino la purezza degli elementi geometrici, si impongono nelle architetture più innovative. Possenti cubi in cui ricavare il sacrario, slanciati tronchi di cono che, quali guglie, si elevino maestosi per celare la tristezza della fossa comune, oppure ampie circonferenze, per ospitare oratori o cappelle funebri popolano l’immaginario sepolcrale dei nostri giorni.
Alle volte i grandi padiglioni circolari che ospitano nicchie e colombari divengono un elemento sinergico del complesso disegno architettonico, in cui si rivelano i volumi semplici e le masse piene, forti, vagheggiate nelle teorie dei progettisti.
L’esibita centralità rende queste composizioni il fulcro fisico, ma anche ideale del sistema, l’origine da cui si dipartono le diverse articolazioni periferiche.

Nel cimitero postmoderno si materializzano, in una solida atmosfera, al tempo stesso eterea ed indefinita, i volumi di una metafisica città della memoria, che pare ispirarsi alle parole di Todorov:” La vita ha perduto con la morte, ma la memoria vince contro il nulla”.
La desolata landa irta di croci e cippi si trasforma così in un sottile spazio interpretativo. E’ un moderno fantasma poetico che, retto da una intensa trama concettuale di rapporti ed analogie, esprime un posata istanza di ascetismo civile.
Il camposanto, così, si trasforma in quel rifugio, umbratile e riparato, di cui la coscienza ed il ricordo necessitano per non disperdersi nella nebulosa metropolitana.
L’architettura riscopre in questo modo una funzione evocativa e si rivela un codice raffinatissimo per trasmettere un appassionato messaggio sociale.
Il suo linguaggio supera le barriere dell’incomunicabilità grazie ad un uso rigoroso, ma rinnovato dei propri strumenti tradizionali: proporzioni, accostamenti e simmetrie archetipe.

Written by:

Carlo Ballotta

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