È notorio come in alcune realtà locali (es.: provincia autonoma di Trento, Regione Emilia-Romagna, per citare solo quelli forse più noti) le amministrazioni stiano “ragionando” sulla controversa soluzione di individuare canoni manutentivi ex novo, in particolare per i sepolcri in concessione perpetua (o, meglio, a tempo indeterminato), ma anche per le costruzioni sepolcrali che presentino elementi di “condominialità” con la presenza di “parti comuni” nei singoli sepolcri.
Nel dettaglio: si pensi a tutte le componenti promiscue di un chiostro nelle cui campate siano stati ricavate molteplici celle sepolcrali (mono-, o pluri- posto), come il tetto, i piani di calpestio, i pilastri presenti nella parte “interna” (cioè, rivolti verso le aree cimiteriali a sistema d’inumazione), le pareti cieche sulla parte “esterna”, i sistemi di gronda delle acque piovane, intonaci, tinteggiature, ecc.: di fatto, con una simile modalità costruttiva, si aveva una sorta di condominio negli edifici, almeno relativamente alle numerose “parti comuni”, che, spesso, si estendono anche all’interno delle cripte sotterranee e delle stanze ipogee, quando oggetto di assegnazioni a più concessionari (quasi ad avere dei sub-condomini all’interno).
A prescindere da come possano svilupparsi questi orientamenti, anche in contesti geografici in cui non siano state ancora ponderate queste ipotesi ancora in fieri (invero non si sa ancora quanto davvero praticabili), appare pertinente ricordare come l’art. 4, comma 2 D.M. (Interno) 1° luglio 2002 e succ. modif., emanato ex art. art. 5 comma 2 L. n. 130/2001, preveda due tipologie di “canoni”, la prima afferente all’uso dello spazio cimiteriale assegnato, la seconda “…. per il recupero delle spese gestionali cimiteriali, per ogni anno di durata della cessione in uso, pari o inferiore alla metà di cui al punto a), percepibile anche in unica soluzione, che compete al gestore del cimitero”.
Per quanto la disposizione appaia, formalmente, riferita alla conservazione delle Ceneri (leggi: urne cinerarie, contenenti ceneri), essa rappresenta un principio contabile di applicazione generale applicabile alle diverse tipologie di sepolcri privati nei cimiteri (Capo XVIII D.P.R. 10 settembre 1990, n. 285), come risulta da “I principi contabili degli enti locali”, elaborati dall’Osservatorio per la finanza e contabilità per gli anti locali, del Ministero dell’interno, Direzione centrale per la Finanza Locale:
http://osservatorio.interno.it/principi/I_principi_contabili_EELL.pdf, ad esempio pagg. 149-151, sui ratei e risconti, ma anche pag. 186, nonché, sempre del medesimo Osservatorio, le “Finalità e postulati del principi contabili degli enti locali”:
http://osservatorio.interno.it/principi/20080312fin_e_post.pdf, in particolare le indicazioni rispetto al Principio contabile 3, Punto 78 (pag. 30 di queste indicazioni).
Ma tale norma si spinge oltre, finalmente esplicitando bene e coerentemente quanto essa stessa definisce come “recupero delle spese di conduzione delle attività cimiteriali”.
Da ciò discende logicamente il dovere giuridico di calcolare anche l’insieme delle spese di gestione dei cimiteri (es.: custodia, verde, viali, acqua anche potabile, servizi igienici per il personale e per i visitatori, rifiuti urbani così come ogni altra spesa per servizi e prestazioni proprie della attività cimiteriale).
Per quanto ancora scarsamente considerata, una simile scelta politica almeno in sede regionale, risponde alla ratio giustissima secondo cui le spese di gerenza dei cimiteri sono destinate ad essere “recuperate”, oltreché sul tariffario delle operazioni cimiteriali, in primis gravando su quanti contino, su parte del cimitero pubblico, di un vantaggio particolare (il termine non è casuale, né immeditato), cioè quello di titolari di sepolcri privati nei cimiteri, poichè tale qualificazione comporta de facto una sottrazione di parte del cimitero e di risorse alla comunità locale a pro di una posizione privata, particolare, appunto.
Si potrebbe anche ricordare e ribadire, se necessario, il principio affermato nel Titolo III (artt. 10–14) del Decreto imperiale (“Décret Impérial sur les Sépultures”), dato al palazzo di Saint-Cloud il 23 pratile XIII (16 giugno 1804), statuizione che non è stata, per altro, accolta nella normazione italiana post-Unitaria (ma ancora presente in alcune precedenti legislazioni di Stati pre-Unitari) in quanto, nel frattempo, erano mutate le condizioni di struttura, e di egemonia nella società, al punto da non ammettere condizionamenti derivanti da responsabilità sociali.
Questa coscienza civile di cui era permeato l’editto napoleonico di St. Cloud importava che le concessioni cimiteriali aventi natura di sepolcri privati nei cimiteri fossero subordinate ad un – previo – assolvimento di obbligazioni nei confronti delle componenti deboli della società post rivoluzione francese.
Questa, come visto prima, è la filosofia normativa seguita, ad es. dalla citata legislazione emiliano-romagnola (Reg. Reg. n. 4/2006), rimane però un dubbio sottile: può una fonte di rango secondario, come appunto un regolamento introdurre per concessioni già in essere un ulteriore onere economico, quando per l’imposizione di prestazioni patrimoniali per Cost. (Art. 23) è contemplata rigorosamente una riserva di legge?